"Più grande la paura": Storie di bambini e degli adulti che diventeranno

Più grande la paura
di Beatrice Masini
Marsilio racconti, 2019

pp. 167
€ 16,50 (cartaceo)
€ 9,99 (e-book)


Era una casa dei giochi perfetta, se non altro perché nessuno di noi l'aveva desiderata o anche solo immaginata, cosa che l'avrebbe resa irrimediabilmente diversa da sé nel momento della sua venuta al mondo. Invece c'era già, esisteva prima di noi, molo in fondo al giardino, e quando la scoprimmo, la prima volta che Madre e Padre ci portarono a vedere la nostra nuova dimora, scoprimmo anche la misura precisa dello stupore quando è puro (p. 57).
Da un po' di tempo mi sto dedicando a raccolte di racconti che hanno per protagonisti bambini, e così mi sono imbattuta in Più grande la paura di Beatrice Masini (edito da Marsilio racconti, 2019): attraverso sette racconti e una novella l'autrice si immedesima con grande maestria nella prospettiva dei bambini che sono ancora ingenui e puri e ben lungi dal mutamento che avviene nel corso dell'età adulta.
Ma sì, quello che diceva di voler venire a stare qua e fare il bagnino per sempre, aveva preso anche il brevetto, invece è rimasto impigliato nella città, guarda tu i sogni, quello che siamo è tutto qui, e non vorrebbe avere la pancia bianca che da seduto si arriccia in due pieghe proprio sopra l'elastico del costume a braghetta, non vorrebbe essere tirato, stanco, confuso (pp. 18-19).
Ciò che maggiormente colpisce di questi racconti è il punto di vista assai realistico che adotta la Masini, già traduttrice di diversi volumi della saga di Harry Potter di J.K. Rowling, direttrice editoriale della Bompiani, anche autrice di scritti per i più piccoli.
Vincitrice più volte del Premio Andersen, in questa raccolta la narratrice riesce a dar vita a un affresco di bambini spensierati o meno, come la figlia di Byron, bambini svaniti, coraggiosi, fanciulli riflessivi ed emotivi, bambine che cercano di sconfiggere le loro paure leggendo Le tigri di Mompracem e Cime Tempestose.

#CriticARTe - Lo spazio immaginario come essenza della mente creatrice: Claudio Catalano spiega perché in un saggio al crocevia tra scienza e arte

Mindspace.
La costruzione dello spazio immaginario
di Claudio Catalano
Meltemi Editore, 2018

pp. 280
€ 20,00 (cartaceo)



Sareste in grado di definire in poche parole efficaci che cosa sia uno “spazio immaginario”? Sembrerebbe una questione semplice, all’apparenza, eppure non è affatto così. Non fosse altro che anche la parola “apparenza”, in questa sede, risulta particolarmente ricca di significato, e dunque pericolosamente ambigua. Se in linea di massima si può intendere come “spazio immaginario” uno spazio che sia esito, per l’appunto, dell’immaginazione dell’uomo, e dunque della sua mente creativa, ancora ci sarebbe da discutere circa la sua percentuale di autonomia in questo processo. Si immaginano forse altre realtà a partire da zero, per così dire ex nihilo? O non è più giusto affermare che qualsiasi sovrapposizione, interscambio e fusione tra livelli di realtà – concreta e immaginata – siano sempre influenzati dal contesto economico, sociale, culturale, artistico e, non da ultimo, dal livello di sviluppo tecnologico raggiunto in un preciso momento storico? E ancora: in che percentuale agisce, in tutto questo, la mera fantasia? A tutte queste domande ha cercato di dare una risposta Claudio Catalano nel suo Mindspace. La costruzione dello spazio immaginario, pubblicato da Meltemi Editore.

Quei momenti (in)dimenticabili della vita di ognuno di noi: i racconti dal Cile di Juan Pablo Roncone

Fratello cervo
di Juan Pablo Roncone
traduzione di Giacomo Falconi
Edicola ediciones, 2019

pp. 121
€ 13


«Guardo in direzione del ristorante. La donna con la faccia da rana e il cameriere non ci sono più. Il cane smette di abbaiare. Saliamo in macchina.» (p. 85)
Immaginate questa situazione: è notte, state guidando da ore per raggiungere un minuscolo paesino sul lago, quando a un tratto la stanchezza vi coglie e decidete di fermarvi un poco a riposare. Accostate a un autogrill, entrate nel bar, date un’occhiata agli scaffali pieni di cose che siete consapevoli non comprerete mai, però sono lì in esposizione e vi gusta l’idea di perdere del tempo appresso alle confezioni. Prendete un caffè, ascoltate la conversazione fra una ragazza e il barista. Andate in bagno e poi, quando avete deciso di esservi ripresi, uscite. Fuori, prima di rientrare, lanciate uno sguardo al cielo. Le stelle sono fioche in alto, occultate dalle luci della stazione di servizio. Due persone discutono accanto a una macchina, un vecchio si fuma una sigaretta. Restate così qualche minuti a osservare questa scena senza entrare minimamente in contatto con nessuno dei personaggi presenti, infine vi rimettete al volante e ripartite verso la vostra destinazione.

«Entrammo così in intimità, senza preamboli»: quando si scopre che un professore è anche un uomo, alle prese con un presente difficile

Le ultime lezioni
di Giovanni Montanaro
Feltrinelli, 21 marzo 2019

pp. 165
€ 15 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


Senza distacco, senza retorica, mi ripeté più volte di non angosciarmi, di non aver paura. Crescere, mi disse, è perdere opportunità, scegliere una sola esistenza tra le infinite possibili. Lo conosceva bene, lui, lo strazio di dover decidere, di non sentirsi all'altezza di niente. Lo trovava naturale, qualche volta salutare; diffidava delle certezze.
Quante volte guardando uno dei nostri professori abbiamo pensato che la sua vita iniziasse e finisse dentro la nostra scuola? Ora veri e propri miti, ora personaggi a dir poco temuti o addirittura odiati, i nostri professori ci hanno comunque formato e le loro lezioni sono rimaste in noi, come modello da seguire o, al contrario, come qualcosa da rifuggire, oggetto di barzellette, talvolta di ricordi nostalgici. 
Parte forse da una dimensione simile il romanzo di Giovanni Montanaro, Le ultime lezioni, in cui il suo giovane protagonista Jacopo ripercorre gli anni della scuola osservando da vicino la figura del professor Costantini: lui, che ha insegnato Lettere solo per un anno alla classe di Jacopo, e poi si è ritirato dopo un drammatico lutto. 

L'esilarante catena di causa-effetto di "Cosmic Bandidos" di Allan C. Weisbecker

Cosmic Bandidos
di Allan C. Weisbecker
Marcos y Marcos, 2019

Traduzione di Marco Vicentini

pp. 285
€ 18,00 (cartaceo)
€ 7,99 (ebook)


Ho letto più volte il paragrafo a High Pockets, poi ho messo giù il libro, mi sono fumato una canna, ho mandato giù un po' di rum distillato in casa, e ho letto di nuovo quel passaggio.
Fino a questo punto non avevo preso il libro molto seriamente. In realtà pensavo che fossero un mucchio di cazzate, ma devo ammettere che questo ultimo concetto mi ha fatto pensare.
...esistono contemporaneamente differenti versioni di noi stessi in differenti mondi... e ognuno di questi è reale. (p.40)
Se sei un avventuriero-bandido-signore della droga e tutte le agenzie del mondo con la CIA in testa ti stanno cercando, puoi solo nasconderti nel cuore della Colombia e aspettare che passi la buriana. Così pensa il nostro che, in compagnia del cane dalla lingua lunghissima High Pockets e il pitone Legs che ama dormire attorno alla canna fumante di un M16, ha come unico contatto con il resto del mondo il signore della droga decaduto a bandido, Josè. Ma Dio, che non gioca certo a dadi o domino con l'universo, un giorno fa sì che Josè derubi una famiglia americana. Tra le valigie si scopre un bottino interessante: anzitutto, la corrispondenza segreta di Tina, un'adolescente che pare essere molto attiva sul fronte sessuale. E poi libri su libri di meccanica quantistica. Se sei un avventuriero-bandido-signore della droga in clandestinità con poco da fare capisci che questo è il momento giusto per addentrarsi a fondo nella teoria dei quanti. Sicuramente, la quantità illimitata di droghe e alcol a disposizione possono solo facilitare il processo di apprendimento.

Ridere contro il dolore: "Miss Comedy Queen" di Jenny Jägerfeld

Miss Comedy Queen
di Jenny Jägerfeld
DeA, 2019

pp. 255
€ 14,90 (cartaceo)



Sasha non ha ancora compiuto dodici anni, ma ha già un progetto chiaro per il futuro, dettagliato in una lista di obiettivi articolata in sette punti. Alcuni di questi, come tagliare i capelli cortissimi, o vestire colori vivaci, sembrano semplici; altri (non leggere mai più un libro, non prendersi mai cura di un essere vivente) sono invece più difficili da realizzare. Il più importante di tutti, diventare una cabarettista in grado di far sbellicare tutti dalle risate, pare invece quasi impossibile per una ragazzina che, lei lo sa bene, non ha mai avuto le funny bones, ovvero quella capacità innata di risultare comica anche con una sola parola, con un gesto, con un'espressione. Per Sasha, però, è fondamentale rispettare con estrema precisione ogni punto della lista: perché se tua madre si è uccisa a trentasei anni, vuol dire che qualcosa ha sbagliato, e che per non fare la stessa fine è fondamentale prendere strade diverse, essere una persona diversa:
Mamma ha fallito nella vita, ed è morta. [...] Io invece voglio avere successo, e un modo per riuscirci deve essere per forza non fare le cose che faceva lei. Imparare dai suoi errori e fare il contrario. (p. 25)
Così la ragazzina sublima il suo dolore, la sua rabbia, in una missione: inizia a depennare punti, a fare sacrifici senza ammettere quanto le pesino, perché avere un fine concreto aiuta a non pensare al vuoto che si spalanca intorno.

"Nel giardino delle scrittrici nude" si consuma la morte dei premi letterari ancien régime

Nel giardino delle scrittrici nude
di Piersandro Pallavicini
Feltrinelli, 2019

pp. 240
€ 16,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


Dopo La chimica della bellezza e Una commedia italiana Piersandro Pallavicini torna in libreria con un romanzo spassoso e il cui titolo lascia poco spazio all’immaginazione. Nel giardino delle scrittrici nude non vengono spogliate solo le protagoniste della storia, ma vengono smascherate dai belletti dell’alta società le dinamiche che regolano per davvero il mondo della cultura in Italia e, soprattutto, quello dei premi letterari. Una storia che molto dice sul modo tutto italiano (ma anche straniero, chi lo sa) di comporre l’Olimpo degli scrittori e che troverà nella paladina Sara Brivio la sua prima guerriera.

«In questa casa ognuno sopravvive come può»: e a volte, è decisamente "Meglio l'assenza".

Meglio l'assenza 
di Edurne Portela
Lindau, 28 marzo 2019

Traduzione di Thais Siciliano

pp. 204
€ 19 (cartaceo)
€ 12,99 (ebook)


Quanta violenza sanno cogliere gli occhi di una bambina di pochi anni, che vive nei Paesi Baschi degli anni '80 e '90? Ce lo chiediamo fin dalle pagine di Meglio l'assenza, il romanzo che è valso a Edurne Portela il premio come miglior opera narrativa del 2018, assegnato dal Gremio de librerías de Madrid. 
Perché nelle prime pagine la piccola Amaia, stretta al suo coniglio spelacchiato Buni, assiste ai cambiamenti umorali di aita (papà) e di ama (mamma), alle scorrerie dei suoi quattro fratelli e non è difficile immaginarla con gli occhi spalancati davanti al continuo sonno di mamma sul divano, alle botte di papà, alla violenza improvvisa nelle strade. Non c'è scampo, sembra suggerirci l'autrice, e a tutti e cinque i piccoli di casa tocca arrangiarsi, mentre la madre non riesce a rialzarsi per aver bevuto troppo e sulle braccia di tutti compaiono ematomi e altri segni della rabbia paterna. Bisogna arrangiarsi: c'è chi, crescendo, sceglie la fuga nella droga, chi la lotta armata, chi il divertimento fine a sé stesso e pericoloso,... 

Sette ragazze per destabilizzare e assolversi: "Sette ragazze imperdonabili" di Maria Antonietta


Sette ragazze imperdonabili. 
Un libro d'ore
di Maria Antonietta
Rizzoli, 19 marzo 2019

pp. 157
€ 17 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)



Maria Antonietta – al secolo Letizia Cesarini, cantautrice indie – ha scritto il suo primo libro. Si intitola Sette ragazze imperdonabili ed è difficile da classificare. Non è un romanzo, non è un racconto, non è una silloge poetica. È un libro di preghiere laiche in cui si susseguono inserti narrativi e lirici ispirati alla vita e alle opere di sette donne, sei scrittrici e una santa: Emily Dickinson, Giovanna d'Arco, Antonia Pozzi, Cristina Campo, Etty Hillesum, Sylvia Plath e Marina Cvetaeva. 
Nomi che si possono legare in modi diversi: tre suicide, una martire, due vergini, almeno due recluse per propria volontà. Tutte hanno fortemente riflettuto sul divino. Tutte sono state donne estremamente coerenti con loro stesse e col loro pensiero, fino alla morte.

CriticARTe - Una, nessuna, centomila gallerie a Milano: Angela Madesani racconta settant'anni di "intelligenze artistiche" nel capoluogo lombardo

Le intelligenze dell’arte.
Gallerie e galleristi a Milano. 1876-1950

di Angela Madesani
Nomos Edizioni, 2016

pp. 245
€ 19,90 (cartaceo)



Che cosa e chi vi viene in mente se pensate a una galleria d’arte e al suo gestore? Se la vostra memoria vi suggerisce l’atmosfera snob di un salone illuminato al neon stipato di opere per lo più incomprensibili e il profilo scaltro di un mercante pronto a bluffare sul prezzo, con tutta probabilità siete vittima di un pregiudizio negativo sul settore, evidentemente viziato da una certa deriva contemporanea che fa sempre notizia. Del resto non avete tutti i torti: in ogni preconcetto, anche nel più volgare, c’è almeno un lato che aderisce perfettamente alla realtà. Per fortuna le cose non stanno (sempre) così: una galleria può essere molto più di una vetrina, e un gallerista molto più che un ragioniere. Se ne ha la prova leggendo Le intelligenze dell’arte. Gallerie e galleristi a Milano. 1876-1950, lo studio di Angela Madesani pubblicato dalla casa editrice Nomos e dedicato, per l’appunto, alla nascita e allo sviluppo di questo settore nel capoluogo lombardo.

Scrive bene Elena Pontiggia nella sua Presentazione:
«oggi il ruolo delle gallerie nel panorama dell’arte contemporanea è indiscusso e molti studi, come molte mostre, sono dedicati al loro mondo. Questo insieme di ricerche, si intende, non significa affatto considerare il quadro una merce, tanto meno attribuire al valore economico un valore espressivo. Significa piuttosto ricostruire l’attività di quelle gallerie che sono state compagne di viaggio degli artisti e riconoscere l’intuito (…)  di quei mercanti che si sono impegnati in una scommessa difficile, spesso ingrata, sempre rischiosa, per sostenere pittori e movimenti» (p. 9).

#CriticaNera - Diamanti insanguinati e moderna schiavitù nell'ultimo romanzo di Federica Fantozzi

Il meticcio
di Federica Fantozzi
Marsilio, 2019

pp. 332
€ 17 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


I diamanti sono fra i minerali più preziosi al mondo, arrivando a costare anche 15.000 dollari al carato. Nella loro rarissima variante rossa (a oggi ne esistono circa una trentina di esemplari) il prezzo sale a oltre un milione di dollari al carato: il diamante rosso è infatti la pietra più rara e preziosa al mondo. E come in ogni settore redditizio, anche sul traffico di diamanti si è sviluppato un mercato nero che, nella fattispecie, si mescola al traffico e al mercato di esseri umani e ai flussi dei migranti clandestini.
È su queste solide quanto orribili basi che poggia il romanzo di Federica Fantozzi, giornalista di comunicazione economica che ha scritto o scrive per le maggiori testate nazionali, e che dunque conosce bene l’ambiente editoriale e giornalistico in cui si muove la sua protagonista, Amalia Pinter, così come il vasto panorama da cui attingere per supportare la storia di finzione da lei creata.

"Il cuore dorato e incandescente dell'universo": la felicità secondo Peter Cameron

Coral Glynn
di Peter Cameron
Adelphi, 2012

Traduzione di Giuseppina Oneto

pp. 212  
€ 18,00



È la primavera del 1950 quando Coral arriva a villa Hart, per assistere l'anziana padrona di casa, malata terminale. Il clima cupo e opprimente della magione e della foresta limitrofa, accresciuto dall'umidità e dalle piogge continue, si oppone alla giovinezza della ragazza, al suo bisogno di evasione, di libertà. Nel corso di giornate che scorrono fosche, lunghe e sempre uguali, l'infermiera e il Maggiore Hart, reduce e invalido di guerra, si incontrano, si sfiorano, si trovano, si perdono. Sono due persone profondamente diverse, eppure straordinariamente simili: entrambi portano con sé il peso di ferite profonde e insanabili. Fisiche, quelle di Clement, prigioniero di una reclusione autoimposta, che diventa alibi per non affrontare il confronto con il mondo: 
Il corpo sfigurato lo escludeva dalla competizione della vita che più di ogni altra temeva: la categoria di amante e dunque di sposo. Aveva provato un gran sollievo all'idea di essere esonerato dall'amore e dal matrimonio, e da tutte le complicanze e le mortificazioni preliminari e successive. Era una fortuna che gli fossero precluse le relazioni intime, visto che non si era mai sentito a proprio agio con gli altri in generale, e tantomeno con le donne. (p. 66)
Più profonde sono invece le ferite di Coral, che ha alle spalle una storia di violenza, non ha più una famiglia, non ha una casa, e ha tanto paura della felicità da anticipare sempre il momento della sua fine per ridurre la delusione. Quella narrata da Cameron in questo breve romanzo, è la storia dell'incontro di due fragilità, di due solitudini, ma soprattutto è un lungo, mascherato, discorso sull'amore.

Quanto è difficile cedere ai propri desideri proibiti? L'esordio di Gianmarco Soldi, tra thriller psicologico e romanzo di formazione

Cosa resta di Male
di Gianmarco Soldi
Rizzoli, 2019

pp. 330
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


Un noir?, mi sono chiesta all'inizio, stringendo tra le mani Cosa resta di Male, perché i colori della copertina potrebbero essere perfetti, così come il titolo, se non fosse per quella maiuscola... Sì, perché Male sta per Malena, una ragazzina dall'aria misteriosa e con un grande segreto, una ragazzina che cambierà per sempre l'esistenza dell'adolescente Amato Zago. O forse la sua vita è cambiata quando, da bambino, la cuginetta Gioia ha schiacciato con la scarpa una lucertola e, dopo avergli ricordato che tutti prima o poi dovremo morire, gli ha imposto di baciarle il piede, "come a una principessa". Allora qualcosa si è rimescolato nel sangue di Amato che, ingenuamente, ha iniziato a chiedersi se fosse una brutta cosa amare tanto i piedi delle bambine prima e delle ragazze poi. Un segreto, insomma, un doppiofondo che Amato ha cercato di nascondere il più possibile, un po' per vergogna, un po' per paura di essere anormale per la sua ossessione, sempre più difficile da contenere negli anni della pubertà.

L'universalità atemporale di Yukio Mishima in "Medioevo & Il palazzo del bramito dei cervi"

Medioevo & Il palazzo del bramito dei cervi
di Mishima Yukio
Atmosphere libri, 2019

Traduzione e testi critici di Virginia Sica

pp. 226
€ 17,00


Medioevo & Il palazzo del bramito dei cervi, edito da Atmosphere libri nella collana asiasphere (progetto nato con l’obiettivo di far conoscere in Italia titoli di alta qualità provenienti dai paesi dell’Asia orientale e del Sudest asiatico, ponendo l’attenzione sia sulle letterature giapponesi e cinesi sia su alcune realtà letterarie ancora poco o quasi del tutto inesplorate, come quelle della Corea o dell’Indonesia), raccoglie in un volume dall’elevato valore accademico due testi di Yukio Mishima, inediti in Italia, ma che rappresentano la perfetta esemplificazione della classicità universale del padre della letteratura moderna giapponese e della sua coerenza ideologica e stilistica in una «”continuità ellittica” di ispirazioni, temi e prassi letterarie» (p. 194, apparato critico di Virginia Sica).

#IlSalotto - La maternità come luogo degli estremi: una conversazione con Silvia Ranfagni

Foto di Simona Caleo
Per leggere Corpo a corpo bisogna essere disposti a mettersi in gioco in prima persona, esporsi a un testo che scaverà solchi e porrà domande a cui non si potrà sfuggire. Perché Corpo a corpo non parla solo alle madri, parla a tutte le donne, tutte le chiama in causa. Le obbliga a confrontarsi con le pressioni sociali che gravano su di loro, che scelgano di dare la vita, o che preferiscano non farlo. Il romanzo di Silvia Ranfagni (trovate qui la recensione) è importante e coraggioso perché non ha paura di porsi come pietra d'inciampo: non ha paura di smontare i tabù, di denunciare le ipocrisie, di utilizzare immagini forti, a tratti poco ortodosse, in grado però di toccare nell'intimo le lettrici che abbiano il coraggio di guardarsi dentro. Il tema dell'apertura, del resto, è centrale nell'opera, che utilizza la maternità come metafora per una più ampia riflessione sull'accoglimento e l'accudimento dell'Altro (necessaria ai nostri tempi).  Attraverso le figure di Beatrice, Elsa e il piccolo Arturo ("tre chili e nessuna pietà", per parafrasare l'incipit) molti temi, complessi e articolati, vengono affrontati con intelligenza e lucidità dall'autrice. Proprio per questo abbiamo voluto raggiungerla, per farci dire qualcosa di più.


Non è facile, da donna e madre, mettere a nudo gli aspetti più problematici e incongrui della genitorialità: cosa ha mosso la tua narrazione?
La maternità è il luogo degli estremi: noia, insofferenza e senso di oppressione inclusi. Volevo dare voce a questo sommerso e contribuire a rompere i tabù, partendo dalla mia stessa frammentazione. Ho usato un linguaggio politicamente scorretto e mi sono servita di una protagonista così egocentrica da risultare liberatoria, a volte comica nella sua intolleranza all’Altro. È una madre però che non arriva mai ad essere ‘mostro’, non finisce in cronaca, non è abusante, non fa niente di così pericoloso e quando si accorge di essersi spinta oltre il limite, ha i mezzi necessari per correre ai ripari. È una come tante, ma privilegiata: non solo può pagare un’altra donna per svolgere il duro lavoro dell’accudimento, ma prima di questo privilegio ha potuto fare ‘solo’ la madre. In questo avverbio ’solo’ c’è un grande inganno culturale contemporaneo.

#CriticARTe - Alla ricerca di Frida: l'omaggio "topografico" di Ian Castello-Cortes alla più importante artista messicana

Cercasi Frida disperatamente
di Ian Castello-Cortes
L’ippocampo, 2019

Traduzione di Daniela Magnoni

pp. 148
€ 12,00 (cartaceo)



Chiunque volesse andare alla ricerca di Frida Kahlo non dovrebbe addentrarsi in nessun luogo se non nei suoi dipinti: questi, difatti, furono sempre il ritratto semplice e fedele della sua realtà, e non, come spesso è stato creduto e ancora si tende a credere, la trasposizione più o meno onirica e fantastica del suo mondo interiore. Era lei stessa a dichiararlo, dopotutto, e al netto delle precauzioni con cui bisognerebbe interpretare i commenti degli artisti sul proprio operato, la visione dei quadri della pittrice messicana resta il modo più efficace per avvicinarsi alla sua verità, e non solo a quella estetica. Personaggio amatissimo anche al di fuori della cerchia degli studiosi e degli addetti ai lavori, icona popolare e femminista al centro di un interesse relativamente recente che ne ha fatto conoscere la straordinarietà del percorso biografico e del processo creativo attraverso mostre, monografie, documentari, biopic (e non poco merchandising), Frida ha dato origine a un autentico culto post mortem. Un culto che ha ovviamente il suo pellegrinaggio, e che grazie a Cercasi Frida disperatamente, lavoro di Ian Castello-Cortes appena pubblicato in Italia da L’ippocampo, può essere compiuto da chiunque e comodamente da casa.

Il colore dei fiori: perché la bellezza fa (ancora) paura?


Il colore dei fiori
di Darroch & Michael Putnam
L'Ippocampo, febbraio 2019

Traduzione di Paolo Bassotti

pp. 482
€ 25


Aprite la mente a ogni forma di bellezza. Constance Spry
Al centro de Il colore dei fiori di Darroch e Michael Putnam si trova la bellezza; è l'estetica il fulcro, l'anima narrante del libro, una corposa serie di fotogrammi che ritrae in deliziosa sequenza 400 tipi diversi di fiori, che si snodano tra le pagine del volume in una scala cromatica dal bianco candido ai toni del viola e quasi del nero.
Darroch e Michael Putnam sono una coppia nella vita e nel lavoro: la loro storia professionale si avvicina alla favola, o più prosaicamente alla realizzazione dell'American Dream che fa sognare milioni di esseri umani. Si conoscono giovanissimi, si innamorano, lavorano per anni nel settore del design d'interni (Michael) e del fotoritocco (Darroch), fino a che l'hobby comune di creare e fotografare composizioni di fiori li conduce a un servizio su Vogue e, a seguire, all'inaugurazione del loro Studio sulla 28esima West, dal quale dedicarsi ogni giorno alla loro passione.

#CritiCOMICS - Dracula l'impalatore: l'uomo dietro il vampiro, secondo Matteo Strukul

Vlad. Le lame del cuore
di Matteo Strukul (testi) e Andrea Mutti (illustrazioni)
Feltrinelli Comics, 2019

€ 14,00



Con questo graphic novel da poco edito da Feltrinelli, Matteo Strukul ritorna ai temi storici, di cui è esperto e appassionato, in forma nuova. L'obiettivo è raccontare, in una trilogia impreziosita dalle belle illustrazioni di Andrea Mutti, la vera storia di Vlad III, signore di Valacchia e Transilvania, reso famoso dalla sua sete di sangue e dalla versione vampiresca che ne trasse Bram Stoker.
Paradossalmente, il successo avuto dal personaggio di Dracula, sia nella versione letteraria, che nelle innumerevoli trasposizioni cinematografiche, ha messo in ombra la figura storica a cui questo si ispirava. Strukul vuole dunque riportarla alla luce, ponendone in evidenza i caratteri di complessità. Vlad Dracul fu infatti un uomo volitivo e passionale, dall'ampia cultura formatasi nei tempi che trascorse in gioventù alla corte del sultano turco, padre di quel Maometto II che sarebbe diventato suo acerrimo nemico.

L'epopea di un uomo normale: "Tu non ci credere mai" di Alessandro Marchi

Tu non ci credere mai
di Alessandro Marchi
libro/mania, DeA Planeta Libri, 2018


pp. 422
€ 9,90 (cartaceo)
€ 1,99 (ebook)



«Ai nonni, le cui vite hanno fatto la Storia»

Recita così la bellissima dedica che apre il romanzo Tu non ci credere mai di Alessandro Marchi, classe 1979, scrittore («non esageriamo», rimbalza subito Alessandro dal suo sito Internet). E invece sì, caro Alessandro, scrittore.
Perché, allo stesso modo in cui i nonni, con le loro stesse vite, e spesso, malgrado loro stessi, hanno fatto la Storia, così tu hai saputo prendere l'esistenza, grama, ma così importante, di tuo nonno Aldo e l'hai trasformata in una storia. Da leggere, rileggere. Raccontare. L'hai fermata sulla carta, per evitare che il tempo, passando da una generazione all'altra, la disperdesse, come polvere al vento.
Fin dalle prime pagine ho intuito che questo romanzo mi sarebbe piaciuto: ho avuto infatti un nonno la cui vita, per tanti motivi, è stata molto simile a quella del nonno di Alessandro. Mio nonno Ferruccio, nato anche lui nel 1911, buttato, suo malgrado, anche lui, nel 1935, nell'inferno della Guerra d'Africa, una volta tornato a casa rimase vedovo, anche lui, come il protagonista del libro, con figli piccoli, cresciuti in collegio, da suore che d'istinto materno avevano assai poco. Perché poi mio nonno, in guerra, a differenza del nonno di Alessandro, fu costretto a tornare. E senza mamma, i bimbi, nella fattispecie mia madre, crescevano in collegio. Queste poche righe personali solo per dire che tanti nonni potrebbero avere storie profonde e toccanti da raccontare, essendo stati lanciati dal dado della Storia in un periodo così tremendo, ma non tutti hanno nipoti come Alessandro che, grazie a indubbie capacità narrative, sappiano trasformare queste storie in romanzi.

Uno sguardo "occhiuto" su un'umanità "bizzarra": le novelle di Amalia Guglielminetti

Tipi bizzarri. Novelle
di Amalia Guglielminetti
Rina Edizioni, 2018

Prefazione di Silvio Raffo
1^ edizione: Arnoldo Mondadori, 1931

pp. 217
€ 15,00 (cartaceo)



Amalia Guglielminetti, chi era costei? Com'è purtroppo assai probabile, il nome di questa scrittrice sarà del tutto sconosciuto ai più. Il che, del resto, è un peccato d’oblio condiviso con le autrici (e non solo italiane) volutamente dimenticate dalla critica e dai manuali di storia della letteratura. Oggi, però, questa colpa può essere emendata grazie al lavoro della Rina Edizioni, nata all’inizio del 2018 con l’intento programmatico di dare nuova vita a tutte quelle pubblicazioni a firma femminile che, date alle stampe tra Ottocento e Novecento, andarono incontro loro malgrado a un ingiusto destino di dimenticanza. Del resto, per inaugurare la collana “Libertarie: voci di scrittrici italiane” non si poteva prediligere una madrina migliore dell’autrice di Tipi bizzarri, raccolta di novelle del 1931: originalità e anticonformismo sono difatti le due parole chiave per intenderne la biografia alla pari della prosa, e magari anche per desiderare di somigliarle almeno un po’.

Raccontare quello che non somiglia alle cose del mondo

Fuoco al cielo
di Viola Di Grado
La Nave di Teseo, 21 marzo 2019

pp. 233
€ 19 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


Esce oggi in libreria il quarto romanzo di Viola Di Grado. È un romanzo sulle oscillazioni tra amore e orrore: non c’è storia che parli del primo senza farlo anche del secondo, ha detto l’autrice in occasione delle prime presentazioni del libro. È anche un romanzo sui corpi e sulla coabitazione tra vivi e morti in un angolo di mondo malato, un paese della Russia, Musljumovo, devastato dalle conseguenze di un disastro nucleare. Lì Tamara – un’insegnante – si preoccupa che i bambini contaminati non si ammalino ancora di più, non vadano a giovare al fiume radioattivo. E lì Vladimir – un infermiere – si confina per curare quelli che erano stati abbandonati da tutti. Anche Tamara, a poco a poco, viene abbandonata da tutti, perché è pazza agli occhi degli altri. Solo Vladimir tenta a suo modo di restare accanto a lei, in una relazione di amore che – a Musljumovo – non può che essere malata, nelle parole, nelle azioni e finanche nell’erotismo. Ed è una relazione che non può avere frutti: dall’avvelenamento non può nascere un figlio sano. E infatti nasce morto, malformato. Tamara non si riprenderà mai dal tutto da un desiderio di maternità razionalmente rifuggito ma intimamente coltivato. Per questo quando una telefonata misteriosa la avvisa del fatto che il suo bambino, il suo Alëšen’ka, anni dopo il suo parto senza vita, è lì nel bosco e la attende, Tamara non esita a farsi madre e ad accogliere con sé una creatura diversa da tutte le altre, “l’essere più strano e fragile della Terra”.

«Prima trascinava con sé il dentro, ora è il dentro a trascinarlo giù con sé»: torna in libreria Eleonora Caruso

Tutto chiuso tranne il cielo
di Eleonora C. Caruso
Mondadori, 2019

pp. 155
€ 17 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


Non è che io lo odi, anzi, voglio bene al mio corpo, s'impegna molto per portarmi in giro, ma... forse mi appartiene meno dei miei post, no? Quella sono io. Sono i miei pensieri, per quanto stupidi o banali. Quindi, anche se mi buttassi, non riesco a immaginare che in effetti morirei. Alla fine, io mi sento più vera online che offline. (p. 105)
Amare il proprio corpo, sfamarlo, imparare a sentirlo e a rispettarlo, chiedergli di non essere solo un sostegno, un guscio, ma qualcosa in grado di agire e di sorprenderci: Julian non sa fare niente di tutto ciò. Chi ha letto Le ferite originali, potentissimo romanzo di Eleonora Caruso, ha già fatto la conoscenza del giovane fratello di Christian, tanto bello quanto instabile, egoista e potenzialmente un pericolo per gli altri, oltre che per sé: nel nuovo Tutto chiuso tranne il cielo, il focus si sposta proprio su Julian e sul suo ritorno dal viaggio in Giappone. Ancora più magro, ancora più scollato dalla realtà, ancora più silenzioso e introverso, Julian trova una Milano collosa, in un giugno umido e bollente che gli fa rimpiangere il Giappone. Da là, ha portato con sé una valigia di merendine dai colori improbabili, che mescolano gusti chimici e innaturali: forse l'unica cosa che Julian riesce a mangiare, quando i morsi della fame si fanno sempre più crudeli. 

Intuizioni: di crepe e bellezza, in un’atmosfera onirica e pericolosa

Intuizioni
di Alexandra Kleeman
Black Coffee edizioni, novembre 2018

Traduzione di Sara Reggiani

pp. 240
€ 15 (cartaceo)



Ci sono volte in cui il semplice essere al mondo equivale a strofinare la pelle nuda sulla carta vetrata, in cui ogni tipo di movimento produce un’abrasione, lasciandoti ferito e vulnerabile alla prossima aggressione. (p. 189, “Sangue finto”)
Scrivo, cancello e riscrivo pensando al modo migliore per parlare di questa raccolta di racconti. Per farlo con onestà, senza cedere a toni accademici e lunghe digressioni sulla short story e il suo impatto nel panorama editoriale contemporaneo, ma semplicemente con il desiderio di alimentare il dialogo sulla forma breve, suscitare un dibattito magari, semplicemente riflettere su un libro dagli interessanti spunti di lettura. Una brevissima premessa, però, mi sento in dovere di farla: non è un testo facile, Intuizioni, di Alexandra Kleeman. Non lo è se non si frequenta più o meno regolarmente la forma racconto, soprattutto nelle sue sperimentazioni attuali; non lo è se si cerca una narrazione regolare, rassicurante, una voce chiara, capace di dare risposte univoche; non lo è se il particolare, il frammento, emblema della forma breve e qui portato quasi al suo estremo, ci lascia interdetti, insoddisfatti quasi. Per contro, se tutto quanto appena detto ci intriga, se non abbiamo timore di vedere dove l’intuizione – perdonatemi, vi prego, il banale gioco di parole – e il dettaglio ci possono portare, ecco, può essere il libro per noi. Per quel che mi riguarda, ho un debole per i racconti, forse per meglio dire “per un certo tipo” di racconti, e ho apprezzato molti aspetti di questa raccolta, a partire dal senso di destabilizzazione che la sua lettura mi ha suscitato. Certo, ci sono anche numerosi dettagli che non mi hanno convinta del tutto, a partire dalla brevità estrema di alcuni racconti (e non intendo semplicemente il numero di battute) ma, in generale, Intuizioni è una prova apprezzabile, e alcuni racconti sono davvero intensi, si insinuano sotto pelle.

#CritiMusica - Una bellissima uscita, targata Clichy, per ricordare il "Duca bianco".

David Bowie - L'uomo che cadde sulla terra
a cura di Pippo Delbono
Firenze, Clichy, collana Sorbonne, 2016

pp. 128
€ 7,90 (cartaceo)

È il 1969 e per la prima volta un uomo mette piede sulla superficie lunare: è Neil Armstrong, che entra nella storia, pronunciando le parole «Questo è un piccolo passo per l'uomo, ma un grande balzo per l'umanità.» Nello stesso anno, un giovane artista londinese, David Robert Jones, meglio conosciuto come David Bowie, fa uscire una delle canzoni che costituiranno uno dei suoi più grandi successi, Space Oddity:
Ispirata dal film 2001 Odissea nello spazio di Stanley Kubrick e incentrata sulla saga dell'immaginario astronauta Major Tom, Space Oddity è la prima ballata spaziale della storia del rock e la capostipite del filone fantascientifico che diverrà una delle firme del repertorio dell'artista. Il successo della canzone è tale da spingere Bowie a realizzarne persino versioni in altre lingue, tra cui Ragazzo solo, Ragazza sola, con testo di Mogol, per il mercato italiano. (pp. 12-13)
pp. 72-73
Questo pezzo dimostra fin da subito al mondo le capacità di questo nuovo artista affacciatosi sulla scena musicale inglese: abilità nel cavalcare il momento, nell'anticipare le tendenze, ma soprattutto coraggio nello stupire gli spettatori, ribaltando luoghi comuni e convenzioni. In più di un'occasione, Bowie saprà reinventarsi e trasformarsi, offrendo al mondo versioni di sé sempre nuove e stupefacenti.

Qualche anno dopo, nel 1972, il cantante confermerà questo suo talento, presentando Ziggy Stardust ed entrando, così, nella storia della musica mondiale. Gli spettatori ancora non sanno di assistere ad una vera e propria svolta nella storia personale di Bowie, così come non possono immaginare che le canzoni di quel giovane artista affacciatosi da pochi anni sulla scena musicale inglese faranno il giro del mondo, rendendolo una vera e propria icona. Le sue scelte influenzeranno in più occasioni il corso della musica, stupendo tutti con le proprie evoluzioni.

Cosa accadde in quel giorno del 1929: inizia la serie di West Table di Daniel Woodrell


La versione della cameriera
di Daniel Woodrell
NN editore, 2019

Traduzione di Guido Calza

pp. 240 
€ 18

Lui le regalò un anello e una collana e una grossa spilla che lei indossava più spesso dell’anello, visto che quest’ultimo era prezioso e per suonare doveva toglierselo. La coppia avrebbe dovuto far visita ai nonni materni di lei a Rover, ma la pianista che suonava di solito all’Arbor era rimasta bloccata a Cape Girardeau e con riluttanza Lucille aveva accettato di sostituirla, cosicché il ballo si sarebbe tenuto e le sue amiche si sarebbero divertite. Senza mai perdere il sorriso, Ollie stava seduto su un davanzale a guardarla. L’esplosione li scagliò in direzioni diverse, e tre giorni dopo lui identificò Lucille dalla spilla che le era bruciata in profondità nel petto. (p. 88)

Quando nella vita di qualcuno accade qualcosa di rilevante, la tentazione di guardare agli eventi precedenti come un percorso necessario per arrivare proprio in quel punto, in quel momento, è fortissima: le cose sono andate così perché dovevano andare così, perché esiste un destino che lega i fili rossi di ognuno di noi e tutto puntava a quella direzione. Se poi ciò che di rilevante accade è un evento tragico – l’esplosione di una sala da ballo, attrazione centrale di una minuscola cittadina americana, gremita di gente – ecco che il senso di predestinazione diventa insormontabile.
A poter raccontare la vicenda sono i sopravvissuti, ché ai morti la voce non è mai concessa, di loro resta l’immagine persistente nella memoria dei singoli e in quella collettiva. E di verità, intorno all’esplosione della Arbor Dance Hall del 1929, ce ne sono un’infinità, una per ogni abitante di West Table, ma quella narrata in questo libro è, appunto, la versione della cameriera, Alma DeGeer Dunahew, nonna del protagonista Alek, che per anni si porta dentro la sua verità prima di raccontarla al nipote. Lei, come tutti gli altri, non possono dimenticare ciò che è successo, ed è forse proprio l'impossibilità di raggiungere la pace dell'oblio acuiscono ulteriormente il senso di maledizione e i rimorsi dei viventi.

Danzare l'amore «sempre più vicini al crinale spaventoso ed eccitante del nostro futuro»: il nuovo romanzo di Cristiano Cavina

Ottanta rose mezz'ora 
di Cristiano Cavina
Marcos y Marcos, 23 gennaio 2019

pp. 197
€ 17 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)

«Siete mai stati innamorati di una puttana? Non una facile, come intendono i maschi frustrati: voglio dire, siete mai stati innamorati di una che va con gli uomini per soldi? Una normalissima ragazza italiana con i capelli neri e le fossette in fondo alla schiena, che riceve fra un turno di lavoro e l'altro in un monolocale che sa di umido e dell'odore morente di un falso gelsomino? Io sì. Che Dio mi maledica, io sì. Ed è stata la storia più pura e innocente di tutta la mia fasulla vita di merda».
Cancellate dal vostro immaginario Pretty Woman, Moulin Rouge e tutti i precedenti smaccatamente romantici che avete in mente. Questo Ottanta rose mezz'ora di Cristiano Cavina ha deciso di sporcare la favola del principe azzurro che ama la cortigiana di turno; manterrà invece intatto l'amore inteso come ossessione, fantasia del corpo dell'altro, attrazione irresistibile
In una giornata come tante altre, l'io narrante Diego, scrittore di una certa fama che si arrabatta e riesce a vivere di presentazioni e diritti di vendita, si imbatte in un'insegnante di danza, ballerina fallita eppure amante del suo lavoro: l'attrazione è immediata, assoluta, anche se la ragazza è già impegnata. Eppure Sammi - questo è il nome della ballerina - entra con i suoi passi leggeri nella vita di Diego, così come lui entra nella sua, possedendo il suo corpo, ora in circostanze piuttosto scomode, ora sulla branda del grigio monolocale di lei. La miseria in cui vive Sammi è palese, a cominciare dal suo stupore e dall'entusiasmo quando accompagna Diego in una delle tante presentazioni in giro per librerie: basta una buona colazione in albergo a commuoverla, lei che è instancabile, amante generosa e disponibile. 
Ma l'idillio - sempre estremamente carnale, la conoscenza tra i due parte e sembra sempre tornare al loro corpo - dura poco: i debiti di Sammi sono sempre più opprimenti e alcuni imprevisti la portano a un'idea estrema: e se mettesse il suo corpo in vendita, per un periodo di tempo limitato? Se fossero altri a possederla, ma solamente per soldi, lasciando fuori le emozioni? 

#CriticaNera - “Sara è tornata, nel mio primo libro manifestamente politico”

Le parole di Sara 
di Maurizio de Giovanni
Rizzoli, 12 marzo 2019

pp. 350
€ 19 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


È tornata Sara Morozzi, la protagonista di Maurizio de Giovanni che – dopo il commissario Ricciardi e l’ispettore Lojacono – sceglie una donna invisibile per interpretare Napoli e il noir. Un anno dopo Sara al tramonto e un anno dopo averlo incontrato a Palazzo Mondadori a Milano, Rizzoli ci invita a misurare la distanza di quest’anno e a ritrovare autore e protagonista, freschi di stampa con Le parole di Sara. 

In mezzo a una decina di bloggers, De Giovanni è più in forma che mai, e – come ci dice subito – anche il noir italiano lo è: prima ancora di iniziare a parlare del libro l’autore si lancia in un’appassionata rivendicazione del genere. I premi e i salotti continuano a guardare con distanza a quello che lui chiama “il grande movimento del noir”, ma fortunatamente lo spazio editoriale non manca, come la collana neroRizzoli, che è “una grande dichiarazione di intenti”, dichiara soddisfatto de Giovanni. “Il romanzo nero racconta l’Italia frammentata, e la racconta per strada, come non fa mai nessun altro”, aggiunge. “Il romanzo nero racconta le città. E Sara è un animale metropolitano. È un personaggio che immagineremmo più come newyorkese che napoletana. E invece vive qui e ora”.

A lezione di letteratura con Vladimir Nabokov

Lezioni di letteratura
di Vladimir Nabokov
Adelphi, 2018

a cura di Fredson Bowers
traduzione di Franca Pece

pp. 526
€ 26,00



Se avete capito appieno dove voglio andare a parare, allora abbiamo fatto un gran passo avanti nella comprensione del mistero dell'arte letteraria, perché penso che ormai sia chiaro che il mio corso, tra le altre cose, è una specie di indagine poliziesca sul mistero delle strutture letterarie. Ricordate però che quanto riuscirò ad approfondire non esaurisce affatto l'argomento, che ci sono parecchie cose - temi e aspetti di temi - che dovrete scoprire da soli. Un libro è come un baule pieno zeppo; alla dogana, la mano di un funzionario vi affonda dentro per un'ispezione frettolosa, ma colui che cerca tesori lo controlla minuziosamente, palmo a palmo.

"Un'indagine poliziesca sul mistero dell'arte letteraria": la migliore dichiarazione di poetica sulle proprie lezioni l'ha data Nabokov stesso mentre raccontava Casa Desolata di Dickens ai suoi studenti. Siamo nel 1948: lo scrittore è stato nominato Associate Professor alla Cornell University (Ithaca, Stato di New York) e qui tiene negli anni una serie di corsi sui maestri della narrativa europea e sulla letteratura russa in traduzione inglese. Seleziona un gruppo di romanzi e racconti inglesi, russi, francesi, tedeschi dell'800-'900 che gli permettano di sviluppare un discorso su due aspetti specifici: l'attenzione al genio individuale e le strutture dei romanzi.  Quattro anni dopo, nel 1952, insegna come Visiting Professor ad Harvard. 

Lezioni di Letteratura, edito da Adelphi, riunisce in un volume le lezioni così come furono presentate in aula ed è un'opera che nasce in seguito ad attenti interventi redazionali mirati a restituirle nella loro forma più autentica, ricostruendole dagli appunti manoscritti dell'autore, degli studenti e dalle poche battute a macchina della moglie Véra, preziosa co-creatrice delle opere di Nabokov che leggiamo oggi. Gli studiosi che hanno lavorato sugli appunti hanno fatto un viaggio impegnativo tra le note a margine, gli schemi abbozzati sulle strutture delle storie, le parentesi che esprimevano concetti imprescindibili, le digressioni e tutte quelle frasi di collegamento che un professore prepara per le sue lezioni prima che prendano vita nello spazio dell'aula. 
Gran parte dello sforzo fatto è legato alla ricostruzione del discorso nello stile e nella sintassi: una lezione non è come una rifinita conferenza, raccontarla significa tenere conto di libertà, ripetizioni, incongruenze, frammenti di citazioni che in questo volume riacquistano forma armonica, come fossero un unico grande discorso sull'arte del romanzo, come se le lezioni si fossero tenute una dopo l'altra in uno stesso tempo 0.

"Sarebbe stata conferma che ho la vista buona, che l'ho avuta sempre": Giuseppe Ungaretti critico d'arte

Ungà. Giuseppe Ungaretti e l’arte del XX secolo
a cura di Angela Madesani
Nomos Edizioni, 2014

pp. 135
€ 14,90



Che cosa serve per dare vita a una mostra come “Ungà. Giuseppe Ungaretti e l’arte del XX secolo” e all’omonimo catalogo pubblicato dalla casa editrice Nomos? Innanzitutto l’ammirazione per uno tra i più famosi poeti del Novecento italiano, cultore di pittura e scultura nonché amico di alcuni tra i più importanti artisti del suo tempo. Occorre, poi, una galleria – in questo caso la prestigiosa Galleria Biffi Arte di Piacenza – nella quale esporre proprio una selezione di opere di quegli autori che furono cari all’illustre uomo di lettere. E ci vuole, non ultima, la cura appassionata di una studiosa come Angela Madesani, che insieme a Giulia Torra è andata alla ricerca di tutti gli scritti del poeta dedicati alle arti visive, in particolare di quelli che non furono pubblicati nel 1974 da Mondadori nel volume Ungaretti. Vita di un uomo, saggi e interventi, facente parte della collana “I Meridiani”. Il risultato è duplice: non solo un evento espositivo che, tra il dicembre 2014 e il febbraio 2015, avrebbe fatto la gioia degli occhi (e del cuore) dell’amico “Ungà” (così lo chiamava il pittore Jean Fautrier), ma un’occasione per farne conoscere in modo ancora più completo le opinioni sull’estetica novecentesca, ovvero quelle che affidò a giornali e riviste dagli anni Venti agli anni Sessanta del secolo scorso.

La stravagante, inquieta, irrisolta dinastia dei Michelangelo nel nuovo romanzo di Vanni Santoni

I fratelli Michelangelo
di Vanni Santoni
Mondadori, 2019

pp. 607
€ 20 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


In questo suo nuovo romanzo, l'autore di La stanza profonda e L'impero del sogno abbandona il mondo fantastico per dedicarsi a un romanzo familiare a dir poco intricato. L'albero genealogico dei Michelangelo, rappresentato nelle prime pagine, ha avuto una improvvisa complicazione, quando Antonio Michelangelo ha avuto ben cinque figli da tre donne diverse (senza contare le altre numerosissime donne che hanno costellato la sua vita!). E il romanzo parte proprio dalla lettera dell'ormai anziano Antonio, che vuole incontrare tutti e cinque i figli in una data e a un orario ben stabiliti. Peccato che ognuno dei suoi figli sia lontano, completamente immerso nelle proprie battaglie personali (chiamarle "affari" sarebbe riduttivo) e soprattutto... non tutti sono a conoscenza degli altri! 

#CritiCOMICS - La nostra inquietudine nelle illustrazioni di Labadessa


Bernardo Cavallino
di Labadessa
Feltrinelli, 2019

pp. 128 
€ 16


Per chi non lo conoscesse, Mattia Labadessa emerge come autore nel 2016, quando crea l’omonima pagina Facebook sulla quale riporta le disavventure del suo uomo-uccello. Il suo mondo, se escludiamo il nero delle scritte, è tricolore: corpo rosso, sfondo giallo, qualche spruzzata di bianco. A dominare sono i colori e le forme piatte, i personaggi fluttuanti nel vuoto, le didascalie irregolari scritte a mano, perlopiù brevi battute intorno agli eventi quotidiani dei giovani ma spesso anche complessi ragionamenti dal sapore esistenziale-nichilista. L’arma vincente di Labadessa in ogni caso, l’elemento che ha fatto emergere e poi esplodere il fenomeno, è stata la capacità di saper cogliere da un lato gli aspetti tragicomici della nostra epoca, e dall’altro quella di saper analizzare con una profondità singolare spesso celata dalla leggerezza dei dialoghi, le paure e i dubbi di una mente che non sa smettere di pensare (questa è, secondo me, una delle vignette più riuscite, perché credo che chiunque si sia ritrovato almeno una volta assalito durante la notte da domande semplici che poi si sono trasformate in fiumi di pensieri in grado di frantumare qualsiasi tentativo di addormentarsi).

#LectoriInFabula - "La regina delle nevi", ovvero di come Andersen ci aiuta a diventare adulti

La regina delle nevi
di Hans Christian Andersen
L’ippocampo, 2015

Illustrato da Sanna Annukka
Traduzione di Eva Kampmann

p. 88
€ 15,00 


La regina delle nevi di Hans Christian Andersen è una storia che è in realtà sette storie, ognuna delle quali contiene tutta la crudeltà e la poesia delle fiabe per bambini. Di ognuna di esse proprio i bambini sono protagonisti: bambini sperduti e soli nel "vasto mondo", che diventa palestra dura, ma necessaria, per l'esistenza
Il primo ad avventurarcisi è Kay, che non vede più il mondo per quello che è davvero. Infatti nel cuore gli è penetrata la scheggia di uno specchio dannato, nell'occhio un bruscolino: così ora non vede più la bellezza in ciò che lo circonda, non riconosce più i buoni sentimenti; il diavolo in persona, colui che divide, che si mette sempre in mezzo, lo separa quindi in questo modo subdolo e inavvertito – se non nei suoi effetti funesti – dalla sua compagna di giochi, la dolce Gerda, avvicinandolo invece all'amore possessivo e mortifero della regina delle nevi.

Quanto può essere vera e crudele una risata sull'amore?

La casa di cartone
di Roberto Moliterni
Quodlibet, 2018

pp. 168
€ 14 (cartaceo)

Ogni nostra preferenza viene infilata in un algoritmo: l'attrazione è una questione di chimica e la chimica è matematica. (p. 11)
Dunque, è davvero possibile prevedere tutte le tappe di una parabola amorosa? Sembrerebbe di sì, a leggere La casa di cartone: una sorta di saggio sociale, satirico e divertente, ma anche drammaticamente realistico. 
Se avete tra i trenta e i quarant'anni, avete qualche volta flirtato su Facebook, incontrato il vostro lui / la vostra lei pensando a una serata diversa e poi le cose hanno preso una piega inattesa (amore - relazione seria - convivenza), ecco che all'inizio di questo librino riderete di gusto. Penserete qualche volta "è successo anche a noi!" e vi divertirete a rileggere in chiave satirica il primo appuntamento, le prime notti insieme, la prima obbligatoria gita all'Ikea (per comprare una tazza per lo spazzolino, certo, ma indovinate con quanti oggetti apparentemente fondamentali si arriva alla cassa?), gli incontri con gli amici di lui e di lei,...

Le nebbie di Avalon. Parte seconda - Le donne divengono per la prima volta protagoniste del ciclo arturiano

Le nebbie di Avalon. Parte seconda (titolo originale: The Mists of Avalon)
di Marion Zimmer Bradley (traduttore: Flavio Santi)
HarperCollins, 2019
(prima edizione in lingua originale: Baen, 1983;
prima edizione in lingua italiana: Longanesi &C., 1986)

pp. 554
€ 22 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)



In quella stagione, a Lothian, sembrava quasi che il sole non tramontasse mai. La regina Morgause si svegliò quando la luce cominciò a insinuarsi tra i tendaggi (p. 13).
Tornare a leggere le avventure di Morgaine, Arthur, Gwenhwyfar, Lancelet e tutti gli altri numerosi personaggi che popolano i regni di Avalon e Camelot, è un po' come avviarsi nuovamente lungo la via di casa.

Le nebbie di Avalon. Parte seconda possiede quel linguaggio tanto discorsivo e lineare che già avevamo trovato nella prima parte dell'opera e si avvale della nuova e moderna traduzione di Flavio Santi, che non fa percepire ai lettori i quasi quarant'anni trascorsi dalla prima apparizione di questo romanzo.
La vicenda riprende dal punto in cui era terminato il primo libro, ovvero con Morgaine che, scoperti i complotti della Dama del Lago, Viviane, fugge da Avalon e si reca a Camelot, presso la corte del fratello e re Arthur: ciò che nessuno dei due immagina è che il figlio che i due hanno generato senza essere a conoscenza delle rispettive identità sarà la causa dell'annientamento del padre e del suo regno.

#PagineCritiche - Non c'è libertà senza legalità: le parole di un grande uomo e giurista risuonano di una eco immortale

Non c'è libertà senza legalità
di Piero Calamandrei
Laterza, 2019 (edizioni precedenti: "Anticorpi", 2013)

pp. 72
€ 9 (cartaceo)
€ 5,99 (ebook)

La libertà, come fervore di vita dello spirito, come vitalità morale, non sono le leggi che possono crearla in chi non la vuole; ma per chi l'ha e vorrebbe praticamente esplicarla in opere, sono le leggi che debbono praticamente assicurargli la libertà politica di poter esplicare la sua libertà morale (p. 5).
Chiunque abbia mai preso tra le mani un libro della facoltà di Giurisprudenza o abbia respirato anche solo per un breve periodo l'odore dei manuali delle leggi, non potrà rimanere indifferente di fronte al nome di Piero Calamandrei: avvocato, politico e accademico tra i più illuminati, celebri e competenti ai quali il nostro Paese abbia mai dato i natali. Tra i suoi innumerevoli lasciti possiamo senza dubbio ricordare l'attiva partecipazione ai lavori parlamentari come componente della Commissione per la Costituzione italiana.

Proprio quando pensavo di aver oramai letto o studiato tutte le opere del grande Calamandrei, ho saputo che sarebbe uscito Non c'è libertà senza legalità (Laterza, 2019, edizioni precedenti: "Anticorpi",2013), originato dalla risistemazione delle 75 pagine manoscritte databili al 1944  e intitolate Libertà e legalità contenute in un fascicolo della Donazione Cappelletti sita a Montepulciano (Siena), e pervenute all'Archivio Calamandrei di Montepulciano nel 2009.

"La città di smeraldo": niente è al sicuro, il fallimento incombe

La città di smeraldo e altri racconti
di Jennifer Egan
Mondadori, 2019

Traduzione di Giovanna Granato

pp. 211
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


«La giovinezza è il tempo del fallimento o, meglio, è il tempo dove il fallimento dovrebbe essere consentito. È quel tempo che esige il tempo del fallimento, dell’errore, dell’erranza, della perdita, della sconfitta, del ripensamento, del dubbio, dell’indecisione, delle decisioni sbagliate, degli entusiasmi che si dissolvono e si convertono in delusioni… del tradimento e dell’innamoramento…», scrive Massimo Recalcati su Minima & Moralia. Eppure il fallimento tocca tutte le età, nei racconti di Jennifer Egan, raccolti per la prima volta nel 1993 e ora finalmente in Italia. 
Non c'è realtà che tenga: nei suoi undici racconti, protagonisti più o meno giovani, più o meno in carriera, più o meno soli fanno i conti con i propri limiti. Qualche volta ne restano impastoiati, spesso riescono a capire che può ancora attenderli una svolta. 

Di madre americana: Laura Laurenzi racconta Elma Baccanelli, e con lei una città e un'Italia che non c'è più

La madre americana.
Un’educazione sentimentale nell’Italia della Dolce Vita

di Laura Laurenzi
Solferino, 2019

pp. 260
18,00 € (cartaceo)


Nascere a Roma all’alba degli anni Cinquanta è una condizione di partenza capace di esporre anche la più qualunque delle esistenze a suggestioni sempre in bilico tra realtà e immaginazione. Da una parte le asprezze del secondo dopoguerra, con i fiori secchi del conflitto da mettere tra le pagine dei brutti ricordi o da custodire sotto campane di vetro, pronti per i memoriali futuri; dall’altra la Dolce Vita in boccio, ammaliante di nuovi colori, fragrante di nuove distrazioni. Il desiderio di rinascita e la gioia genuina per le ritrovate certezze quotidiane convivono con la seduzione di sogni mai sognati, miti mai adorati, abitudini mai avute prima. La cosiddetta Hollywood sul Tevere è più che mai il grande set cinematografico che ancora oggi non smette di coccolare l’immaginario collettivo, uno sconfinato teatro di posa – epperò a cielo aperto – in cui la Storia è (come da sempre) in ogni dove, mentre le storie passeggiano, corrono e si rincorrono tra le sue tracce. Laura Laurenzi, celebre giornalista di costume e firma del quotidiano “La Repubblica”, è la figlia perfetta di quella città  che le fece da tata nell’infanzia e da chaperon nella prima giovinezza, e che tuttavia fu pur sempre una nutrice comprimaria rispetto a Elma Baccanelli, la madre naturale. Proprio a lei, La madre americana del titolo, è dedicato il suo ultimo libro, appena pubblicato da Solferino.