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Tra litigi e riletture: gli interventi di Goffredo Fofi su Pier Paolo Pasolini

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Per Pasolini
di Goffredo Fofi
La Nave di Teseo, ottobre 2022

pp. 192
€ 16 (cartaceo)

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Ho sempre avuto delle riserve sulle posizioni di Pasolini, spesso con qualche scontro diretto su problemi non di superficie. Forse per questo resto un "amico di Pasolini": perché le sue idee erano giustamente provocatrici, e costringevano me come tanti a ragionare su questioni di fondo, fuori dalle idee correnti dell'epoca. (p.100)


Nel 2022 si è scritto e detto tanto su Pier Paolo Pasolini.
A cento anni dalla sua nascita, in molti hanno sentito il bisogno - anche per una certa pressione editoriale propria degli anniversari - di ricordare i tanti volti dell'intellettuale controverso, lucido e coraggioso che ha analizzato il Novecento e le creature che lo abitavano, abbracciando in un unico sguardo sia le trasformazioni sociali ed economiche di quel mondo, che le istanze intime e private che nascevano dal viverci dentro. 
Si è parlato dell'eclettismo di Pasolini e delle sue passioni, dei traumi e della sua sessualità dolorosa, di quell'aura misteriosa che avvolge le ore della sua morte, al contempo eroiche e misere. 
Sul finire dell'anno, a quanto pare volontariamente in coda al già citato battage sul grande scrittore, esce un libro firmato da Goffredo Fofi che a Pasolini si rivolge già dal titolo.
Nel "per" sembra quasi esserci quel senso antico delle lettere, dell'indirizzarsi amichevole. Anche se i due, amici in senso comune, in realtà non lo sono mai stati. 

Saggio autobiografico e criticoPer Pasolini (edito da La Nave di Teseo per la collana Onde di cinema con una nota introduttiva di Alberto Anile) rilegge i loro rapporti attraverso la riproposizione di interventi e articoli che Fofi ha dedicato a Pasolini dal 1964 a oggi. Un arco temporale abbastanza ampio da comprendere primi incontri con lo scrittore, passaggi in auto e serate assieme e poi la sua scomparsa e una rilettura aiutata dal trascorrere del tempo e dalla maturazione come critico. 
Di Pasolini Fofi all'inizio parlò apertamente in termini oppositivi: ne diffidava, scrisse una "breve e velenosa stroncatura" dei Racconti di Caterbury definendoli un'opera "senza nerbo, senza vita e senza morte". 
La sua durezza di sessantottino rivoluzionario e convinto non si rispecchiava nella visione poetica dell'antico mondo puro e rurale che Pasolini rivendicava come unica vitalità possibile in un'epoca di feroce cambiamento. Questioni ideologiche li dividevano: una rivoluzione per le classi subalterne era possibile, ma c'era chi non la trovava in quel mito. Nel 1971 a proposito di Decameron Fofi scriveva: 
L'autore resta pur sempre estraneo a qualsiasi considerazione sociologica o a qualsiasi sguardo attualizzante. Dunque, se un po' di senso la sua visione del popolo meridionale oggi ha, è proprio in quanto visione nostalgica di un passato ormai inquinato e composito, mescolanza di variabili gravi, nel rischio di perdere quella allegria e bellezza che a Pasolini, come a noi, sta a cuore. Certi bellissimi squarci del suo film, o interi episodi di grande sapienza figurativa ma soprattutto splendidi di facce e di parole, sono un canto a un mondo di realtà che la presente offensiva realtà ha deturpato e distrugge ma che pure mai è veramente esistito quale Pasolini lo idealizza, accuratamente togliendo dal suo mondo contadino la Fame e la Storia. (p. 91)

Un dibattito, dunque, dentro e fuori la Storia, nel quale sistemi di mondo si ponevano, e si pongono ancora, a confronto.
La cavalcata tra gli interventi critici riporta a galla visioni e giudizi su Pasolini che nel tempo mutano, si riprendono e si riflettono l'uno sull'altro, anche per effetto di una certa nostalgia politica per quella rivoluzione che un tempo si rivendicava e poi non è stata. 
Di Pasolini si passa in rassegna, oltre che le opere (soprattutto, ovviamente, quelle cinematografiche), anche la tendenza alla provocazione nel suo significato più profondo, cioè la capacità di di chiamare fuori qualcosa, di tirare a sé l'altro lanciandogli uno sguardo di sfida. Da qui il suo rapporto ambiguo con l'establishment culturale italiano, insieme frequentato e criticato.

Per Pasolini è un libro che in fondo appare autoreferenziale: più che dal bisogno di rileggere sembra guidato da quello di rileggersi. 
Non si nega certo che anche le scritture critiche abbiano il loro perno in un io che legge, che guarda, che pensa (perché diversamente non ci sarebbe alcun fascino nel giudizio), ma al lettore spetta il diritto finale di sentirsi a volte respinto da uno sguardo un po' compiacente, specie se di fronte a un volume a una voce sola. 
Ciò che invece è estremamente fertile è la dialettica dello scontro che oggi è un'arte poco praticata nel mondo intellettuale: quella positiva tensione al confronto che stride ma che alla fine, attraverso lo scambio, arriva alla possibilità di comprendersi. 

... è con Pasolini che ho "litigato" di più, è da lui che mi sono sentito più provocato, chiamato in causa su argomenti fondamentali della nostra storia civile, e dunque della mia stessa storia. (pp. 61-62)
Al di là del parere critico sulle opere di Pasolini odiate e su quelle invece profondamente ammirate, a lui Fofi ritorna dopo il litigio perché ammette che nella sua eredità artistica è possibile capire davvero cosa ci è successo e nel suo cinema come sfogo vitale si può trovare un po' di speranza. 


Claudia Consoli