Cadrò, sognando di volare
di Fabio Genovesi
Mondadori, 2019
pp. 312
€ 19 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Ma ogni tanto, per fortuna, arriva una piena di emozione, una scarica portentosa e irresistibile ci solleva e ci scaraventa di là, spazzando via regole, abitudini, piani, previsioni, tutti quei sentieri scavati nella roccia a forza di passi prudenti e sempre uguali. E ci spiaccica fradici e storditi oltre il confine, oltre il limite di quello che pensavamo impossibile. (p. 3)
Fabio Genovesi ritorna con un nuovo romanzo, Cadrò, sognando di volare, che ci ricorda che niente è impossibile. A partire dal fatto che a volte l'estate cade a dicembre, come succede all'inizio di questo libro.
Sì, hai letto bene: l'estate può arrivare anche a dicembre.
Vale la pena a volte ricordarsi che tutto può succedere perché spesso è un modo di dire, una frase che ci si scambia davanti a un caffè mentre ci si racconta come va la vita, ma altre volte questa possibilità si trasforma in un imprevisto che la vita te la ribalta davvero.
Come un'onda, immagine cara all'autore che
in un altro romanzo ci ha già raccontato il ritmo dell'esistenza attraverso il mare, la voce di Genovesi ci travolge nuovamente con una storia impetuosa e coraggiosa.
Parla di un ragazzo che con l'autore condivide non solo il nome,
Fabio, ma anche i tratti del carattere e qualcosa in più di alcune randomiche vicende di vita.
Fabio ha ventiquattro anni, studia giurisprudenza senza nessuna passione, è arrivato a questi studi perché a volte capita di raccogliere l'eredità di altri senza aver scelto davvero per sé. E lui, anche se la odia, giurisprudenza la studia lo stesso.
Nell'estate del 1998, per evitare il servizio militare obbligatorio, viene spedito in un ospizio di preti in cima agli Appennini. Il piano originario era andare a Siviglia insieme agli amici, ma le cose non vanno sempre come ti aspetti e magari succede che approdi in una "terra ignota e nuova, che non raggiungi seguendo le rotte e i calcoli, ma solo con la pazzia dell'improvvisare".
A quella terra ignota il protagonista giunge proprio così, senza averlo calcolato e con un po' di malumore. "Almeno potrò seguire bene il Giro d'Italia", si ripete per consolarsi un po'.
All'arrivo si presenta come "l'educatore". Peccato che lì al convento un educatore non serva perché non c'è neanche un ragazzino da educare.