"La casa sul lago" di David James Poissant: la mutevolezza dell'amore, le maschere e i segreti

 


La casa sul lago
di David James Poissant
NN editore, 2020

Traduzione di Gioia Guerzoni

pp. 352
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

Diceva Robert McLiam Wilson in uno degli incipit più belli della letteratura tutta che «Ogni storia è una storia d’amore»: io credo che lo sia anche questa. Quello che fa Poissant ne La casa sul lago, pubblicato in Italia da NN editore nella meravigliosa traduzione di Gioia Guerzoni, è raccontare dell’amore la sua mutevolezza, a partire dalla famiglia quale centro nevralgico di tutta la narrazione. Una materia complessa dunque, che Poissant maneggia con maestria anche quando la ricchezza della storia rischia un po’ di sopraffare il lettore, nella miriade di spunti, riflessioni, tematiche e digressioni. Ma, alla fine, ogni cosa è riconducibile a questo, alla mutevolezza dell’amore, esplorato da punti di vista differenti. La sua quotidianità, le mancanze, le incomprensioni, gli slanci, i dubbi, il sentimento; l’amore tra partner e quello genitoriale: Poissant ne mette in mostra fragilità e cambiamenti, in un racconto che seppur racchiuso nello spazio di tre giorni d’azione narrativa, apre squarci su una vita intera.
Dopotutto degli Starling, la famiglia al centro del romanzo, abbiamo già fatto la conoscenza: nella bellissima raccolta di racconti Il paradiso degli animali (sempre tradotta da Guerzoni per NN, nel 2015) Poissant osservava la crisi di una coppia – Lisa e Richard Starling appunto – dopo la tragica perdita della loro bambina, la tensione quotidiana, la rabbia soffocata, il senso di colpa, l’incomunicabilità che apriva un divario sempre più grande fra loro; un progressivo allontanarsi e un dolore che non può essere placato nemmeno dalla nascita di un figlio, ma che anzi accresce timori e tensioni.
Non è che abbiamo smesso di amarci, non proprio, solo che ogni volta che guardo negli occhi mia moglie vedo la mia bambina. Lisa sta aspettando un miracolo, qualcosa che ci tenga insieme, uniti nel dolore. Ma l’unico miracolo è avercela fatta fino a ora. (“La geometria della disperazione”, da Il paradiso degli animali, p. 151)
Il loro matrimonio ha attraversato il dolore più profondo, la crisi, l’allontanamento, poi, in qualche modo, sono riusciti a sopravvivere. Ne La casa sul lago, Poissant torna a loro, quindi, agli Starling, trent’anni dopo: se alla fine dei due racconti non potevamo avere la certezza che davvero ce l’avrebbero fatta, ora con questo romanzo sappiamo che il loro matrimonio ha superato la prova del tempo e, soprattutto, del dolore. E li ritroviamo, insieme ai figli Michael e Thad e i rispettivi compagni, nella casa sul lago in cui hanno trascorso ogni estate in famiglia, che ora hanno deciso di vendere per chiudere definitivamente un capitolo della loro vita e trascorrere la pensione in Florida.
La casa sul lago è più vecchia dei suoi figli, una casa mobile degli anni Settanta convertita in abitazione fissa negli anni Ottanta. Lei e Richard l’avevano comprata d’impulso poco dopo la nascita di Michael. Il loro matrimonio era in crisi. Si erano separati due volte e poi erano arrivati a un patto: Basta “forse”. Sarebbero rimasti insieme, nella buona e nella cattiva sorte. La casa sul lago era la stretta di mano. (p. 18)
Un lungo weekend in cui ogni equilibrio va in frantumi. Le crepe, sempre più evidenti sulla facciata, raccontano ferite mai rimarginate, segreti con cui dover fare i conti, insicurezze, tensioni e dipendenze. È una tragedia a scatenare gli eventi: il primo giorno che si trovano sul lago, un bambino cade dalla barca dei genitori e, nonostante il tentativo di Michael di salvarlo, annega nel lago. Un fatto che inevitabilmente sconvolge tutti loro, per ragioni diverse e che mette in crisi il già fragile equilibrio. La finzione, le maschere che da sempre ognuno di loro indossa, si fanno sempre più evidenti e difficili da portare.

Sono davvero numerosi gli spunti di riflessione e le chiavi di lettura di questo romanzo che è anche uno spaccato dell’America contemporanea e delle sue contraddizioni: per intenderci, quella che ha eletto Trump, l’uomo in cui Michael pur essendo cresciuto in una famiglia progressista, genitori stimati docenti della Cornell, un fratello omosessuale, ha deciso di credere per salvarsi dall’abisso del proprio personale fallimento. E trovare qualcun altro da incolpare per i disastro della propria vita. Ecco, in un lungo weekend di parole taciute, antichi segreti e rancori, relazioni provate da incomprensioni e tradimenti, Poissant apre la narrazione a una miriade di tematiche e spunti con cui confrontarsi, sempre attento a non giudicare i propri personaggi, umanissimi e meschini talvolta e verso i quali non è sempre facile provare empatia, ma interessanti proprio perché così complessi, manchevoli, umani.
Tutto rimane taciuto: nessuna offesa, nessun bisogno di dire la verità. Meglio fingere, fare pace, andare avanti. Meglio vivere e morire con i segreti che ogni famiglia mantiene. (p. 329)
Dei numerosi spunti, come sempre ce ne sono alcuni che più di altri colpiscono la nostra sensibilità di lettori e su cui in questa sede mi trovo a ragionare. Al centro di tutto il matrimonio di Richard e Lisa, quell’antico dolore che non ha mai smesso di tormentarli e la quotidianità di trent’anni di vita insieme; del sentimento, dell’amore, Poissant si diceva racconta la mutevolezza ed è proprio per questa sua "dinamicità" che la rappresentazione letteraria diventa reale, riconoscibile. È il rapporto segnato dal tempo, dalle scelte, dalle gioie e dai dolori condivisi, un sentimento che fa i conti con manchevolezze ed errori, con ondate di profondo sentimento e una quotidianità più stabile, con incomprensioni che ancora nonostante tutto mettono in dubbio la certezza di conoscere davvero l’altro. È, a mio avviso, la rappresentazione dell’amore di chi ogni giorno si sceglie.
Questo è matrimonio. Questo è amore. L’amore è mettersi in spalla dei pesi […] e proseguire. (p. 320)
Il dolore per la perdita della figlia June, l’inspiegabilità della morte in culla quando aveva appena un mese, ritornano necessariamente anche in queste pagine, insieme al peso di averne mantenuto il segreto. Poissant indaga con delicatezza il lutto, da punti di vista differenti, il confronto con la perdita, il senso di colpa, la rabbia e la recriminazione, le strade che si scelgono per tentare di trovare una consolazione e, ancora, l’impatto sulla coppia. I silenzi, anche in questo romanzo, sanno farsi assordanti. Le parole non dette, le incomprensioni:
Richard sembrava più felice a casa, in silenzio. Sembrava, perché in realtà il suo silenzio nascondeva un caleidoscopio di sofferenza. Lisa non riusciva a capirlo, allora. Ci aveva messo anni per imparare a vederlo. (p. 167)
I segreti e le maschere da indossare. Sono esseri umani imperfetti, uomini e donne che sembrano volersi condannare all’infelicità. Soprattutto Michael e Thad, ognuno impegnato a combattere con i propri demoni, la dipendenza, la depressione, il senso di fallimento. Figli di una famiglia benestante, cui sentono di aver tradito le aspettative.
Il rapporto genitori-figli è un altro nodo cruciale della narrazione, su cui Poissant si interroga anche uscendo dagli schemi. Sono figli perduti o rifiutati, allontanati. Difficile immaginarsi padri quando il ruolo di figlio viene ancora così male:
E qualsiasi parte di lui che vorrebbe rimuovere quel sentimento considerandolo infantile viene zittita non dall’amore che ricambia – scarso, rispetto a quello di sua madre – e nemmeno dal senso di colpa che prova per non saperle restituire altrettanto amore, ma dalla certezza che mettere un figlio al mondo significa affidare la tua felicità a qualcun altro, significa consegnare il tuo cuore a mani incerte, sprezzanti. Avere un figlio è rovinare se stessi, per sempre, in nome dell’amore. (p. 193)
Impossibile contenere sulla pagina la miriade di spunti e digressioni con cui Poissant travolge il lettore eppure tanta ricchezza, sovrabbondanza, viene in qualche modo arginata dalla scrittura puntuale e, soprattutto, dal cuore della narrazione a cui ogni cosa si riconduce. Come osserva efficacemente Guerzoni nella nota sulla traduzione, non è per niente scontato rimanere tanto affascinati e partecipi in una storia in cui quasi tutti i personaggi sono tutt’altro che simpatici; anzi, diciamolo pure, ci sono dei veri e propri stronzi. Antipatici, deboli, dei perdenti. E anche quelli che eravamo portati di slancio ad amare e apprezzare ecco che un attimo dopo rivelano il loro lato più debole e meschino, le loro mancanze e ossessioni. Ma è proprio in questa loro umanità che troviamo la chiave. Non dobbiamo per forza amarli, comprenderne le scelte. Forse dobbiamo semplicemente riconoscere che l’essere umano è per sua natura manchevole, difettoso, complesso. E che l’amore è la più mutevole delle creature.

Il mondo è pieno di meraviglia, e di amore. (p. 341)