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#CritiCOMICS - Liberarci dalla prigione della bellezza assieme a Liv Strömquist: “Dentro la sala degli specchi”

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Dentro la sala degli specchi
di Liv Strömquist
Fandango Libri, luglio 2022

Traduzione di Samantha K. Milton Knowles

pp. 160
€ 20 (cartaceo)

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Ma quanto ci piace Liv Strömquist? Fumettista tra le più conosciute e apprezzate sia nel panorama della graphic novel femminista quanto in quello del graphic essay, Strömquist è la prova che ogni bravo artista, alla fine, finisce per crearsi il proprio genere. Il suo è fatto di una mescolanza unica di filosofia, di cultura pop e di umorismo dissacrante, che ogni tanto sfocia in picchi di lirismo a dir poco struggente, il tutto racchiuso in un tratto veramente unico, che, in questo nuovo, attesissimo volume, troviamo in versione colorata, a differenza delle sue precedenti uscite. Su CriticaLetteraria trovate già recensiti I’m Every Woman, del 2019, e La rosa più rossa si schiude, del 2020; se nel precedente volume Strömquist si era dedicata al tema dell’amore (un obiettivo facile facile, eh?) questa volta il centro della sua trattazione è un altro dei temi su cui l’essere umano si arrovella da secoli: la bellezza.

Partendo da Kim Kardashian e arrivando all’imperatrice Sissi, passando per Marilyn Monroe e la regina Nefertiti, Strömquist affronta come sempre l’argomento da un punto di vista nettamente femminista, cercando di individuare i motivi culturali e concettuali dietro la fissazione secolare nei confronti della bellezza, in particolare quella del corpo femminile. La filosofia di René Girard, Simone Weil e Zygmunt Bauman costituisce l’impalcatura teorica dell’argomentazione di Stromquist, che però non rinuncia mai a includere anche e soprattutto una prospettiva estremamente concreta, storicistica e materialistica, attenta anche e soprattutto a come un concetto apparentemente puramente estetico come la bellezza nasconda in realtà logiche di potere e di classe. È la mercificazione capitalistica della bellezza, che si ritrova tanto nelle fotografie di Marilyn Monroe ad opera di Bert Stern (che costituiscono la concretizzazione più esatta e pregnante di sempre del concetto di “male gaze”) quanto nel tardo capitalismo contemporaneo, in cui “l’essere sexy non ha più solo la funzione di attrarre un partner, ma è liberalizzato, ha un valore proprio, che segnala il tuo status, o, per così dire, il tuo valore umano” (p. 51).

Ma è davvero questa l’unica via possibile? Strömquist, dopo un’impeccabile trattazione teorica, intercalata magistralmente da una pagina bianca in cui la lettrice o il lettore possono disegnare la loro idea di un futuro migliore in cui l’idea della bellezza non debba essere una prigione più che un dono, procede a enucleare la sua idea. Una descrizione utopica di un concetto di bellezza migliore, che si basa sull’assunto rivoluzionario che, al di là delle idee capitalistiche e tardocapitalistiche che la hanno sempre inficiata, la bellezza non è come i soldi. Perché non può essere sfruttata. Né risparmiata, accumulata o posseduta. Lo stress che ci porta l’idea della bellezza deriva tutto da qui, dalla corsa titanica verso il possesso di un bene che invece può solamente essere goduto nel momento presente, contemplato per un istante prima che scompaia. Il senso della bellezza non è averla, ma è goderne. Cogliendo l’attimo, consapevoli che prima o poi svanirà.

Marta Olivi