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Guardaroba e bella prosa: un approccio letterario alla "profondissima superficialità" della moda

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La moda nella letteratura contemporanea
di Daniela Baroncini

Bruno Mondadori, 2010

pp. 154

€ 16,00


Non è certo una novità che la moda e la rispettiva fenomenologia (latu sensu intesa) siano state da tempo sdoganate in qualità di argomenti di studio e di dibattito critico. Oltre alle Accademie professionali, ai (più o meno costosi) Master e ai corsi di Diploma e di Laurea, non si contano, ormai, le pubblicazioni a tema: tra riviste specializzate e collane dedicate, passando per editoriali, articoli e servizi rilanciati sulle pagine dei quotidiani più autorevoli, in spazi così importanti che non è più possibile parlare di semplici rubriche. Molto è stato detto e molto resta ancora da dire: la moda, d’altronde, vive del suo continuo e costante aggiornamento, e per natura non fa che cambiare le carte in tavola, remixando all’infinito tra loro tutte le categorie culturali e spaziotemporali. Tra le molteplici lenti attraverso le quali è possibile guardare a questo argomento, una – senza dubbio tra le più peculiari - è quella letteraria, inforcata da Daniela Baroncini nel suo La moda nella letteratura contemporanea.



Sebbene pubblicato nel 2010, e concepito in maniera specifica per gli studenti della materia della (allora) Facoltà di Lettere Filosofia dell’Università di Bologna, il testo della Baroncini, docente di Letteratura Italiana Contemporanea e del Laboratorio di Scritture della moda, rappresenta un contributo tutt’oggi apprezzabilissimo anche per il lettore non discente e non sotto esame. Al contrario, esso offre una panoramica otto-novecentesca delle belle lettere – italiane e internazionali – a partire dal loro rapporto con il guardaroba, dimostrando come gli scrittori e le scrittrici degli ultimi due secoli abbiano avuto un'attenzione crescente e progressiva per i fenomeni di costume: da una parte, divenendo cronisti di settore (si pensi a Mallarmé e D’Annunzio giornalisti mondani, ma anche ai casi di Irene Brin e Gianna Manzini, autentici “modelli di stile”); dall'altra, e specialmente, integrandoli nelle loro narrazioni, ovvero rivestendo gli indumenti e le calzature di significati simbolici tutt’altro che superati, secondo modalità talvolta capaci di incastonare un’intera poetica: che dire, per esempio, del legame tra abiti e memoria in un autore come Proust, oppure del senso delle celebri "Maschere" pirandelliane? E mentre non sono pochi gli stilisti che dichiarano di lasciarsi ispirare dalla letteratura, o che comunque concepiscono le collezioni e soprattutto le relative sfilate come medium attraverso i quali raccontare a propria volta una storia (oltre che una certa idea di mondo, di uomo e di donna: si pensi, tra i vari, ad Antonio Marras), così anche il volume della Baroncini, come in una bella e appassionante narrazione, ha il pregio di condurre il lettore dall’âge d’or del dandismo e dell’estetismo fino alla versione di Pasolini (con la sua “rivoluzione dell’abito”) e di Arbasino (uno scrittore “alla moda”).

Un libretto, dunque, solo apparentemente frivolo (esattamente come il suo argomento: “profondamente superficiale” secondo un’idea alta, “saviniana”, di superficialità), e anzi ricchissimo di spunti bibliografici per soddisfare le proprie personali curiosità. Non c’è dubbio, difatti, che i lettori amanti del genere troveranno proprio in coda al volume il risarcimento all’unica vera pecca di tutto il lavoro, ovvero l’assenza totale di immagini – mentre in un testo dedicato alla moda, sebbene da una prospettiva letteraria, una galleria fotografica appropriata avrebbe certamente rappresentato un ulteriore valore aggiunto. Sempre che questo difetto, tuttavia, non sia solo apparente, ovvero non sia parte integrante di una strategia volta a valorizzare il tema attraverso le riflessioni e le descrizioni più che mai "evocative" di narratori e intellettuali tra i più sensibili alla decodifica dello spirito del loro tempo.

Cecilia Mariani