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Restare insieme, per poco, in un tempo che non c’è più: “Il tempo di vivere con te” di Giuseppe Culicchia e la rielaborazione storico-emotiva degli Anni di Piombo

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Il tempo di vivere con te
di Giuseppe Culicchia
Mondadori, febbraio 2021

pp. 168
€ 17 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


Che anno è, che giorno è?
Questo è il tempo di vivere con te
Le mie mani come vedi non tremano più
E ho nell'anima
In fondo all'anima cieli immensi
E immenso amore

(I giardini di marzo di Lucio Battisti)

Ogni libro ha un suo suono, una sua musicalità. In Il tempo di vivere con te (Mondadori) di Giuseppe Culicchia, è la musica di Lucio Battisti che risuona tra le pagine grazie a una chitarra e a una voce che, per più di quarant’anni, l’autore aspettava di riportare alla luce in un file salvato sul suo computer semplicemente con le iniziali W. A. Giuseppe Culicchia ha impiegato tutti questi anni e tutti i suoi trenta libri per arrivare a questo: un memoir che ripercorre i ricordi d’infanzia che l’autore ha vissuto con il cugino, Walter Alasia, al cui nome si lega la colonna milanese delle Brigate Rosse. Un nome che, oggi, richiama uno dei periodi più bui della nostra storia contemporanea, ovvero quegli anni che dal 12 dicembre 1969 con la strage di Piazza Fontana – seguita dalle esplosioni a Roma presso l’Altare della Patria e alla Banca Nazionale del Lavoro - vengono ricordati come gli Anni di Piombo. Anni complessi e violenti, caratterizzati dalle stragi e dal terrorismo neofascista e “rosso”. Anni che l’Italia ancora non riesce a raccontare (o non vuole), se non attraverso occultamenti, negazioni, non detti, tabù, menzogne, luoghi comuni, rancore e tanti vuoti storiografici. Walter Alasia fa parte di questa narrazione non compiuta; con Il tempo di vivere con te, Giuseppe Culicchia mostra che dietro a un nome - che non lascia mai indifferenti nel nostro Paese - c’è una storia. C’è una vita. E merita di essere raccontata per comprenderla.

Con il suo nuovo libro, Culicchia permette al lettore di entrare nel cuore della sua giovinezza. Ritroviamo un Giuseppe di undici anni, un Walter Alasia di vent’anni e che abita a Sesto San Giovanni, e due famiglie che, d’estate o per le ricorrenze più importanti, s’incontrano per trascorrere il tempo assieme. Walter diventa il fratello maggiore che Giuseppe non ha mai avuto, il suo migliore amico, il suo compagno di giochi, il suo “fumettista” personale, il suo allenatore di corsa e il suo musicista d’occasione: «A te invece non voglio bene. Io di te Walter sono innamorato. Innamorato pazzo. E i nove anni e i centocinquanta chilometri che ci dividono non hanno alcuna importanza» (p. 10). E tra feste di famiglia, ritrovi, gite in campagna e pranzi della domenica, Walter Alasia comincia inosservato la sua militanza in Lotta Continua, per poi entrare nelle Brigate Rosse. Ada, l’amata madre di Walter e zia di Giuseppe, è l’unica a saperlo e ad essere la tacita complice delle ideologie politiche del figlio. Poi il fatto. Nella notte tra il 14 e il 15 dicembre 1976 la polizia entra in casa Alasia. Walter apre il fuoco. Muoiono il maresciallo dell’antiterrorismo Sergio Bazzega e il vicequestore Giovanni Vittorio Padovani. Poco dopo, Walter viene freddato sul selciato di casa. Da quel giorno Walter diventa «un terrorista, dicono in tivù e sui telegiornali. Anzi di più: un mostro» (p. 29). È il cortocircuito generato dall’accostamento della parola “terrorista” al nome di Walter che porta Culicchia, dopo tutto questo tempo, a cercare di rispondere a questa dolorosa domanda: chi era Walter Alasia? In una narrazione da profondi echi emotivi, ma perfettamente lucidi, critici e attenti, il bambino Beppe deve fare i conti con l’uomo che Giuseppe Culicchia è diventato e, soprattutto, con la presenza fantasmatica di Walter Alasia che, nonostante la sua morte, non se n’è mai realmente andato.


Il libro nasce da un’urgenza, da una necessità di raccontare per rielaborare il vortice di violenza che gli Anni di Piombo hanno rappresentato per un’intera generazione; rielaborazione che, oggi, risulta ancora incompiuta perché parlare degli Anni di Piombo, delle Brigate Rosse, di neofascismo e di tutte le questioni connesse a questa fase storica significa fare i conti con gli omissis generati dalla Storia ufficiale. Il tempo di vivere con te diventa un libro importantissimo in questo processo di rielaborazione di una ferita storica che sanguina tutt’ora e che chiede di essere ascoltata, affinché le sue lacune possano essere colmate. Con questa storia, Giuseppe Culicchia scava nelle profondità della memoria personale e famigliare per riportare a galla il vero e autentico Walter, lontano da tutte le mistificazioni, descrizioni e falsificazioni costruite dall’opinione pubblica secondo cui - come ricorda nella sua testimonianza la compagna “Rita”, fidanzata di Walter - «il brigatista doveva essere presentato come una specie di mostro, un individuo senza radici e senza ragioni, senza legami e senza valori positivi» (p. 136). Culicchia decostruisce questa visione distorta del “brigatista” presentandoci un Walter Alasia umano, sensibile, attento, affettuoso, premuroso, con un pensiero politico strutturato, con degli ideali politici per cui era pronto a sacrificarsi per un bene maggiore, e capace di una grande empatia verso chi soffre a causa dell’oppressione di Stato. Il tempo di vivere con te vuole restituire quindi quell’identità di cui Walter Alasia è stato privato da troppo tempo da parte della società italiana. Un libro, in ogni caso, che non vuole giustificare la violenza della notte del 15 dicembre 1976 che ha distrutto tre famiglie e che ha fatto orfani e vedove; al contrario, è un libro che vuole comprendere la complessità che sta alla base di quelle dinamiche violente che hanno portato alla consumazione del dramma della famiglia Alasia, come anche di tantissime altre famiglie italiane. Un libro che ci obbliga ad un profondo esame di coscienza quando, alla fine del testo, ci vengono presentate due liste, una con l’elenco delle vittime delle Brigate Rosse stilato da Wikipedia, l’altra con l’elenco dei brigatisti uccisi dalle forze dell’ordine; questo secondo elenco non esiste nelle pagine della nostra storia. In questo modo, Giuseppe Culicchia ci chiede implicitamente: in Italia, chi ricorda cosa?

Poi ci sono la letteratura, la scrittura, la forza della parola, mezzi unici che permettono ai soggetti dimenticati o storpiati dalla storia di resistere e sopravvivere, al di là di ogni tempo. Permettono anche di ritornare, per brevi istanti, con le persone che più hanno amato. Il tempo di vivere con te è un libro che apre a diverse temporalità: c’è quella storica, che ha lo scopo di analizzare criticamente i vuoti lasciati da una parziale lettura del passato; c’è quella personale e intima, in cui si descrive come la grande Storia influisce su quella degli eventi intimi e personali, di una famiglia segnata dal lutto e dalla perdita; poi c’è una temporalità propria della letteratura, che permette di creare attraverso la scrittura una parentesi in cui Giuseppe Culicchia può tornare ad essere il Beppe di undici anni e a vivere, per poco, il tempo che ancora gli rimane con un Walter Alasia che resterà per sempre quel ragazzo di vent’anni, con in mano la chitarra, in bocca le parole di Lucio Battisti e sul comodino Il manifesto. È la letteratura che salva in parte dall’inesorabile scorrere del tempo e dalle false letture della storia, e che permette la revisione postuma di una vita che per troppo tempo è stata letta attraverso un’unica versione dei fatti che lo Stato italiano ha scritto al posto di altri, al posto di Giuseppe Culicchia. In Il tempo di vivere con te, Walter Alasia vive ancora.
Che anno è? Che giorno è? Torniamo indietro lasciandoci alle spalle la grande quercia sotto cui per gioco ti ho ucciso, e mentre il sole tramonta sopra i campi di granoturco percorriamo lo stesso sentiero di sempre. (p. 84)

Nicola Biasio