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Cosa si può scrivere quando ti muore un figlio? Ecco la risposta di di Naja Marie Aidt: "Se la morte ti ha tolto qualcosa, tu restituiscilo"

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Naja Marie Aidt morte

 
 
Se la morte ti ha tolto qualcosa, tu restituiscilo (Il libro di Carl)
di Naja Marie Aidt
Utopia Editore, marzo 2021
 
Traduzione di Ingrid Basso
 
pp. 144
€ 18,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
 
Frederik, Carl Emil, Johan, Zakarias.
Ho quattro figli.
Hai quattro figli?
Sì. (p. 13)
Non è la telefonata di un freddo sabato sera di marzo a cambiare le cose per Naja Marie Aidt. La telefonata che le annuncia la morte del suo secondogenito, Carl Emil, non cambia il fatto che lei abbia sempre quattro figli e proprio per Carl Emil è il... memoriale? Diario? Raccolta di frammenti che è Se la morte ti ha tolto qualcosa, tu restituiscilo. Non è semplice incasellare questo diario del dolore in un preciso genere, così come non è semplice o affrontabile per una madre poter mettere giù righe che in qualche modo raccontino della morte di un figlio e di cosa succede a chi resta a convivere con questa voragine di dolore. Perché non c'è niente di più sbagliato della perdita di un figlio.
La struttura del Libro di Carl – come recita il sottotitolo – non è lineare. Volessimo cercare un filo logico, l'anima della struttura su cui poi si costruisce tutto il testo, potremmo prendere come punto fisso il dispiegarsi delle ultime ore di vita di Carl. Il volume inizia infatti con la telefonata che annuncia alla famiglia dell'incidente del giovane per poi ripercorrere, sempre più a fondo e nei dettagli, il susseguirsi delle ore successive, dell'ospedale, della dinamica dell'incidente, fino ad arrivare alla morte. Questo potrebbe essere il nostro punto fermo, se nella morte e nel dolore ci fosse una linearità e una precisa sequenza di pensieri. Ogni momento, dall'incidente alla morte, sono per l'autrice uno squarcio, la possibilità di ricordare frammenti di vita con il figlio, fotografie, pensieri, che in qualche modo si agganciano a quello che sta vivendo. Saltando dalla gita che hanno fatto insieme quando Carl aveva nove anni, per poi tornare ai giorni dopo la morte dove le spetta il compito di mettere via le sue cose, all'ultimo sms che ha ricevuto da lui, il tempo sembra andare avanti e indietro senza un ordine, ripercorrendo la totale confusione che segue un lutto eppure ricomponendo nella maniera più chiara possibile tutto il percorso di una vita. 
Riflette l'autrice citando Roubaud:
Occuparsi della morte come tale, riconoscerne un desiderio di realtà mi ha portato ad ammettere che nella lingua e in tutte le sue costruzioni c'è qualcosa su cui io non ho il controllo. (p. 63)
Se gli squarci e i ricordi che lei riesce a mettere su carta fossero fini a loro stessi, ovvero ricordi e basta, questo volume non avrebbe lo straordinario valore letterario che invece ha: Naja Marie Aidt li usa per analizzare lucidamente tutto quello che il lutto porta con sé. 
Il pensiero che Carl stava montando un film e sembrava felice...
Il pensiero che forse avrebbero potuto salvarlo se solo...
Il pensiero che la polizia sarebbe intervenuta più rapidamente se solo il rapporto avesse detto...
Il pensiero che già dalle poesie che scriveva si vedeva che era un predestinato...
Il pensiero che già nel nome "Carl" che significa "giovane" ci fosse un campanello d'allarme sul suo destino...
Il pensiero di un sogno che, a posteriori, era premonitore...
Si spalancano voragini di sé e di spazi di pensiero sospeso, riempiti da freddi lemmi di vocabolario o da poesie, dell'autrice e di altri, in un nastro fluido. Su tutto emerge, quasi sputato dalle pagine, il proiettile più terrificante di tutti, soprattutto per un'artista: che l'arte non abbia alcun potere salvifico.
NON LEGGO NON SCRIVO NON ASCOLTO MUSICA PENSO CON DISPREZZO A QUELLI CHE SCRIVONO DELLA MORTE CHE CIVETTANO CON LA MORTE DIPINGONO LA MORTE LA MORTE CAMMINA ACCANTO A NOI È REALE È UN MURO CHE MI RENDE FURIOSA IL MIO DOLORE MI RENDE FURIOSA PIENA DI ODIO SONO FURIOSA PER ESSERE ISOLATA NEL MIO DOLORE ODIO TUTTO CIÒ CHE HO SCRITTO SULLA MORTE PRIMA NON ESCO DI CASA PER DIVERSI GIORNI SIEDO AL BUIO SIEDO AL BUIO NON LEGGO NON SCRIVO NON ASCOLTO MUSICA (p. 38)
Apriamo qui una breve parentesi sulla cura grafica straordinaria dell'edizione di Utopia dove anche la grafia dei singoli pezzi è a servizio di quanto espresso dalle parole, quasi ci trovassimo in un calligramma.
Compito della letteratura, della buona letteratura, è quello di riuscire a calare in un particolare narrativo i sentimenti universali che dominano le vite di tutti noi in modo da emozionare, da esprimere una visione della vita. Ma allora, se anche le parole e l'arte hanno perso il loro potere, se non possono aiutare chi combatte contro uno dei dolori più inimmaginabili, un dolore che porta l'autrice a percuotere il suo inutile corpo perché ha dato vita a un figlio che ora non c'è più, allora cosa resta?
Mentre l'autrice guarda la finestra da cui il figlio è caduto, guarda la luce che penetra da quella finestra, viene da pensare alla finestra di Yates, allo squarcio da cui dovrebbe entrare il significato, la visione di una storia o di un evento. Ma quale luce si può trovare in un evento così sconvolgente? 
Ma le poesie dicono anche di restituire ciò che i morti ci hanno dato quando erano vivi. Che l'essere dei morti, per così dire, può ancora trovare posto nella vita, che l'amore che ci hanno dato può essere ancora donato. Qui risiede una speranza. La speranza che ciò che mi hai dato crescerà in altri, se sarò in grado di condividerlo. (p. 121)
Troviamo qui il senso di questo volume, di questo memoriale, di questa raccolta di pensieri, lemmi e poesie; in questo testo così poco lineare eppure così lucido e puntuale nel riuscire a mettere su carta l'affastellato orrore della morte violenta di un figlio, troviamo la speranza che la riflessione di questo dolore e di questo amore sia il più bel racconto particolare di un sentimento universale.

Giulia Pretta