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"L'eredità" di Louisa May Alcott

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Foto di Debora Lambruschini
L'eredità
di Louisa May Alcott
Jo March, gennaio 2015

traduzione e cura di Valeria Mastroianni e Lorenza Ricci

pp. 140
€ 12,00

Esistono case editrici in Italia che seguono un progetto editoriale estremamente chiaro e coerente, da cui difficilmente si discostano, riuscendo a regalare ai lettori affezionati un catalogo ricco di titoli in linea con la propria filosofia. Senza dubbio la casa editrice umbra Jo March (e mai come in questo caso nome fu più indicato) con le pubblicazioni finora al suo attivo ha rispettato pienamente il proprio progetto editoriale, soprattutto scegliendo di riportare alla luce mediante la collana Atlantide alcune perle dimenticate - uscite dal mercato o mai apparse in italiano - della letteratura ottocentesca. Sono un esempio eccellente dell’appassionato lavoro di riscoperta, la pubblicazione delle principali opere di Elizabeth Gaskell, grande protagonista della stagione vittoriana e di recente – grazie alle ultime traduzioni e alla trasmissione sulla tv nostrana di una miniserie basata su uno dei romanzi della Gaskell – riscoperta anche dal grande pubblico italiano, autrice di cui le responsabili di Jo March hanno curato Nord e Sud, Mogli e figlie (a breve la recensione)  e un romanzo breve a più voci  - La casa sfitta - di cui la Gaskell è tra gli autori.
Rientra pienamente in questo progetto di recupero, la traduzione  per la prima volta in italiano di The Inheritance, L’eredità, di Louise May Alcott l’amatissima autrice – tra gli altri - di Piccole donne. Un romanzo breve composto quando la Alcott aveva appena 17 anni e rimasto inedito fino al 1997, quando due filologi americani – Joel Myerson e Daniel Shealy – ne scoprirono casualmente il manoscritto autografo di 166 fogli tra gli scaffali di una delle biblioteche di Harvard, a cui era stato donato dagli eredi dell’autrice negli anni ’70 ma a cui nessuno fino a quel momento si era interessato; esperimento letterario che ora viene tradotto per la prima volta nella nostra lingua, aggiungendosi quindi nella ricostruzione della bibliografia dell’autrice americana. Un tributo doveroso alla creatrice di uno dei personaggi letterari cui siamo stati tutti in qualche misura legati e che la casa editrice umbra ha scelto come proprio nome.

Certo tra queste pagine non troviamo nulla dell’amatissima Jo e The Inheritance chiaramente appare opera acerba, seppur già interessante; casomai sono alcuni tratti di Beth che ritroviamo nella protagonista di questa novella: malinconica, dolce, umile e riservata, Edith può in un certo senso essere considerata una prima bozza di ciò che poi, con assai maggior capacità ed analisi psicologica, sarà la sventurata sorella March. Lo stile elegante e lirico con cui la storia è raccontata mostra non poche incertezze, l’intreccio lineare e perfettamente in linea con la moda gotica di quegli anni; forse non proprio originale o sorprendente ma per certi aspetti comunque notevole di interesse, soprattutto considerando la giovane età dell’autrice e osservandolo in prospettiva dei lavori che verranno. Il difetto principale che risulta difficile  ignorare è la mancanza di spessore psicologico dei personaggi che animano la storia, che appaiono purtroppo quasi caratteri fissi ad una sola dimensione, cristallizzati in buoni o cattivi, senza reali sfumature; i buoni lo sono fino in fondo e i cattivi altrettanto, riconosciamo facilmente in questa piccola compagnia tipi fissi che restano tali dalla prima all’ultima pagina. Ma siamo indulgenti, lettori, e ricordiamo che The Inheritance non è che la prima prova (prima di questo breve romanzo solo alcune opere sparse, favole e brevi componimenti poetici) di una diciassettenne dallo stile ancora acerbo, di cui cogliamo qui il germoglio - che risulta assai promettente -  di ciò che sarà.
Il gusto per il gotico e per il fantastico tanto in voga a quel tempo negli Stati Uniti si ritrova in alcune atmosfere, in quella bellissima natura a tratti selvaggia della campagna inglese, nel senso di malinconia che pervade la storia e che accomuna i due principali protagonisti, Edith e Lord Percy; così come l’intreccio basato sulla tradizionale formula della povera ragazza orfana – la bella e dolce Edith appunto – accolta da una rispettabile famiglia inglese. Nonostante i confini dettati dalle convenzioni sociali, il buon carattere di Edith le permette di conquistare l’affetto e il rispetto della famiglia Hamilton – o quantomeno di quasi tutti i suoi componenti – e di suscitare l’ammirazione di due gentiluomini venuti a trascorrere parte della stagione estiva presso la residenza di campagna della famiglia. Serenità e sentimento ostacolati naturalmente da una rivale, la cugina Lady Ida Clare, ciecamente invidiosa di quell’istitutrice che con la sua bellezza ed i suoi modi ha stregato l’affascinante Lord Percy di cui lei stessa brama le attenzioni:.

Siete giovane e attraente e, a dispetto della miseria e delle vostre umili origini, ottenete il rispetto e l’ammirazione delle persone di rango superiore. Non avete nessun diritto di intromettervi nella mia felicità come invece fate, proprio per questo vi detesto.

Lady Ida, altezzosa e dominata dalla gelosia, non perde occasione per tiranneggiare la povera istitutrice, più volte ricordandole quale sia il suo posto nella scala sociale. In visita alla famiglia Hamilton, Lord Percy, giovane elegante e di bell’aspetto, che porta il peso di un antico sentimento mai dichiarato: l’onore e il senso di sacrificio – che lo accomuna anche in questo aspetto alla malinconica Edith – nel nome dei quali aveva rinunciato all’amore, mai però davvero dimenticato. Osservatore attento e animo sensibile, coglie perfettamente il carattere dei suoi ospiti e soprattutto ogni sfumatura e turbamento nel cuore della bella Edith:

Lord Percy osservava tutto in silenzio, e in ogni animo che aveva davanti leggeva una storia diversa: l’orgoglio e l’egoismo di Lady Ida; l’amore egoista di Lord Arlington; l’innocenza di Amy e la sua gioia infantile; e la genuina bontà di suo fratello, desideroso di rendere felici le persone accanto. Vide tutti loro, ma il cuore che studiava con più ardore e diventava ogni giorno più importante per lui era quello di Edith. Fra le difficoltà che la giovane stava così silenziosamente sopportando, crescevano ancora la riconoscenza e l’amore che nutriva per coloro che aveva attorno e perdurava l’intenso e autentico desiderio di tenerezza e di affetto sincero che nessuno aveva mai indovinato nè tantomeno aveva cercato di darle.

Nobile e ricchissimo –  ça va sans dire – e noncurante delle differenze di classe, si ritrova a combattere (ma il termine riferito a tale personaggio è un poco inappropriato) con un rivale, Lord Arlington appunto, opposto a lui per modi ed intenzioni, e contro le trame della perfida Ida. Quale sarà infine l’esito della vicenda spetta naturalmente al lettore scoprirlo e nonostante una certa prevedibilità della trama cui si accennava poc’anzi, resta comunque un piacevolissimo intrattenimento da leggere tutto d’un fiato.

Al di là della trama, pure godibile, sono senza dubbio le atmosfere a catturare la sensibilità del lettore: una natura romantica, a tratti selvaggia e pericolosa, dove anche il fantastico potrebbe facilmente trovare spazio e in cui la bellezza – dei tratti, del cuore – appare ancora più evidente così come la vera indole dell’uomo. Riconosciamo suggestioni della moda gotica, si diceva, come evidente appare l’influenza delle letture che, in quegli anni, stavano formando l’autrice: Dickens, Charlotte Bronte (di cui Cesare Catà nell’introduzione ci ricorda l’interesse suscitato nella Alcott dalla biografia che alla Bronte aveva dedicato Elizabeth Gaskell, anch’essa una riscoperta che, da una rapida ricerca online, pare disponibile in italiano dal 31 Maggio per l’editore Castelvecchi), Ann Radcliffe, Poe e molti altri. Così come allo stesso tempo è difficile non immaginare una certa tendenza verso quel movimento trascendentalista di cui la famiglia Alcott faceva parte, legata da rapporto di amicizia ad alcuni tra i nomi più rilevanti del Tascendental Club e del panorama intellettuale di Concord tra cui R. W. Emerson, H. D. Thoreau e N. Hawthorne solo per citarne alcuni. E soprattutto, continuando su questa sorta di minimo raffronto tra realtà e finzione letteraria, le difficoltà che sappiamo la famiglia Alcott stava attraversando durante gli anni giovanili di Louisa May e il senso di instabilità ed incertezza che presumibilmente hanno portato con sè.
Ma The Inheritance è anche l’interessante punto di vista di una giovane scrittrice nordamericana su un mondo, un’epoca e le sue convenzioni, nei cui personaggi possiamo osservare diverse sfumature ed interpretazioni, in un gioco di analisi e riflessione che rivela a mio parere uno degli elementi più interessanti del romanzo, che pur non discostandosi anche in questo caso dal pensiero tradizionale lascia anche intravedere il barlume di quello spirito indipendente della Alcott adulta, la donna che non solo ci ha regalato un’eroina anticonvenzionale e un poco ribelle quale l’amatissima Jo, ma che proviene da una famiglia che, almeno per un po’, è stata capace di sfidare le convenzioni del tempo aprendo l’istituto sperimentale “Temple school” fondata su un metodo educativo innovativo e spingendosi perfino allo scontro con la mentalità conservatrice del tempo rendendo accessibile la scuola anche ai neri, gesto che ha tuttavia condotto alla definitiva chiusura dell’istituto. La Alcott adulta sarà una nota abolizionista e femminista e non mi dispiace immaginarla già in così giovane età poco incline a convenzioni e regole, se non nella vita reale almeno per quel che riguarda quella dei suoi personaggi.

Tuttavia non dobbiamo aspettarci in questa prova acerba chissà quali coraggiose prese di posizione, ma nello stordimento amoroso di Lord Percy che lo conduce facilmente ad ignorare le differenze di classe di fronte alla bellezza e alla bontà dell’amata o all’affetto sincero che Amy – e in seguito ad un atto di altruismo anche la vedova Hamilton – prova nei confronti della sua povera istitutrice, la Alcott dimostra anche in questo caso di allinearsi alla tradizione più matura ed interessante. Poco importa per il momento in quali forme si scioglierà l’intreccio. Edith non è una donna moderna, eroina intrepida e anticonformista come altre che la letteratura ottocentesca ci ha regalato – e il primo nome che sempre mi viene in mente quando si parla di eroine fuori dagli schemi è per me la Becky Sharp di Vanity Fair – ed anzi è lei stessa la più convinta sostenitrice (insieme ovviamente all’invidiosa Ida) di regole e convenzioni sociali, di ruoli e confini ben definiti da non attraversare mai pena una sicura sofferenza. Edith ha una così spiccata attitudine al sacrificio, alla negazione che contrastano con quel desiderio fortissimo di trovare il caloroso affetto da parte della famiglia Hamilton così da strapparla dalla sua solitudine. Ecco, appunto, la solitudine e il tormento dell’animo altro aspetto convenzionale del genere, spirito  che la nostra eroina incarna perfettamente: mentre vaga nella notte, quasi fosse uno spettro, solitaria e triste tra le rovine nei pressi del bosco, più incline alla solitudine che alla spensierata allegria di una compagnia di giovani in festa. E in linea con questa sensibilità, le attenzioni dei due giovani innamorati le recano dispiacere quando troppo insistenti ed esibite, facendo emergere un animo più nobile e un ritegno che la stessa Lady Ida non possiede, ma perfettamente coerente con la lucida visione che Edith ha nei confronti della vita e dell’amore per una giovane della sua condizione.
Certo stancano dopo un po’ tanta bontà, spirito di sacrificio e malinconia, tanta eccessiva virtù da cui sappiamo la Alcott presto si staccherà per tratteggiare personaggi assai più complessi, profondi e contraddittori. La stessa Beth March, di cui dicevamo possiamo nell’eroina di The Inheritance riconoscere alcuni tratti, è un personaggio più strutturato e realistico di Edith.
Ma guardiamo comunque con affetto a questa prima prova, ai suoi dolci personaggi che si muovono sulla scena, a questo stile ancora incerto, ma che porta già in sè i segni della scrittrice che verrà.

di Debora Lambruschini