Nulla deve cambiare perché tutto resti com'è: la provincia desolata di Gianni Agostinelli

 

Resti
di Gianni Agostinelli
Italo Svevo, 2020 

pp. 200
€ 18,00 (cartaceo)


Così inizia a uscire più spesso, soprattutto di sera, prendendo dalla scatola dove Aura lascia il suo stipendio qualche banconota, che spende tra bar e prostitute. Lei non gli fa domande, anche se immagina cosa vada a fare. Però non le interessa, anzi, è sollevata perché almeno in quelle ore è lontano da casa. (p. 162)

Ultimamente mi capita di leggere romanzi o racconti ambientati in provincia. Sono spesso storie crudeli, nere, dominate da due elementi che, come pilastri portanti, reggono tutto il resto: l’idea che in provincia niente cambi mai e l’idea che per la provincia non vi sia redenzione.

Il libro di Agostinelli si inserisce in questo filone con un romanzo che è poco meno che corale e copre la vita di tre adolescenti, che nel tempo diventano tre ragazzi, poi tre uomini, poi tre uomini di mezza età mentre intorno a loro quasi tutto resta com’è. A evidenziare lo scorrere del tempo, giusto il prezzo delle cose, che passa dalle lire agli euro, e la comparsa degli smartphone. Nella provincia umbra in cui vivono – che non solo è provincia, ma è anche campagna, altra ambientazione per la quale spesso non c’è scampo – le giornate, i mesi, gli anni scorrono tutti uguali, invariati, senza grandi eventi e grandi aspettative. Le vite di Massimo, Leo e Alceste e quelle delle persone che gli gravitano intorno sono segnate in linea di massima dall’immobilismo.

Ma perché tutto questo? Qual è il fondamento di questa enorme resistenza al cambiamento? La risposta è forse sociologica e può ricollegarsi a quel processo di urbanizzazione iniziato nel novecento e che ancora non ha visto fine, un processo legato all’industrializzazione, all’alfabetizzazione, a un boom demografico ed economico e a tanti altri elementi tipici della contemporaneità... che però sembrano riguardare solo le città. In città, infatti, l’eterna lotta fra centro e periferia è ancora in atto, è vitale, è concreta. In città, nonostante la ricchezza e il virtuosismo di facciata del centro abbiano come contraltare le periferie degradate e spesso sede di crimini efferati, queste ultime trovano spesso il modo di ribellarsi, di evolversi, di redimersi. È questa la potenza della città, o meglio delle storie ambientate in città: c’è un percorso, lo si nota. Anche la periferia più brutale brama il cambiamento.

In provincia questo non accade. La provincia – e quella umbra di Agostinelli ce lo dimostra – è lontana dai luoghi della storia, è sonnolenta, immersa in un eterno presente che solo da lontano assiste in modo passivo a quei cambiamenti che invece travolgono le città.

Massimo, Leo e Alceste, bambini che non hanno mai avuto grandi aspettative e che diventano adulti cinici e senza prospettive, incarnano alla perfezione tutto questo. Non sono gli eroi borghesi dei centri urbani, né gli eroi o gli antieroi proletari delle periferie. Vivono al margine, campicchiando giorno per giorno in attesa che arrivi la sera per poi ricominciare, in attesa che arrivi la fine dell’anno per poi ricominciare. In attesa, in perenne attesa che qualcosa venga a salvarli. Abituati alla mediocrità, sono perfettamente equilibrati: il bene non li attira, il male non li scalfisce se non quando è troppo da sopportare.

Resti è un libro doloroso, in cui gli eventi scorrono da sé e quando si ride lo si fa con amarezza. C'è una ferocia nella scrittura di Agostinelli, nel suo passare oltre senza giudizio, come se le cose andassero come devono andare, che fa quasi male. Per questo è un romanzo che merita (più di) una lettura.

 

David Valentini