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"L'isolo" di Maicol & Mirco: vivere soli, per scoprire di non poterlo fare

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L'isolo
di Maicol & Mirco
Bao Publishing, settembre 2025

pp. 272
€ 22 (cartaceo)
€ 10,99 (ebook)

Ogni uomo, almeno una volta, sogna di scomparire dal mondo: non per morire, ma per vedere se qualcuno — o qualcosa — continuerà a cercarlo. È un sogno antico, fatto di malinconia e orgoglio, la tentazione di misurare la propria esistenza nel vuoto. Ma chi sceglie l’isolamento non smette di appartenere: semplicemente, inizia a fare i conti con l’eco delle presenze negate. È un gesto di ribellione e di fragilità insieme, una richiesta di autenticità che però si traduce spesso in deserto. La solitudine, quando è cercata, porta con sé una promessa di purezza e una condanna di vuoto. L’essere umano che decide di fuggire dai suoi simili porta con sé la stessa nostalgia che vorrebbe cancellare.

In questo spazio interiore, in questa frattura tra desiderio e rigetto, si colloca L’isolo, la nuova graphic novel di Maicol & Mirco, edita da Bao Publishing. È un libro che sembra disegnato col silenzio e scritto con il vento: una riflessione sul bisogno di separarsi dal mondo e sulla scoperta che, anche nella distanza più estrema, l’altro continua a vivere dentro di noi. Il protagonista è un uomo che abbandona la civiltà per rifugiarsi su una piccola isola, riducendo la sua esistenza all’essenziale: niente città, niente cultura, niente voci, solo il rumore del mare, la compagnia del cielo, la nudità del tempo. “La televisione di Dio”, come la definisce ironicamente, diventa il suo orizzonte quotidiano. Tutto ciò che è umano viene rifiutato, come se l’umanità fosse una malattia da cui guarire.

La fuga è totale, radicale, quasi ascetica. Eppure, in quella solitudine così perfetta, comincia a farsi strada un sentimento inatteso: la mancanza. Non quella delle cose, ma quella dell’altro. Di un volto, di un respiro, di un’occasione per dire “io” davanti a qualcuno. "L’isolo" scopre lentamente che l’essere umano non è completo senza uno specchio che lo rifletta, che il mondo non si può eliminare senza eliminare anche una parte di sé. “Disprezzo stare in mezzo agli uomini”, sembra dire, eppure nel disprezzo si nasconde un legame segreto, un bisogno di prossimità che nessuna fuga può cancellare. Quando un giorno il mare porta a riva una bottiglia con una lettera, l’equilibrio si spezza: l’isolamento non è più una condizione pura, ma un campo di battaglia dove affiora la memoria del contatto, il desiderio di una voce diversa dalla propria.

Grafica e parola si intrecciano con sapienza: Maicol & Mirco non abbandona la sua cifra stilistica degli scarabocchi quando disegna il protagonista, ma espande il paesaggio — l’isola, il mare, il cielo, le tempeste, la pioggia — dandogli una presenza quasi mistica, permettendo allo sguardo non solo di registrare ma di sentire. Le ambientazioni diventano personaggi anch’essi, specchi dell’interiorità: la natura che a volte è conforto e a volte è sfida, muro contro cui rimbalza la solitudine. Il silenzio è pagina, spazio negativo che dentro di sé carica melodie, ricordi, speranze. Le vignette rallentano, gli spazi vuoti pesano: ogni elemento estetico serve a sottolineare che l’essere solo in mezzo alle cose è ben diverso dall’essere solo con se stessi. Quello che colpisce non è tanto la storia — che in fondo si riassume in un uomo solo su un’isola — quanto la profondità emotiva che Maicol & Mirco riesce a estrarre da quella premessa. L’isolo è una parabola sull’illusione del controllo: il protagonista crede di poter governare la propria esistenza eliminando gli altri, ma scopre che il vuoto non è mai neutro, che l’assenza si riempie comunque di fantasmi, di ricordi, di desideri. La solitudine, in questo senso, non è mai isolamento: è sempre relazione mancata, dialogo interrotto, eco di una voce che non smette di chiamare. E quella bottiglia che il mare restituisce diventa il simbolo di un’impossibile disconnessione. È il segno che il mondo non si lascia chiudere fuori, che la vita continua a bussare anche quando la si vuole dimenticare.


C’è una malinconia tenera e crudele che attraversa tutto il racconto: la consapevolezza che l’uomo non può bastarsi, e che l’essenziale, tanto celebrato, tanto invocato, non è mai puro se non contiene anche l’altro. Ed è in questo equilibrio fragile tra repulsione e nostalgia che L’isolo trova la sua forza più grande. Non è un elogio della solitudine, ma una confessione del suo inganno. È il racconto di una libertà che diventa prigione, di una fuga che si trasforma in richiamo, di una pace che nasconde la fame di relazione.

Nel tratto di Maicol & Mirco si riconosce una maturità nuova: l’ironia corrosiva dei suoi scarabocchi si scioglie in malinconia, in poesia visiva. Le figure scarne, quasi archetipiche, non servono a semplificare, ma a universalizzare. Il protagonista diventa chiunque abbia desiderato scomparire per ritrovarsi, chiunque abbia scoperto che la distanza non guarisce, ma acuisce la ferita. Ogni vignetta è una domanda, ogni silenzio un rimprovero gentile, ogni mare un confine che si muove. E alla fine, quando "l’isolo" decide di lasciare l’isola, non è perché ha sconfitto la solitudine, ma perché ha imparato che non può vincerla: può solo accoglierla, farle spazio senza permetterle di divorare tutto. L’ultimo pensiero, quello dell’unico essere vivente che aveva conosciuto, lo colpisce come un rimorso, o forse come un segno di speranza. È in quella mancanza che si riscopre umano e vulnerabile.

C’è una parte dell’anima che si ammala quando smette di incontrare. Non è un male visibile, non brucia né duole, ma corrode lentamente la percezione del sé, fino a farci credere che bastiamo davvero. L’isolo racconta proprio questo tipo di malattia sottile: quella che nasce dall’eccesso di isolamento, dal desiderio di purezza che si trasforma in assenza. Il suo protagonista crede di salvarsi allontanandosi, ma scopre che non c’è guarigione senza contaminazione, che la salute dell’anima dipende dal contatto, dallo sguardo dell’altro, da quella piccola ferita che ogni relazione comporta.

In questo senso, l’opera di Maicol & Mirco non è soltanto un racconto di solitudine, ma una riflessione terapeutica sull’essere in relazione: sull’importanza di essere visti, riconosciuti, perfino disturbati dalla presenza altrui. Perché l’altro, con tutto ciò che porta, con la sua imprevedibilità, con la sua fragilità, è lo specchio che ci restituisce una forma. Senza l’altro saremmo superfici opache, chiuse, incapaci di riflettere. E "l’isolo", nel suo isolamento perfetto, se ne accorge proprio quando la sua unica relazione, l’unico essere che aveva conosciuto, comincia a mancargli. È in quel vuoto che affiora la verità più semplice e più complessa: che non si guarisce da soli.

C’è qualcosa di profondamente umano nel suo rimpianto, nel suo improvviso bisogno di un’assenza che diventa dolore. È come se Maicol & Mirco volesse ricordarci che la vera terapia non si trova nella fuga, ma nel ritorno; non nel tacere, ma nel condividere il silenzio con qualcuno. Che anche la solitudine più radicale ha bisogno di un testimone, di un ascoltatore, di un volto che accolga. L’altro, in questo senso, è la nostra medicina invisibile, il confine che ci impedisce di smarrirci del tutto, e il vero miracolo, la più grande forma di guarigione, accade quando qualcuno riesce a raggiungerci anche attraverso il mare che abbiamo scelto di mettere tra noi e il mondo.

Serena Palmese