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L'anno del ferro e del fuoco - Cronaca della Rivoluzione russa

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L'anno del ferro e del fuoco - Cronache di una rivoluzione
di Ezio Mauro
Feltrinelli, 2017

pp. 256

€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (e-book)

"Di notte, cent'anni dopo, tutto sembra com'era, in questa composizione intatta di storia e di luce, di marmi e di fato, di ghiaccio e di memoria. Cammino da un ponte all'altro fino al canale Prjaka cercando una finestra. Al numero 57 di via Dekabristov, dove il poeta Aleksandr Blok passava ore al buio, in quelle notte, guardando il «freddo violetto» di Pietrogrado e, oltre la finestra, la «Russia che vola chissà dove, nell'abisso azzurro-blu dei tempi»".
Quest'anno ricorre il centenario della Rivoluzione russa e, tra i tanti saggi che invadono le librerie, diventa arduo sceglierne uno che riesca ad essere attendibile ed autorevole.
Quello del giornalista Ezio Mauro, però, - direttore de La Repubblica per vent'anni ed ora firma del gruppo L'Espresso - appare davvero come una lettura interessante ed accurata degli eventi che accaddero nella Russia imperiale, e lo dimostra partendo dal dicembre 1916 per poi continuare la narrazione e giungere a quell'ottobre 1918 che avrebbe cambiato le sorti non solo di un Paese, ma del mondo intero:
"Tutto quel che è accaduto dopo comincia qui. Anche se sembrava un inizio, ed era la fine del mondo".
Il testo, intitolato L'anno del ferro e del fuoco. Cronache di una rivoluzione ed edito da Feltrinelli, prende le mosse dai numerosi reportage pubblicati durante quest'anno sul quotidiano La Repubblica (del quale Ezio Mauro è stato corrispondente a Mosca dal 1988 al 1990) e ricostruisce le vicende di alcuni tra i personaggi più significativi di quell'epoca, tracciando il ritratto di un Paese che avrebbe mutato per sempre la sua fisionomia politica e ideologica.

Le pagine scorrono via veloci, mentre pare di vedere davanti a noi il ciclone che investì la Russia, le grida del popolo in rivolta nel febbraio del 1917, l'agitazione dei soldati pronti ad intervenire e, dall'altra parte, l'aristocrazia rinchiusa nel Palazzo d'inverno, convinta che niente di tutto quello che aveva caratterizzato il passato fino a quel momento potesse mai mutare, inconsapevole degli stravolgimenti che invece, di lì a poco, si sarebbero verificati.

Questa cronaca si legge con la stessa velocità di un articolo di giornale, ma ha il ritmo incalzante di un romanzo d'avventura, di una biografia di personaggi ormai lontani dalla nostra epoca, eppure il loro ritratto emerge così vivido, da farceli apparire incredibilmente vicino.
Ezio Mauro inizia questo viaggio soffermandosi fin da subito sulla figura del contadino siberiano semianalfabeta Rasputin, lo starec (mistico cristiano ortodosso) che riuscirà ad entrare nelle grazie dello zar Nicola II e della zarina sua consorte, Alice d'Assia e del Reno.
Rasputin, infatti, trova il punto debole della casa reale, ossia la mancanza di un figlio maschio dopo le tre femmine, e quando finalmente nasce Aleksey pare essere il solo capace di predire che l'emofilia del piccolo guarirà, così i due regnanti si affidano a lui ed egli lentamente riesce ad acquisire una grandissima influenza all'interno della corte, tanto da spingersi a dichiarare:
"Tra queste dita io tengo l'impero russo".
La figura di questo santone è l'emblema di una monarchia in declino, il simbolo di un regno legato al misticismo e fortemente influenzato da questo, lontano dalle esigenze del suo popolo, dalle sue richieste, dalle proteste sempre più incessanti che esploderanno in una Rivoluzione.
Pare quasi di sentirli, quei due treni che entreranno nella Storia, quello su cui viaggia Nicola II ed a bordo del quale lui firmerà l'atto di abdicazione al suo trono, e quello che riporta a Pietrogrado Lenin, dopo 17 anni di esilio, mentre già cova la decisione di sterminare ogni membro della famiglia imperiale.

A testimonianza di questi eventi, oggi al primo binario della stazione di Finlandia, a San Pietroburgo, vi è una copia del treno piombato (in realtà di quello con cui Lenin riparò in Finlandia) custodita sotto una teca di cristallo,
"come se la rivoluzione (...) si potesse mettere sotto vetro, quasi fosse una reliquia".
È un mosaico composto da mille avvenimenti e da tantissimi uomini e donne questo bel saggio, come Vjačeslav Molotov,
"l'uomo nuovo generato dal febbraio, a cavallo tra borghesia e rivoluzione, tra la Russia di ieri e quella di domani",
o il poeta Aleksandr Blok, chiamato a stenografare i verbali d'interrogatorio dell'impero sconfitto dalla rivoluzione:
"La parabola di Blok è quella di gran parte dell'intellettualità russa, tradita e colpita dalla rivoluzione dopo essere stata sedotta",
degli scrittori Boris Pasternak e Vladimir Nabokov, disillusi e delusi dalla Rivoluzione, tanto da giungere a lasciare la Russia ormai in mano a Lenin,
"quelli che non lo facevano, o avvizzivano laggiù o adulteravano il proprio talento uniformandolo ai dettami politici dello Stato",
è la Russia di Trotzky, che dopo la presa del Palazzo d'inverno (oggi sede del Museo statale dell'Ermitage) dichiara:
"L'insurrezione ha vinto (...) senza spargimento di sangue".
È un Paese che si sveglierà un giorno e si ritroverà senza la guida politica (e anche spirituale dello zar), è un Paese le cui tracce forse si rinvengono ancora oggi,
"la Chiesa non sapeva come esistere, dopo aver funzionato da ideologia popolare di massa per il regime, accettando la sottomissione imposta da Pietro il Grande ma ricevendo in cambio il beneficio cortigiano della religione di Stato, privilegiata e riconosciuta".
L'anno del ferro e del fuoco, grazie anche ad un ottimo apparato fotografico e ad una accuratissima bibliografia, costituisce una cronaca avvincente, un ottimo reportage di tutti gli eventi e le circostanze che hanno condotto alla Rivoluzione di ottobre, uno degli eventi che più sconvolsero il '900, ma con un occhio critico che nulla ha della fredda impersonalità che si può trovare nei libri di storia, bensì restituendoci un ritratto fatto anche di passioni, di quotidianità, di uomini che hanno demolito il giogo del potere zarista.

Quella dell'Ottobre russo fu una rivoluzione che sancì una decisa apertura verso le libertà politiche, i diritti sociali, quelli di parola ed opinione, anche se il sogno di un mondo più egualitario e giusto si infrangerà ben presto contro il feroce partito leninista, che garantirà il potere assoluto ai cospiratori bolscevichi.

È una descrizione accurata anche del pensiero degli intellettuali russi che quei giorno li vissero sulla propria pelle, come Anna Akhmatova, e che lessero con tragica premonizione la scomparsa di una monarchia e la venuta di una nuova dittatura.

Solo nel 1998 sono emersi dal bosco i resti della famiglia Romanov che hanno consentito il riscontro con il DNA e la canonizzazione della famiglia "martire imperiale".
Le vicende di quegli anni ci vengono raccontate da Ezio Mauro con un'attualità che sembra presa da un giornale di oggi, con efficace sintesi e chiarezza:
"Un potere che voleva abolire il culto delle reliquie perché non credeva nell'oltretomba, ha usato ideologicamente salme, sepolcri, funerali e cenere, decretando attraverso i corpi immortalità e sventura".

Ilaria Pocaforza