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L'importanza di riaprire il baule dei ricordi: "La storia di Willie Ellin", romanzo inedito di Charlotte Brontë

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La storia di Willie Ellin
di Charlotte Brontë
traduzione di Alessandranna D'Auria
Flower-ed, 2016

pp. 67


€ 15,00 (cartaceo)
€ 7,99 euro (ebook)


Tutti noi abbiamo sognato almeno una volta di trovare nei cassetti del nostro scrittore preferito, se questo è ormai passato a miglior vita da tempo, un romanzo inedito, pronto da leggere, per ritrovare i suoi personaggi, riconoscere la sua scrittura, reimmergersi nel mondo da lui costruito.
La storia di Willie Ellin, assieme ad Emma, fa parte di un dittico scaturito dalla penna di Charlotte Brontë, finora rimasto inedito e stampato nel novembre di quest'anno da Flower edizioni.
Cominciare a leggere le prime pagine è come riaprire il baule dei ricordi: subito dentro di noi si affacciano i personaggi di Jane Eyre, de Il professore, le ambientazioni vittoriane e le case isolate nella campagna inglese: l'effetto tipicamente proustiano, da madeline, di questo romanzo fa sì che nella lettura si possano felicemente ritrovare tutti i tipici elementi brontiani. Lo dice bene Alessandranna D'Auria, traduttrice del testo e autrice della ricca ed elaborata postfazione che chiude il volume. In essa, con abile maestria e profonda conoscenza dell'opera brontiana, la D'Auria fornisce una lettura intertestuale de La storia di Willie Ellin, chiamando in causa anche gli altri romanzi della Brontë. Ma facciamo un passo indietro: quando e come nasce quest'opera?


Gli anni che vedono la stesura di quest'opera non sono i più facili per Charlotte Brontë: nel 1853, ad un passo dal matrimonio con il reverendo Arthur Bell Nicholls, la Brontë accetta di sposarsi solo per mettere a tacere un'atavica paura, quella di invecchiare in solitudine. Un'unione tardiva, che vede la Brontë trentottenne, ormai troppo “vecchia” per la società dell'epoca e quindi costretta ad accettare la corte dell'unico uomo che volesse unirsi a lei. Il padre, che fino a quel momento si era opposto alla sua uscita di casa, non la accompagnò nemmeno all'altare.
Tutta la confusione, l'amarezza, il tormento e la paura, unite al rimorso per aver rifiutato una prima volta la proposta di matrimonio del reverendo e alla preoccupazione per il suo futuro solitario, si rispecchiano in questo romanzo, che risente di tale momento difficile.
Il testo, composto da cinque capitoli, presenta molteplici cambiamenti e diverse inversioni di rotta, configurandosi poco unitario e difficilmente comprensibile ad una prima e superficiale lettura: come nota giustamente anche la D'Auria nella sua postfazione, i primi tre capitoli si configurano come tre inizi, e il passaggio dalla prima persona alla terza, così come il cambio di nome della residenza – da Ellin Hall a Ellin Balcony – sono tutti indizi della sua natura embrionale.
Nel primo capitolo, a parlare è Willie Ellin adulto, che racconta ciò che è accaduto alla tenuta dopo la morte del fratello maggiore, di cui accenna soltanto il carattere tirannico, in un breve doloroso ricordo; nel secondo la narrazione, sempre in prima persona, sembra invece affidata ad un personaggio dalla natura misteriosa (è forse il fantasma di Willie Ellin a parlare? Oppure la sua anima trasmigrata in un essere animale, dato che più avanti dice «mi avvicinai furtivamente all'edificio tramite un pezzo di terra»?) che non rivela nulla di rilevante, solo che egli è in un certo qual modo legato alla residenza:
Chi sono io? Ero il proprietario della casa? No. Ero l'inquilino residente, che forse la prendeva in affitto pagando la retta? No. Ero un figlio della famiglia? No. Un inserviente? No. Non fatemi più domande perché è difficile darvi una risposta. Ero là ed ero la mia casa.
Ricordo la prima volta che la vidi. Ripresi conoscenza e in vista del bagliore di un raggio crepuscolare. Uscii dalla terra – non scesi dal cielo e ciò che per primo mi accolse e che parve spingermi alla vita fu un grande disco alto sopra di me, un globo, chiaro e roccioso e desolato. […] Non so se mai sono stato legato al genere umano, o fuso al mistero dell'esistenza come altri uomini o donne. Siccome non v'erano reliquie dormienti vicino al balcone, ero risorto? La Notte, mia madre, mi aveva partorito nubile, in tale vitale o mortale assenza? (pp. 14-15)
Nel capitolo successivo, il terzo inizio, ritroviamo la tenuta e la governante Widdup, che ora ha cambiato nome in signora Hill, immerse in una notte ventosa. Un rumore ferma il lavoro ai ferri che accompagna la sua serata: qualcuno bussa alla porta. È Willie Ellin, stavolta presentatoci come bambino in carne e ossa, tangibile, che cerca riparo dal fratello violento. Da qui la narrazione scivola verso piani più coerenti, comunque sempre palesemente deficitari di una revisione definitiva, fino ad arrivare all'ultimo capitolo, il quinto, il quale si interrompe improvvisamente, senza una conclusione e con molti interrogativi sospesi. Il più urgente di questi riguarda la figura che consola Willie Ellin dopo il crudele pestaggio del fratello, una donna la cui identità resta sconosciuta:

Qualcuno poi si avvicinò a Willie, sedette accanto a lui sul bordo del lettino, un braccio lo avvolse, un altro lo guidò verso una spalla calda, labbra gli baciarono la fronte e occhi piansero sul suo collo. «Povero ragazzo! Povero ragazzo maltrattato!»
La voce che pronunciò queste parole apparteneva a chi di età non era molto più grande di Willie: a parlare sembrava una ragazza di diciassette anni, in fiore, e con caratteristiche che, se prestavano interesse in quel momento alla pietà, davano in cambio una bellezza distinta, indubbia, innegabile. Eleganti, infatti, erano gli occhi che stillavano lacrime su Willie e le amorevoli braccia, le mani, le labbra da cui fu protetto e calmato. (pp. 29-30)
Una consolazione di cui probabilmente sentiva il bisogno la stessa Charlotte, pressata dal giogo della volontà paterna e reclusa, con le ali legate, in una vita a metà, divisa tra il desiderio di autoaffermazione e libertà e la paura di restare da sola.
In ogni caso, chi è questa ragazza che si avvicina al protagonista? Una cameriera? Un'altra sorella? Non è dato sapere, così come non è dato sapere del destino di Willie, poiché la storia si conclude in maniera altrettanto ambigua:
Dalle gentili mani fu messo a letto amamorevolmente, vegliato finché si addormentò, fu baciato nel dormiveglia, e poi il guardiano si ritirò, per badare a lui nella notte, per vigilare contro le molestie e per prepararsi con minaccioso sintomatico istinto alla risoluta difesa. (p. 31)
Queste ultime parole, che sembrano quasi prefigurare una prosecuzione in cui la ragazza possa prendere le difese di Willie, ci lasciano in realtà ancora più nel dubbio.
Ciò che quindi risulta evidente è lo stato embrionale del testo, confuso, con cambiamenti ingiustificati, certamente da rivedere. Tuttavia, mettendo da parte tutto ciò che è innegabilmente sintomo di una prima stesura, La storia di Willie Ellin si presenta come una grande promessa non portata a termine, in cui è possibile vedere ciò che la grande scrittrice inglese aveva già mostrato in Jane Eyre, pubblicato nel 1847.  Purtroppo, morendo nel 1855, appena un anno dopo il matrimonio, la Brontë non ebbe la possibilità di rimettere mano a questo scritto.
Come nota acutamente la D'Auria, in esso, oltre al tema dell'infanzia rubata, di matrice dickensiana, è possibile fare dei collegamenti con le opere precedenti della Brontë, sia per quanto riguarda la presenza di un protagonista maschile, avvicinabile all'omonimo William Crisworth del ciclo di Angria, sia per quanto riguarda le caratteristiche di tale personaggio, che lo rendono affine all'eroina più famosa della scrittrice, Jane Eyre. Scrive la D'Auria:
Charlotte decise di aprire la sua carriera letteraria adulta e consapevole di un possibile pubblicazione, con quel William Crimsworth che sembra una proiezione futura di William Ellin: entrambi con un fratello maggiore despota, entrambi da loro dipendenti economicamente. (p.36)
Eccoci ancora nella cucina di Ellin Hall, immersa nel silenzio e nella solitudine ai margini di una brughiera – sempre presente nelle ambientazioni bronteane – con un bimbo stoico, adulto come tutti i bimbi di Charlotte e come lo fu lei, controllato e posato, padrone di se stesso che di colpo prende la scena. Una Jane Eyre al maschile. Freddo e distaccato. Fuggito di casa per evitare la violenza del fratellastro notevolmente maggiore d'età (sposato e uomo d'affari), Willie torna in quella che era stata l'antica magione di famiglia. Picchiato, ferito ma sempre dotato di autocontrollo, le angherie subito da Willie riportano alla scena in cui Jane Eyre subisce la violenza dell'altrettanto piccolo (e infantile di mente e di età) John Reed. Ma stavolta non c'è una stanza rossa nella quale rifugiarsi, non ci sono fantasmi di zii defunti e crisi febbrili. Qui c'è la sicurezza di un riparo, lontano da casa, sicurezza ingenua, infranta dall'arrivo tempestoso di Edward, di nuovo pronto ad alzar le mani, riflesso violento di Branwell, antica eco dell'Heatcliff ardimentoso padrone di Cime tempestose di Emily e che verrà estremizzato in Arthur Huntingdon da Anne con La signora di Wildfell Hall. (p. 41)
La figura di Branwell, fratello delle ragazze Brontë, merita un'ulteriore approfondimento, poiché egli, morto nel settembre del 1848, a causa di un miscuglio letale di alcool, oppiacei e depressione, sembra tornare quasi ossessivamente nella scrittura delle Bronte, sia nei passaggi che la D'Auria ha appena illustrato, sia per quanto dice dopo:
Edward Ellin è palesemente strutturato su Branwell: lo sfortunato fratello morto tra droga, alcol ed eccessi d'ira, proprio come supponiamo per il destino di Edward Ellin. Sappiamo che morì giovane, poiché l'adulto Willie lo dice espressamente. (p.40)
Insomma, in definitiva, la Storia di Willie Ellin altro non è che un grande romanzo mai giunto a termine, completo - forse - sono nelle intenzioni dell'autrice e mai portato a compimento: una memorabile conferma del suo talento.

Valentina Zinnà