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#CritiCINEMA - La grande Suburra

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La grande bellezza meets Gomorra. Roma inquinata da Mafia capitale perde l'ultima indulgenza del grottesco messo in scena da Paolo Sorrentino e del suo immaginario patinato e lascia il posto a una sorta di desolata no man's land. Terra di nessuno, e preda di tutti, Roma non è più una città ma assurge ad etichetta del malcostume, simbolo degradato della degenerazione dei tempi.

Un grosso affare di speculazione edilizia lega “Er Samurai” ex membro della Banda della Magliana (Claudio Amendola), un politico destrorso con la passione per droga e minorenni (Pierfrancesco Favino), un faccendiere servile e meschino (Elio Germano), “Numero 8”, capetto della mafia di Ostia (Alessandro Borghi) e una famiglia di rom in ascesa malavitosa.
Non è difficile leggere dietro i nomi fittizi personaggi e situazioni reali.

Sul crinale tra invenzione e realtà Giancarlo De Cataldo e Carlo Bonini scrivevano nel 2013 per Einaudi Stile Libero Suburra, sulfureo ritratto già prossimo alla sceneggiatura di una città corrotta fin (e soprattutto) nel cemento delle sue fondamenta che oggi diventa un film firmato da Stefano Sollima, già regista delle serie Romanzo criminale e Gomorra. E proprio il meccanismo seriale ottimamente congegnato da Sollima riverbera nel film, in un continuo gioco di vasi comunicanti, in maniera forse un po' troppo invasiva: gli appassionati della serie sulla banda della Magliana o sulla saga dei Savastano avranno, più volte durante i 130 minuti della durata, una pesante sensazione di deja-vù.

Il complicato intreccio di Suburra, il moltiplicarsi delle sue storie, si addice forse di più a una visione a puntate da divano che non alle poltroncine del cinema, e saremo presto accontentati: seguirà l'uscita del film quella della serie tv, prevista per il 2016, sulla piattaforma Netflix, al suo esordio in Italia il 22 ottobre. Il film dà comunque un assaggio di quello che sembra essere un altro colpo vincente di Sollima figlio: narrativa di genere come in Italia se ne vede poca, ritmo incalzante, attori credibili e centrati (e se Favino e Germano sono spesso una garanzia, è Amendola la vera e propria rivelazione), inquadrature calibratissime, fotografia stentorea, musica in perfetto accordo.


Rimane un senso di angoscia da questo ritratto dal vivo di squallore e violenza, di uno status quo difficile da combattere, fondato sull'arroganza senza rimedio di coloro che possono permettersi di pisciare su Roma sotto la pioggia nell'indifferenza dell'acqua che scorre, vera protagonista di questo film. L'acqua che scorre, che cancella, che trascina con sé i relitti, che copre i segreti sul fondo mentre la superficie torna limpida, anche se soltanto per qualche istante.

Giulia Marziali