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Tra flânerie e rêverie: a Parigi, a spasso tra "botteghe e atelier di una volta" con Marin Montagut

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Ricordi di Parigi.
Botteghe e atelier di una volta

di Marin Montagut
fotografie di Ludovic Balay, Pierre Musellec e Romain Ricard
illustrazioni di Marin Montagut
traduzione di Annalisa Comes

L’ippocampo, 2021

pp. 240
€ 29,90 (cartaceo)


«Parigi, Parigi a me va bene / Per non tornare più»: anche chi non è in grado di cogliere questa citazione – ovvero il risoluto incipit di Strade di Francia, malinconica ballata del cantautore romano Daniele Silvestri contenuta nell’album Il Dado (1996) – avrà certamente formulato un simile proposito almeno una volta nella vita. Perché poche città al mondo come quella d’oltralpe sono difatti diventate sinonimo della meta ideale per fughe (non solo romantiche), vacanze (non solo culturali) e derive (non solo esistenziali). E per quanto alcune grandi capitali europee siano così presenti nell’immaginario collettivo da suscitare nostalgia e struggimento anche in coloro che non hanno mai avuto occasione di visitarle, vero è che quasi nessuna ha il privilegio a dir poco magico di albergare comunque nella memoria di chi proprio all’interno dei suoi confini non ha effettivamente vissuto esperienze di viaggio o di residenza. Caratteristica, questa, che invece appartiene senza ombra di dubbio alla Ville Lumière, capace, con il suo inconfondibile e inimitabile esprit, di trasognare in una rêverie tra le più suggestive tanto i suoi turisti quanto i suoi abitanti.

Sarebbe ben d’accordo, a tale proposito, l’illustratore e designer francese Marin Montagut, profondo conoscitore di quel quid parigino che da secoli a questa parte dà il meglio di sé, a suo avviso, nell’architettura e nella cultura materiale, nonché novello autore di Ricordi di Parigi. Botteghe e atelier di una volta, in uscita oggi per L’ippocampo nella sua edizione italiana. A sua volta proprietario e gestore di una boutique al 48 di rue Madame, vicino al Jardin du Luxembourg, in cui propone oggetti decorativi di sua ideazione e creazione – Mercante di oggetti di ogni genere, c’è scritto sulla facciata – l’animatore di “Maps”, trasmissione in cui condivide con il pubblico i suoi indirizzi parigini preferiti, ha dunque messo nero (e colori) su bianco la sua passione per “le cose belle” esposte in alcuni negozi, laboratori e musei tra i più curiosi della città della Tour Eiffel. Diciotto tappe (diciannove se vi si include, per l’appunto, l’attività in proprio del creativo ed esperto cicerone) che si rivelano al lettore come autentici posti del cuore, e che sanno suscitare tutta la pudica meraviglia di quando una persona ci porta ad ammirare un panorama sconosciuto, ci prepara una ricetta di famiglia, ci fa una confidenza o ci racconta un segreto; una sensazione di esclusività che in questo caso è di fatto inesistente, dal momento che i luoghi sono aperti al pubblico e che il libro è concepito e destinato per la grande distribuzione, ma talmente ben evocata dal connubio perfetto di testi e fotografie che chiunque si trovi a sfogliare queste pagine si illude senza scampo di essere a tutti gli effetti un esploratore privilegiato.

Marin Montagut sa bene come ricreare una simile suggestione, ovvero conosce tutte le strategie retoriche e visive per replicare a sua volta quell’incanto che per primo lo colse nell’infanzia e nell’adolescenza, quando, figlio di genitori antiquari e nipote di una nonna pittrice, sperimentava su di sé gli effetti positivi di una sollecitazione estetica quotidiana. Un sortilegio vero e proprio, che al crocevia tra innamoramento, vocazione e predestinazione, lo portò a lasciare Tolosa e a trasferirsi nella capitale per condurvi un apprendistato personale alimentato da inesauribile incantamento e, ça va sans dire, da instancabile flânerie. Anni e anni di peregrinazioni per le vie più o meno note della metropoli trovano così un primo punto di approdo in questa pubblicazione, concepita come un omaggio al valore di quel savoir faire che non avrà mai nulla da temere nei confronti delle (ri)produzioni meccaniche e seriali in cui risparmio e grande quantità fanno rima con spreco e cattiva qualità:

«da qui nasce il mio libro, da queste emozioni, dal desiderio di condividere il fascino di questi diciannove indirizzi dove ogni scoperta costituisce un momento sospeso nel tempo. Un album fotografico illustrato dai miei acquerelli e moodboard che affido al lettore perché possa assorbirne i colori e le atmosfere, toccare con gli occhi oggetti fatti a mano e fuggire in un universo di cose rare e singolari. Cosa unisce tutti questi luoghi? L’intento di preservare l’anima di Parigi… Pagina dopo pagina, varcherete la soglia di musei nascosti, negozi di antiquariato e atelier dimenticati» (p. 6).

Descrivere per sommi capi ciascuno di questi ambienti in sede di commento non renderebbe loro giustizia: non solo perché Marin Montagut sa già farlo in modo eccellente con l’autografia di parole e disegni e il corredo di meravigliose fotografie espressive che spaziano dalle panoramiche degli interni a dettagli che sembrano ritratti, ma anche per non depotenziare il senso di stupore che si deve provare a ogni giro di pagina, quando le visioni singole e d’insieme confermano quel tipo di potenziale evocativo e narrativo che è ben definito dalla quanto mai opportuna formula del je-ne-sais-quoi. Tuttavia, e senza tema di rovinare troppo la sorpresa dell’itinerario, basterà dire che l’esplorazione condurrà (tra una meta e l’altra) da una bottega di pastelli a un museo di minerali passando per un ferramenta e un negozio di antiquariato, e che tra una merceria e una tipografia, un’erboristeria e una libreria, non mancherà di bussare alla porta di un “gabinetto di curiosità” e di una casa d’artista.

Chi ha amato il precedente Sotto i tetti di Parigi (2018), scritto a quattro mani con la compatriota nonché icona di stile Ines de la Fressange, non mancherà di affiancargli sulla mensola della libreria quest’ultimo lavoro solista di Marin Montagut, a cui lo accomuna la copertina apribile e trasformabile in un manifesto moodboard (stavolta con le caratteristiche illustrazioni dell’autore) e che per certi versi ne rappresenta la prosecuzione ideale. Se nel primo libro si era trattato di documentare e descrivere esempi di vita tipicamente parigina indoor, e dunque con un focus domestico e intimo che permetteva di rendere conto di scelte relative all’architettura e all’arredamento da parte dei rispettivi proprietari e inquilini, in questa secondo caso l’attenzione è, sì, rimasta sugli interni, ma su quelli destinati a una fruizione pubblica, in cui l’auspicato viavai di persone è tanto maggiore quanto migliore l’offerta delle merci in esposizione e in vendita. Ricche di storia e storie proprio come fossero dimore private, è da credere che le diciannove botteghe protagoniste del volume diventeranno le tappe obbligate di future passeggiate ben poco casuali e occasionali: le loro soglie, d’altra parte, non aspettano altro che di essere varcate, e la concreta eventualità di acquistare qualcosa da portare via con sé è proprio ciò che renderà possibile il ripetersi di innumerevoli reminiscenze di proustiana memoria.


Cecilia Mariani