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#CritiComics - "Pugni": sul ring della storia con Battaglia e Castaldi

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Pugni. Storie di boxe
di Boris Battaglia e Paolo Castaldi
Edizioni BeccoGiallo, 2015

pp. 139
€ 18,50

Una storia di boxe è sempre la stessa storia. Prima di Rocky, prima di Città amara, prima di tutti gli scrittori che tenevano la penna in una mano mentre l'altra la infilavano nel guantone (da Jack London a Hemingway, da Conan Doyle a Jonathan Ames). Ogni storia di boxe è sempre la stessa storia: un ring, due uomini, un pubblico che li guarda. Dentro il ring ciò che conta sono i pugni e nient'altro. Come li dai e come li incassi. Fuori dal ring invece è tutta un'altra storia, ma gli elementi sono (quasi) sempre gli stessi: la rivalsa sociale di una minoranza, la voglia di essere il migliore, il coraggio, la paura e il far finta di non averne neanche un po', poi i soldi (troppi o troppo pochi). Pensieri e desideri che stanno nascosti nella testa dei pugili ma di cui il pubblico si appropria, riversando rabbia ed emozioni in quei pugni che vorrebbero saper sferrare e incassare anche loro.

Boris Battaglia e Paolo Castaldi non hanno paura di raccontare sempre la stessa storia, tant'è che nel loro Pugni - Storie di boxe (Edizioni Becco Giallo, 2015) raccolgono in ordine cronologico quindici incontri di pugilato narrandoceli a parole e immagini. Pugni è un ibrido coraggioso, non un fumetto, non un libro illustrato, non un saggio sullo sport, nemmeno un libro biografico o di giornalismo sportivo: più che altro passa fluidamente dall'uno all'altro senza alcuna gabbia di genere, trasformandosi ogni qualvolta la storia raccontata richieda una metamorfosi narrativa per esprimersi al meglio.


Boris Battaglia non dà enfasi alla sua scrittura perché sa che queste storie non ne hanno bisogno. Così la sua prosa quasi giornalistica enumera fatti storici, dati biografici e contesti sociali, unendoli tra loro con le corde del ring perché è su quel quadrato che questi elementi esplodono e si manifestano al loro grado zero. Così l'emozione arriva al lettore senza ralenti, montage sequence o stacchi di montaggio, ma con lo sguardo di chi, seduto sugli spalti e lontanissimo dal ring, riesce a percepire tensioni, botte e fatica di due uomini che combattono per dimostrare di essere i migliori.



Paolo Castaldi lavora invece in una direzione completamente opposta. Il suo è uno sguardo ravvicinato, empatico, quasi che voglia condividere con i protagonisti delle sue illustrazioni il loro dolore e il loro coraggio. I suoi pugili sono giganti di pietra su cui scolpisce botte ed emozioni. Così i corpi dei suoi personaggi sono modellati dalla luce come statue ma martoriati dai colpi, incisi dalla vecchiaia, resi luccicanti dal sudore e dai riflettori. Castaldi ha il dono rarissimo di infondere una scintilla di vita a questi ammassi di carne dolorante attraverso i loro sguardi: gli occhi che disegna sono solo piccoli pallini timidi, nascosti dietro a imponenti arcate sopracciliari, quasi a volersi proteggere da osservatori indiscreti. Sono occhi da cui traspaiono vittoria e sconfitta, fama e insuccessi, felicità e dolori. 

Sempre la stessa storia, scrivevo all'inizio esagerando un poco. Eppure leggendo Pugni si ha la sensazione che il pugilato sia in fondo proprio questo, un modulo replicato all'infinito, quasi una struttura primordiale che si adatta al presente per tradurlo. E ne assorbe tensioni, stile, speranze per poi riversarle tutti nei muscoli dei due contendenti che sono al contempo portatori di questo peso/onore ma anche figure fuori da ogni spaziotempo, concentrate sui movimenti, sulle azioni, non su quello che questi rappresentano. Perché come diceva Joyce Carol Oates, la vita è come la boxe in molti particolari inquietanti. Ma la boxe è soltanto come la boxe.

Matteo Contin
@matteocontin


Immagine riprodotta per autorizzazione della casa editrice