pp. 344
€ 20,00 (cartaceo)
Ho anche inspiegabilmente percepito una profonda riluttanza a passare vicino al pozzo. Provavo la stessa cosa da bambino ed evitavo di sbirciarvi dentro perché avevo paura di cogliere il mio riflesso nell'acqua. Per lo stesso motivo facevo di tutto per evitare di intravedermi negli specchi, soprattutto di notte, anche se la ragione non era esattamente la stessa. Nel caso degli specchi avevo la classica paura infantile di poter scorgere un mostro alle mie spalle.Nel caso del pozzo, invece, temevo che qualcosa spuntasse dalle acque nere e sporche e mi trascinasse giù. (p. 182)
Franz Kafka scrive La metamorfosi, il suo più celebre
racconto, presente in tutte le antologie di Letteratura del ventesimo secolo, nel 1915 a trentadue
anni. Si tratta dunque di un prodotto dell’età adulta che solleva ed
espone agli occhi del lettore una molteplicità di temi caldi e questioni
irrisolte su cui spesso i giovani adulti si interrogano una volta superata la
boa dei trenta. Per questa ragione, mentre lo leggevo mi sono spesso domandata
cosa può comprendere un adolescente, nella sua felice incompletezza, del dramma
di Gregor Samsa: umano, familiare, e in definitiva soprattutto sociale.
Ecco che appare lampante l’utilità di leggere, o meglio rileggere, i classici in età adulta: andare alla ricerca dei vari livelli di lettura, scoprire le interpretazioni possibili, permette quasi di mettere ordine – a posteriori – in quella felice incompletezza adolescente che rischia di trasformarsi, in età adulta, in annaspante baratro, incertezza dolorosa.
Hybrids.
Pensi davvero di essere umano?
di Tanis Helliwell
traduzione di Mariavittoria Spina
Edizioni Spazio Interiore, 2020
pp. 184
€ 16,00 (cartaceo)
€ 7,99 (ebook)
«Spesso non mi sento al mio posto. Sono ipersensibile alla violenza. Sono profondamente impegnato per aiutare la Terra. Mi definirei un pensatore indipendente. Seguo la mia guida interiore riguardo a ciò che è giusto, anche se è fuori dalla norma». Dite la verità: vi riconoscete almeno un po’ in questo identikit? Pensateci bene, perché in caso di risposta affermativa sappiate che potreste scoprire di essere nientepopodimenoche un ibrido in piena regola. E non un ibrido a caso, s’intende, bensì uno tra i ventidue tipi individuati da Tanis Helliwell negli ultimi trent’anni dedicati allo studio dell’argomento. Questa psicoterapeuta con base in Canada, che ama definire se stessa “una mistica del mondo moderno” e che, oltre a diverse pubblicazioni, vanta esperienze di insegnamento seminariale in tutta Europa, si è difatti convinta della natura ibrida di alcuni tra gli esseri umani proprio grazie alla risposta terapeutica – ma meglio sarebbe dire alla non risposta – di alcuni suoi pazienti, i quali non sembravano trarre giovamento alcuno dagli approcci statisticamente più efficaci. Persuasa dell’esistenza di categorie ulteriori oltre a quelle specificamente e totalmente antropiche, Helliwell ha esplorato in lungo e in largo la sua tesi cercandone conferme o confutazioni sia attraverso i libri sia attraverso la sua pratica lavorativa, giungendo alla conclusione che l’ibridazione sia non solo possibile ma verificabile: in Hybrids. Pensi davvero di essere umano?, il suo primo libro disponibile in italiano pubblicato da Edizioni Spazio Interiore, spiega perché.
«Il punto cruciale, ciò che le persone devono comprendere, è che che non siamo affatto tutti uguali.» Madeleine ha fatto una pausa e ha alzato una mano quando il giornalista ha aperto bocca per intervenire. «Lo ripeto. Non siamo tutti uguali.» Ha rivolto di nuovo lo sguardo oltre lo schermo. «Ditemi, genitori, volete che vostro figlio sia in classe con studenti che hanno un'accentuata deviazione dallo standard? Con bambini che non hanno la capacità di comprendere le sfide e le difficoltà che il vostro cinquenne sta attraversando? Con insegnanti il cui tempo è frammentato in così tante direzioni che tutti – tutti – finiscono per rimanere indietro?» (p. 36)
Illustrazioni di Laura Congiu e Stefania Costa
Prefazione di Franco Di Mare
pp. 100
€ 13,00
Quanto sappiamo della violenza di genere?
Nel 2020 sentiamo parlare spesso di molestie, di stalking, di violenza da parte di uomini perpetrati contro le donne, ma quanto davvero ascoltiamo la cronaca, analizziamo i dati e ci soffermiamo a pensare, con coscienza, su quanto letto o udito?
E quante donne, ancora nel 2020, subiscono senza trovare la forza di reagire, un po' per paura di non essere comprese, un po' per paura di non essere ascoltate, un po' per paura di rimanere sole fisicamente, emotivamente, economicamente? E quante ancora, per tutti questi fattori messi assieme?
Oggi, ma ancor più in tutti i giorni dell'anno, è bene parlarne, scriverne, comunicare per sperare di essere di aiuto a qualcuno, fornendo i consigli giusti.
La violenza di genere si declina in diverse tipologie:
Pubblicato nel 2016 da Guanda e subito divenuto caso letterario (ne abbiamo parlato qui), Patria racconta la storia di due famiglie amiche, poi divise, in una cittadina basca dove l’ETA, l’organizzazione dei separatisti, sta attaccando duramente il Paese con una serie di attentati. Un intreccio trascinante di vicende personali e politiche che ha il pregio di ribaltare e mettere in discussione ogni nozione di giusto e sbagliato.
Mio marito, l'uomo di cui mi fidavo più al mondo, l'uomo giusto, razionale, integro, saggio che amavo da vent'anni e con cui avevo condiviso ogni cosa, mi aveva tirato il tappeto sotto i piedi senza preavviso e senza spiegazioni.Sbam.(p. 38)
Cantare l'abbandono è un'arma a doppio taglio: da un lato, la maggior parte dei lettori solidarizza, si rispecchia e si lascia avvincere da domande come: «Che cos'ho addosso? Perché tutti mi lasciano?»; dall'altra c'è un'eco pericolosa, che rischia di far rispecchiare il lettore nell'egolatria e di allontanare dalla trama originaria. Nel nuovo Oggi faccio azzurro, Daria Bignardi rifugge questo rischio con ciò che sa fare molto bene: raccontare gli altri, e farlo con una sincerità per cui, alla fine del libro, ti sembra di aver conosciuto dal vivo i personaggi e, anzi, a volte sei proprio convinto di averne visto almeno uno.
A Modo NostroO Niente.(p. 21)
Bompiani, ottobre 2020
Traduzione di Piernicola D'Ortona e Maristella Notaristefano
pp. 304
€ 18,00 (cartaceo)
€ 10,99 (ebook)
Aveva amato quella casa come nient'altro in vita sua. Ricordava le stanze in cui aveva dormito fino a due mesi prima che la bomba degli Alleati cancellasse il palazzo. Lui era nato su un tavolo a pochi metri da quel letto e per tutta la vita aveva creduto che sarebbe morto fissando l'intonaco di quel soffitto. In nessun altro posto si era sentito a casa. Solo lì sentiva che radici, tempo, spazio erano la stessa cosa, che si entrava nel mondo in un posto carico di sofferenza e amore. Aveva percorso le sale di quell'amore per la maggior parte della sua vita (p. 267).
Giuseppe Tomasi di Lampedusa costretto a vivere lontano dalla sua casa, a tornare a visitarla solo poco prima di morire; Giuseppe Tomasi di Lampedusa che mai conobbe l'isola di cui era principe, ma di cui vagheggiava la sabbia e il sole, «al di là della caligine dell'orizzonte». Lontano dal mondo in cui viveva, di cui non ne comprendeva più i segni, quasi esule in una Palermo che non aveva più i fasti della nobiltà a cui lui apparteneva, certo che i ricordi e il mondo che lui deteneva erano destinati a scomparire insieme a lui. Questo è il personaggio di Casa Lampedusa e se vi state domandando se il Tomasi di Lampedusa personaggio di Steven Price sia simile al principe di Salina, che il Tomasi di Lampedusa scrittore ha creato, la risposta è sì. Scelta che Price ha preso con consapevolezza ma senza ostentazione e che accompagna il lettore in questo romanzo per certi versi strano, che mai si trasforma né in una piena biografia, né in un making of, ma che lega narrazione e lirismo in un connubio ben riuscito. Il personaggio Tomasi di Lampedusa, in realtà, mostra ben poche fattezze accattivanti: riservato, taciturno, sconfitto dalla vita ancora prima di compiere qualsiasi battaglia, sopraffatto dal peso della tradizione familiare, di cui sente di non essere all'altezza. Il romanzo si apre nel momento in cui allo scrittore viene diagnosticato un enfisema polmonare e lui «capì che non era pronto a vivere come un malato, come un uomo con la morte in tasca» (p. 39).
La Fantasia è una naturale attività umana, la quale certamente non distrugge e neppure reca offesa alla Ragione; né smussa l'appetito per la verità scientifica, di cui non ottunde la percezione. Al contrario: più acuta e chiara è la ragione, e migliori fantasie produrrà.
La casa dalle finestre sempre accese
di Anna Folli
Neri Pozza, 2020
Sylvia Beach, Shakespeare and Company, Neri Pozza, 2018 (Foto di Lucrezia Bivona) |
Resti
di
Gianni Agostinelli
Italo
Svevo, 2020
pp.
200
€
18,00 (cartaceo)
Così inizia a uscire più spesso, soprattutto di sera, prendendo dalla scatola dove Aura lascia il suo stipendio qualche banconota, che spende tra bar e prostitute. Lei non gli fa domande, anche se immagina cosa vada a fare. Però non le interessa, anzi, è sollevata perché almeno in quelle ore è lontano da casa. (p. 162)
Ultimamente mi capita di leggere romanzi o racconti ambientati in provincia. Sono spesso storie crudeli, nere, dominate da due elementi che, come pilastri portanti, reggono tutto il resto: l’idea che in provincia niente cambi mai e l’idea che per la provincia non vi sia redenzione.
Il libro di Agostinelli si inserisce in questo filone con un romanzo che è poco meno che corale e copre la vita di tre adolescenti, che nel tempo diventano tre ragazzi, poi tre uomini, poi tre uomini di mezza età mentre intorno a loro quasi tutto resta com’è. A evidenziare lo scorrere del tempo, giusto il prezzo delle cose, che passa dalle lire agli euro, e la comparsa degli smartphone. Nella provincia umbra in cui vivono – che non solo è provincia, ma è anche campagna, altra ambientazione per la quale spesso non c’è scampo – le giornate, i mesi, gli anni scorrono tutti uguali, invariati, senza grandi eventi e grandi aspettative. Le vite di Massimo, Leo e Alceste e quelle delle persone che gli gravitano intorno sono segnate in linea di massima dall’immobilismo.
pp. 400
€ 18,50 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
La fabbrica aveva divorato intere generazioni, sopravvivendo agli scioperi, mantenendo famiglie, distruggendo coppie, sfibrando i corpi e le volontà, inghiottendo i sogni dei giovani, le rabbie dei vecchi, l’energia di tutto un popolo che in fin dei conti non desiderava più un destino diverso. (p. 133)
La fabbrica è, nell’immaginario collettivo, il luogo degli scontri fra padroni e operai, della catena di montaggio, di generazioni di inizio novecento volte al naufragio. La si immagina enorme, grigia, asettica, animata da uomini e donne vestiti di blu, i volti concentrati sulla singola mansione a cui sono addetti nella grande catena di montaggio. Se pensiamo al terzo millennio – a oggi – probabilmente non consideriamo la fabbrica come il luogo deputato a rappresentare il presente, che forse viene meglio raccontato da uffici smart, colletti bianchi e braccia automatizzate.
Eppure la fabbrica, come fosse un entità a se stante, esiste ancora e respira fra noi. È ancora un luogo di attività e di scontri, e che ancora riesce a far sopravvivere famiglie e strutturare destini. Mathieu, nel suo romanzo d’esordio, pubblicato in Francia nel 2014 col titolo Aux animaux la guerre, grazie al quale ha ottenuto il Prix Erckmann-Chatrian e il Prix Mystère de la critique, ce la presenta così: come un vecchio pachiderma stanco che lentamente si sta lasciando morire; come un relitto del passato, qualcosa che avrebbe dovuto cessare di esistere anni fa ma che, proprio in quanto animata da masse di persone che non vogliono perdere la propria identità e che alla fabbrica hanno a volte dedicato l’intera esistenza, è ancora qui fra noi e sta esalando gli ultimi respiri. Il mercato del lavoro, però, è un ambiente dinamico, volendo usare un eufemismo: fra i vari settori della cultura umana è forse quello che meglio rappresenta il motto della selezione naturale, quella sopravvivenza del più adatto (“survival of the fittest”), nel quale non c’è spazio per le debolezze, tantomeno per l’incapacità di stare al passo con i tempi. I costi delle fabbriche sono enormi, i ricavi ridotti all’osso; altrove, nei paesi meno sviluppati, c’è chi chiede di meno per svolgere lo stesso lavoro. Quanto si può sopravvivere?