«Spesso mi chiedo dove finisce la mia libertà o verità e dove inizia quella di un'altra persona»: intervista a Giulio Ravizza, sul suo "L'influenza del blu"


L'influenza del blu
di Giulio Ravizza
Bookabook, 2019

pp. 231
€ 15,00 (cartaceo)


Come sarebbe il mondo se il blu scomparisse?
Ma soprattutto la scelta di un mondo senza il blu a che realtà porterebbe?
L'influenza del blu di Giulio Ravizza è un romanzo distopico ambientato in un futuro non delineato. In una Costantinopoli felice, muore suicida un giovane artista, Leone. Da questo momento il corso degli eventi prenderà una piega inaspettata e il lettore seguirà le avventure di Mehmet, che, in quanto incaricato di formulare il discorso di commiato, viaggerà alla ricerca della verità, per scoprire il peso e il valore delle scelte nella vita di ognuno.
Il tema centrale del romanzo è quello della scelta e delle sue conseguenze. Scegliere è un diritto e anche un dovere individuale, al quale nessuno si può sottrarre. Ma quali sono gli elementi che possono guidare alla scelta: la consapevolezza di un mondo migliore? Una felicità effimera? Un mondo nel quale esiste solo il bello? Fino a che punto la libertà di scelta del singolo può arrivare senza limitare la scelta dell’altro?
Queste sono le domande che mi hanno guidata durante l’intervista che ho potuto fare all’autore. Ci siamo in contrati in un bar nel centro di Milano, lo sguardo di Giulio Ravizza mi è apparso subito molto profondo, ma soprattutto fiducioso e anche affettuosamente ironico. Giulio è un manager affermato e un uomo di grande cultura, e questo è stato a me chiaro durante tutta la nostra conversazione: l'autore ha saputo spaziare da esempi a frasi di filosofi, dalla storia alle serie televisive, dalla filosofia alle religioni, sempre con grande precisione e competenza.
La nostra conversazione si è basata principalmente sul libro, ma come sempre, io che amo gli aspetti più tipici e soggettivi di coloro che intervisto, ho posto anche qualche domanda di carattere più personale.

Prima di parlare del libro, una curiosità: come mai hai scelto di devolvere in beneficienza gli introiti legati alla vendita del romanzo?
Non voglio scrivere per soldi e guadagnare. Solo così mi sento libero di scrivere quello che realmente voglio, senza vincoli di nessun tipo. E inoltre sono un amico di Gino Strada e mi faceva piacere dargli una mano nella sua missione per Emergency. Peraltro io nella vita faccio un altro lavoro.

In foto: Gino Strada e l'autore, Giulio Ravizza.
I proventi di L'influenza del blu verranno devoluti a Emergency.
Come ti è venuta l’idea per questo testo?
L’idea iniziale mi è venuta mentre lavoravo per Twitter, poi mi sono preso dei mesi per completare questo romanzo e sviluppare i pensieri. Non sono uno scrittore, ma da sempre amo le parole e scrivo spesso per lavoro, ad esempio i testi delle pubblicità.

Leone associa le persone ad un colore e tu di che colore sei?
Senza ombra di dubbio, il blu del Bosforo.

Ci racconti meglio di questo tuo “blu”?
Io avevo in testa il blu del Bosforo, dove ho abitato alcuni anni fa. Ho scelto un’ambientazione legata a una esperienza personale. Ho vissuto ad Istanbul per studiare, in una bellissima università che dava dal un lato sul Bosforo e dall’altro sul Mar Nero. Questo è uno degli ultimi luoghi di mistero, al di là del fatto che ci sono due continenti, ci sono due mari che si uniscono, da un lato soffiano venti freddi siberiani e dall’altro c’è la Grecia. Si incrociano il profumo del Mediterraneo, i minareti e le chiese e un mare arrabbiatissimo sempre pieno di correnti, mosso e fascinoso. Ancora oggi i Turchi vanno lì e lo guardano, è un luogo di contemplazione, di azione e meraviglia.
E comunque il blu è per natura un colore ambivalente. Piace molto nell’abbigliamento, ma si porta appresso un retaggio di melanconia. Io avevo in testa non solo il periodo blu di Picasso, ma anche Rhapsody in Blue nel blues e “I’m feeling blue” come dicono gli Inglesi quando sono giù di morale.
Ho poi visto che in molte culture il blu è un colore caratterizzato da duplicità: attrae ma lascia tristi.

Blu nell’arte... L’arte senza il blu cosa sarebbe stata?
Domanda simpatica e stimolante perché a volte dobbiamo farci delle domande radicalmente diverse da quelle che ci poniamo ogni giorno.
Talvolta proprio queste domande portano con sé un potenziale ricco di novità. A me questa idea del blu, dell’assenza del blu, della scelta e di tutto quello di cui stiamo parlando è venuta ascoltando la Bohème di Leoncavallo e, a un certo punto, un musicista dice che suona un brano il cui titolo è l’influenza del blu sulle arti. Dopo aver ascoltato quel brano mi sono chiesto come poter suonare un brano così, dato che bisognerebbe immaginare come sarebbe la vita senza il colore. Poi ho realizzato che era un pensiero folle e diverso a sufficienza per scriver qualche cosa che non assomigli a nulla di esistente.

Uno dei primi temi con i quali ci si confronta nel libro è quello dell’accettazione, non solo di se stessi, ma anche da parte dei genitori. Tu ti sei sempre sentito libero di fronte alle tue scelte?
Rispetto ai miei genitori sì,  ma quello è solo una parte del mio pensiero che ho cercato di portare nel libro, ovvero quello che mi domando è se si possa essere universalmente liberi come persone, nelle relazioni nei confronti di un altro. Spesso mi chiedo dove finisce la mia libertà o verità e dove inizia quella di un'altra persona.
Anche nei rapporti genitori figli si scontrano due mondi: il bisogno di appartenere e quello di distinguerci.

Veniamo ora al tema centrale del libro, quello della scelta. Ci vuoi fare qualche accenno?
Sì certo, il lettore si troverà di fronte al protagonista che deve scegliere tra due mondi e il libro vuole parlare di quel tipo di scelte ovvero quelle nelle quali si è di fronte a due scenari, da una parte abbiamo desiderio e sofferenza, dall’altra lasciamo un mondo che conosciamo e nel quale possiamo ferire, ma nel nuovo scenario quale peso ha la serenità rispetto agli altri e al loro sentire?
Il solo fatto di scegliere è un dramma, perché spesso dobbiamo prendere decisioni senza avere gli strumenti per scegliere, abbiamo la metà delle informazioni che ci servono e anche la metà dell’intelligenza emotiva necessaria, eppure dobbiamo scegliere lo stesso.

La non-scelta esiste?
È una illusione, perché anche il non agire è una scelta ben precisa. Inoltre scegliere e non scegliere porta conseguenza anche verso gli altri.

Prima e dopo il blu ha qualche assonanza legata al con e senza Internet, con o senza i social?
In realtà non era nelle mie intenzioni, ma mi incuriosisce questa tua percezione. Nel libro il protagonista possiede l’intellegit che fornisce ogni forma di informazione e di indicazione. Per me si è trattato di un espediente per lasciare spazio alla fantasia narrativa di autore, che consente di lasciare la narrazione guidata solo dalla fantasia.
Peraltro con o senza, prima e dopo sono soggettivi, ognuno pone questa linea a seconda della propria esperienza e del proprio vissuto, tutti abbiamo un prima e dopo qualche cosa.
E comunque a proposito dei social io preferisco un mondo con i social, perché consentono di essere sempre aggiornati, di fare gruppo, di comunicare… Certo, molto dipende dall’uso che ne viene fatto, come in tutti gli aspetti della vita.

Perché hai scelto il genere distopico?
Scegliere di scrivere in un mondo reale, quotidiano, avrebbe avuto dei limiti, mentre scrivere in un mondo distopico ha lasciato spazio alla fantasia in modo totale, mi ha consentito la libertà più assoluta.

Un tema che ho colto nel mondo del prima, ovvero prima che il blu scomparisse è quello dell’ansia da prestazione e del confronto con gli altri.
Mi affascina il concetto di tensione non solo legato a una scelta. Anche la tensione emotiva che si genera dandosi un modello, magari irraggiungibile e dover poi fare i conti sul come fare per raggiungerlo, mi incuriosisce. Nella tensione che si crea si passa dall’accettazione dei propri limiti.

Il blu innato originario e legittimo voleva essere una assonanza con il peccato originale?
In realtà ho pensato più al concetto del più forte in natura, al fatto noi che viviamo in un mondo crudele, non importa che ci sia l’idea di redenzione, accettiamo da sempre che il più forte mangi il più debole.

Nel libro ci si ritrova a pensare a ricordi e a rimpianti... 
Sì, anche qui c’è tensione, nella scelta pesano i ricordi e le esperienze di vita che abbiamo vissuto. Del resto, da sempre più una cosa piace, più se ne vorrebbe!

Ultima considerazione, più personale. Nella parte finale del romanzo si evince che se sei totalmente felice non senti bisogno pungente di altro, non c’è più l’urgenza di capire. Giulio, sei felice?
Premetto che ognuno per essere felice ha bisogno anche degli altri. Per me la base della felicità è la conoscenza di se stessi che si ha nel momento di fare una scelta.
Io mi reputo soddisfatto perché sono riuscito a pubblicare questo libro.

Intervista a cura di Elena Sassi