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#ScrittorinAscolto - "L'uomo nell'armadio": un incontro con Pietro Grossi

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Ho scoperto Pietro Grossi con le pagine di L'uomo nell'armadio (Mondadori, 2015) e sto già leggendo un altro dei suoi testi, la raccolta di racconti Pugni (Sellerio, 2006) che lo ha fatto conoscere alla critica - il libro si è aggiudicato, tra gli altri riconoscimenti, il Premio Chiara e il Premio Campiello Europa 2010 - e al pubblico dei lettori. 
Già dalle prime pagine di L'uomo nell'armadio ho trovato un mondo narrativo che ha dei tratti singolari nel panorama italiano contemporaneo: la vena onirica e surreale, il profondo legame con la terra e il lato materiale delle cose, il gusto per il sottile paradosso che racchiude il senso della vita quotidiana, del nostro perpetuo andare e venire.

Abbiamo incontrato l'autore al nuovo Megastore Mondadori di via San Pietro all'Orto, a Milano, per una chiacchierata sul suo ultimo libro e sul racconto.
Proprio a partire da questo genere letterario Grossi ci ha introdotte nella sua produzione, dichiarando subito: "Credo di non aver mai scritto altro che racconti". 
È la forma perfetta per esprimere qualcosa che ci sfugge, come ci ha insegnato (tra gli altri) Buzzati con i suoi Sessanta racconti
L'uomo nell'armadio. E altri due racconti che non capisco: il sottotitolo ci porta direttamente nel cuore del processo creativo di Grossi, caratterizzato da una prima fase di stesura (a mano) estremamente lunga e da un confronto costante con il mistero della scrittura:
Quando inizio a scrivere non ho idea di quale direzione prenderò. Spesso, incredibilmente, mi viene subito in mente il finale, la frase conclusiva dell'intero testo, ma quello che sta in mezzo è un continuo mistero.
Sorprende che sia l'autore a esplicitare in copertina questo mistero con il suo "non capisco", forse perché a volte tendiamo a considerare gli scrittori come produttori di testi che funzionano come ordigni perfetti, capaci di provocare a comando precise emozioni nel lettore. 
Qui l'autore condivide con noi quel quid inafferrabile della scrittura e ne hai subito piena sensazione quando ti imbatti in uno sgabello che inizia a girare sul proprio perno e non si ferma nella hall di un aeroporto, o in un personaggio che è ossessionato dal gesto di asportare la superficie di tutte le cose con un bisturi. 
È venuto anche uno degli ingegneri dell'aeroporto con due operai e altri due addetti alla sicurezza. A rischio di far partire una mezza rivolta, hanno preso lo sgabello, lo hanno girato e rigirato, hanno separato i due pezzi del piedistallo e ci hanno guardato bene dentro. Non c'è alcun meccanismo in grado di farlo girare. Ci ho preso un caffè, con l'ingegnere, un paio di ore fa. Gli ho domandato se non fosse il caso di guardare meglio, magari di smontarlo. Mi ha detto che è inutile, che faremmo un casino per niente: ha guardato e tastato bene fin sotto la seduta ed è impossibile non aver visto o sentito un qualunque meccanismo in grado di far roteare la seduta per così tanto tempo con quella costanza.
All'improvviso nel quotidiano arriva qualcosa che non ti aspetti e che anche i personaggi non riescono a spiegare; sembra impossibile trovare meccanismi nascosti. E l'insospettabile è maggiore quanto più nasce dal consueto. Non a caso, i racconti prendono forma a partire da oggetti comuni, immagini nate per caso, come lo sgabello, il trincetto, la stecca da biliardo. 
Il lettore con Grossi si sente del tutto libero di immaginare: siamo in un territorio in cui nessuna ipotesi è esclusa.
D'altronde per lui la scrittura è proprio una forma di libertà inesauribile: "Ciò che di più bello e terribile c'è nella scrittura è proprio la sua infinita libertà", una sensazione che può appagare e terrorizzare allo stesso tempo.

Pietro ha condiviso con noi anche le sue passioni letterarie, in primis quella per Philip Roth e Pastorale americana: "È il libro della mia vita. L'ho letto sette volte volte, scoprendovi sempre nuovi significati". Proprio pochi giorni fa  ha  iniziato a proposito il ciclo di letture sceniche nel giardino del Puccini, cinque appuntamenti per riscoprire un "romanzo-tutto" che racchiude il senso della storia americana. 
E poi anche l'amore per Underworld di Don DeLillo, l'incontro con Svevo, Pirandello, Landolfi. 

"Buzzati?", chiedo subito io, visto che nei suoi libri vi avevo rintracciato un'eco.
E lui risponde: "Buzzati è un amore che ancora non è sbocciato. Però i suoi libri sono lì, vicini allo scaffale dei libri che porterei su un'isola deserta. Qualcosa mi dice che prima o poi me ne innamorerò".
Eppure io vi ho letto qualcosa di comune: l'idea del racconto come strumento per costruire una geografia dell'esistenza, il frammento che per un attimo spiega l'insieme, uno splendido mistero. È proprio vero che anche la lettura è un'inesauribile fonte di libertà.




Claudia Consoli