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Francesca Bertini, la prima vera diva del cinema muto, nacque da un difetto: una voce non adatta. "L'ultima diva" di Flaminia Marinaro

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L'ultima diva
di Flaminia Marinaro
Fazi editore, settembre 2022

pp. 190
€ 18,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


Nel suo lungo articolo, parlò solo di lei, la donna dentro cui «convivono personalità contrastanti, quella di Elena, che conduce un'esistenza ispirata ai principi e ai valori della classe dalla quale proviene, e Francesca, una figura irreale e abbagliante che conduce l'esistenza sregolata e folle propria delle eroine dello schermo». (pp. 99-100)

Nata Elena Saracini Vitiello, la bambina che da Firenze si trasferisce con la madre e il patrigno nella Napoli del primissimo Novecento ancora non sa che è destinata a segnare la storia della settima arte. Inizia come figurante in teatro sotto la direzione di Eduardo Scarpetta ma, penalizzata da una voce e da un accento non del tutto piacevole, viene presto instradata verso la nuova forma espressiva nascente: il cinema. Sotto il nome di Francesca Bertini si trasforma ben presto nella "diva" per eccellenza del cinema muto. Gira centinaia di film dove ricopre i ruoli più svariati, ha per amanti alcuni dei nomi che campeggiano sui libri di storia italiana, viene corteggiata dalla neonata Fox per cifre da capogiro. Fino all'inizio degli anni Venti è osannata, invidiata e copiata. Poi però, con l'avvento del nuovo modo di fare cinema e con l'inserimento del sonoro, va piano piano ritirandosi fino a scomparire, tanto che di lei si sta perdendo la memoria. Il romanzo di Flaminia Marinaro L'ultima diva dà voce e corpo alla più grande stella del muto italiano. 
In prima fila, vicino alla Magnetti, cercò di carpirne i segreti, ma non ne aveva! Era puro talento. Anche il seno debordante era un capolavoro d'arte drammatica – come la voce morbida, intensa, dalle inflessioni volute e modulate. Non come quelle sbavature orrende, che precipitavano dalla sua bocca senza controllo! Vocali dispettose, suoni imperfetti, cadenze sciatte... Aveva ragione Di Giacomo, non aveva la voce giusta per fare teatro! Si sentiva simile a un'ombra cinese, il riflesso di qualcosa che non esiste. (p. 30)
La carriera di Francesca Bertini nasce da un difetto, una voce non adatta a calcare le scene. Flavinia Marinaro che ha avuto l'occasione di chiamare la grande diva "zia Checca" visto che era amica di famiglia, ha raccolto i racconti che l'attrice faceva della sua vita. Anche nel raccontare, così ci dice l'autrice nella nota finale, era drammatica, teatrale e a guardare qualche spezzone dei suoi film si riesce a immaginare la gestualità con cui poteva caricare il rapimento per Paul Cartier, l'energia con cui ha fatto irruzione nella camera di Hesperia, attrice rivale, per strapparle i capelli, il terrore nell'esperienza come infermiera per i feriti della Grande Guerra.
Il romanzo non si struttura come una classica biografia romanzata, con ampio spazio per i ricami e le divagazioni, ma è fatta di brevi capitoli, fotogrammi quasi, in cui si passano le esperienze e gli incontri salienti senza cercare di smussare gli spigoli o di far apparire l'attrice migliore di quanto non fosse. È un ritratto che, nei limiti della finzione narrativa, è molto onesto. In certi passaggi si avverte quasi la fretta di procedere, di andare avanti e scoprire quale altra sfida, progetto o amante aspetta l'attrice: rende il senso turbinoso degli anni, ma alcune cose restano al di fuori delle pagine e non consentono di ricostruire appieno la figura. Si generano apparenti incongruenze come la riscoperta della fede da parte dell'attrice che però non ha mai smesso di consultare i fondi di caffè prima di decisioni importanti, aspetto intrigante che resta a margine. O le conseguenze che devono aver avuto su di lei alcuni episodi di abusi. Lo si può ascrivere anche alla riservatezza o alla mancanza di questi elementi nei racconti che la diva faceva. Restano infatti angoli d'ombra anche su attività rivoluzionarie compiute non solo in campo di moda e stile di vita.
Sotto lo pseudonimo di Frank Bert, l'attrice era anche sceneggiatrice e regista. Adattò i testi dell'Assunta Spina il film che più di tutti viene ricordato, sceneggiò Il processo Cleménceau che poi interpretò passando davanti e dietro la macchina da presa, tra e fuori le righe dei copioni con straordinaria disinvoltura e intraprendenza in quel campo artistico del tutto nuovo e che veniva considerato con una certa supponenza e alterigia rispetto al teatro. 
«Sono curiosa, signorina Bertini! Quanto tempo ha consumato per costruire il suo personaggio? [...] Non si scompose: voltò la testa impassibile, conficcando gli occhi in quella della donna. «Se qualcosa è stato costruito», disse, «l'ho costruito io sola, senza l'aiuto di nessuno. Il resto invece l'ho ereditato, come si ereditano un castello, o dei preziosi». (p. 58)
Archetipo della diva, quasi inventrice di questo modo di essere, Francesca Bertini con i suoi cappelli a tesa larga ha segnato un'epoca con il suo talento e la sua adattabilità a ruoli e personaggi. Eppure è, in larga parte, scomparsa dalla memoria. Negli anni Trenta si ritirò dalle scene: il sonoro non faceva il suo gioco, il cambio delle inquadrature – da campi lunghi a primi piani – non era adatto al suo stile interpretativo. Come nel film The Artist, non riuscì a entrare nella nuova epoca cinematografica. 
È recuperabile l'intervista che rilasciò, nel 1969, a Lelio Luttazzi nel corso della trasmissione Ieri e oggi. Ecco cosa dice l'attrice:
Perché io che sono veramente l'attrice del cinema muto, cioè che non parlavo; non parlavo per modo di dire, perché noi si parlava, recitando. Eppure le assicuro che oggi, parlare davanti alle telecamere a me fa un gran piacere. Vorrei parlare, parlare, parlare.
E la sua è una voce piacevole. Certo, è stata proprio la voce giudicata non adatta a renderla una leggenda, ma questo romanzo, che deve il titolo al film del 1982 L'ultima diva di Gianfranco Mingozzi, fa proprio quello che l'attrice voleva: le restituisce la voce e la allontana dal mero mito per renderla ancora vitale e drammatica come la sua famosa posa appesa alle tende.

Giulia Pretta