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Invito al Nobel: "Dopo il divorzio" di Grazia Deledda

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Dopo il divorzio
di Grazia Deledda
Studio Garamond, 2016

pp. 265
€ 14,50

Nella Sardegna post unitaria, tra rocce, pecore e sole battente, Giovanna Era si dispera per la sorte del marito. Costantino Ledda è stato accusato per l'omicidio del ricco zio Basile dopo anni di cattiverie e soprusi. Il neonato Regno d'Italia è veloce e netto nei giudizi e l'unico accusato di un caso di omicidio non ha speranza di assoluzione. Costantino viene spedito in carcere e lascia la moglie e il figlio di pochi mesi a vivere di stenti e senza possibilità di ricostruirsi una vita. Per fortuna il Regno pensa a queste situazioni ed emana una legge ad hoc:
- Farà divorzio, ecco tutto. Ebbene? C'è una legge che alle donne, il cui marito è condannato a molti anni di reclusione, permette di riprendere marito. (p. 76)
Giovanna, che è nelle mire del ricco, ma volgare e spilorcio Brontu Dejas, ha forse la possibilità di ricominciare da capo e lasciarsi alle spalle il suo primo, disgraziato matrimonio. Ma l'inaspettata liberazione di Costantino e il suo ritorno al paese mostreranno la fragilità di questa legge fatta per dividere ciò che Dio ha unito.

Dopo il divorzio è il primo romanzo che Grazia Deledda scrisse in seguito al matrimonio con Palmiro Madesani e il suo trasferimento a Roma. Romanzo ritenuto tra i minori e da poco ristampato da Studio Garamond, porta in luce un momento legislativo molto importante per la storia italiana: l'annosa questione del divorzio.
Il divorzio in Italia ha una storia lunghissima. A causa (o grazie, a seconda dei punti di vista) della forte opposizione della Chiesa e dei movimenti politici di stampo cattolico, l'Italia ha dovuto aspettare fino agli anni Settanta per vedere inserito il divorzio nel proprio ordinamento giuridico. La strada per arrivare  alla legge Fortuna-Baslini è stata lunga e disseminata di primi tentativi di inserimento già pre-unitari. Il romanzo della Deledda fa riferimento al decreto del 1902 emanato dal governo di Giuseppe Zanardelli che non ebbe una particolare fortuna e che decadde poco dopo. Però l'attenzione sul problema era stata posta e la voce dell'autrice fu la prima a sviscerare la questione in forma romanzata.
Dopo il divorzio mette perfettamente in chiaro le due spinte opposte che lavoravano a favore e contro il divorzio: il potere secolare e quello religioso, dicotomia che l'Italia da sempre fa fatica a scrollarsi di dosso. Da una parte, la religione e il folklore che intride la terra sarda, sono rappresentati da quelli che Manzoni avrebbe definito "gli umili", o che nei film americani diremmo "i buoni". Costantino, che ritiene di essere stato condannato non già per l'omicidio, ma per il suo "peccato mortale" ovvero aver prima contratto matrimonio civile e solo dopo religioso con la sua Giovanna; Zio Isidoro, il cacciatore di sanguisughe, che canta gli inni ed è la voce della coscienza di Costantino e del paese tutto. I personaggi di contorno come la famiglia Porru che ospita Giovanna e la madre Bachisia durante il processo e che ritiene la faccenda del divorzio un affare sporco. Il potere secolare e del nuovo Regno è composto dai "dottori" che non parlano latinorum, ma quasi. L'avvocato Pededdu, viscido e vorace; il dottore del paese, maligno e dedito all'acquavite. 
Giovanna è un complesso miscuglio di queste ideologie: è una donna cresciuta nel timore di Dio, innamorata del marito, ma che di fronte alla prospettiva di morire di fame e in miseria è costretta ad una scelta pragmatica, quella di ottenere il divorzio e risposarsi con Brontu Dejas. 
- E andate a farvi benedire, allora, se non comprendete la ragione! Vivere bisogna, sì o no? E quando non si può vivere, quando si è poveri come Giobbe? Quando non si ha lavoro, non si ha nulla, nulla, nulla? Ma ditemi voi, zia Porredda, e se in me fosse stata un'altra donna? E se non ci fosse stato il divorzio? Ebbene, che sarebbe accaduto? Il peccato mortale; sì, allora sarebbe accaduto il peccato mortale! (p. 160)
Ma proprio per questa sua scelta sprofonderà ancora di più nella perdita della grazia: in paese verrà additata come "moglie di due mariti", la figliola avuta dal nuovo matrimonio verrà battezzata "come una bastarda" e anche se ammessa in una famiglia benestante verrà trattata come una serva e sarà alla mercé della tirchieria della suocera.
L'opera della Deledda è stata liberata, negli ultimi anni, dalla gabbia del verismo: questa connotazione è però innegabile in Dopo il divorzio. Zia Martina Brontu, la suocera di Giovanna, è visceralmente attaccata alla "roba", un Mazzarò in sottane e capace di filare anche al buio. Zia Bachisia, la madre di Giovanna, ha occhio lungo sul nuovo matrimonio perché, una cosa è obbedire alle leggi di Dio, altra cosa è obbedire a costo della morte per stenti. La descrizione del paesaggio sardo è venato di nostalgia, quella dell'autrice appena trapiantata nella capitale.
Il battesimo si fece verso le undici, una mattina freddissima e nebbiosa. Dal cielo candido cadeva, intorno intorno al paesello, un fitto velo bianco; le straducce erano deserte, sparse di pozzanghere agghiacciate che sembravano frantumi di vetro sporco: un silenzio indescrivibile regnava sullo spiazzo davanti la casa dei Dejas, dove il mandorlo disegnava la venatura nera dei suoi rami nudi sul candore vaporoso della nebbia. (p. 208)
Grazia Deledda vinse il premio Nobel nel 1926, prima italiana, "per la sua ispirazione idealistica, scritta con raffigurazioni di plastica chiarezza della vita della sua isola nativa, con profonda comprensione degli umani problemi": Dopo il divorzio, anche se meno famoso, è perfetta incarnazione di questa motivazione e una chiara finestra sul mondo deleddiano anche per chi ci si affaccia per la prima volta.
Giulia Pretta