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Rock, amore, morte, follia: il leader degli Eels si racconta.

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Rock, amore, morte, follia e un paio d'altre sciocchezze che i nipotini dovrebbero sapere
di Mark O. Everett
Elliot Edizioni, 2009

pp. 217
€ 14,00



Mark Everett è, lo dico a beneficio degli sfortunati che ancora non lo conoscessero, il leader di uno dei gruppi musicali più apprezzabili degli ultimi anni. La musica rock, la musica tutta, aveva bisogno di un tipo come lui. «La gente se ne accorge se in ciò che fai non ci metti l'anima», ebbe a dire Garcia Marquez qualche anno fa, ed è verissimo. Con la stessa facilità la gente si accorge se l'anima c'è, invece, come in questo caso, e allora la musica suona davvero. Suona benissimo.

In questa sede, però, è il caso di chiedersi se i lettori avevano bisogno di un'autobiografia di Mr. E, e la risposta è un po' più scontata della domanda: sì. Naturalmente, non è necessario conoscere la musica delle “Anguille” per cogliere quello che incendia le righe di questo libro. Bisogna gettarsi tra le parole, di colpo, evitando il rituale mesto del «quanto è romanzo e quanto è vissuto, qui dentro?», scantonando ogni volta che si formano in testa timori ragionevoli in astratto e in astratto probabili (ci troviamo davanti all'ennesima rock star dall'ego smisurato in cerca di soldi e lodi o all'ennesima furbetta operazione di marketing?). L'evidente urgenza di redenzione privata, senza altisonanti ideali posticci e senza la malcelata speranza di vedersi inseriti nell'empireo del maledettismo rock, dissolve ogni possibile riserva pregiudiziale.


Con una scrittura piana che niente concede all'ornamentazione formale, si racconta una vita mai presentata come esemplare, né in positivo né in negativo. Il tono è quello colloquiale e spesso ironico di chi ha qualcosa da dire e quel po' di voglia che serve per farlo. Una vita senza improbabili epifanie della Dea Musica, come spesso sentiamo raccontare dai tanti impegnati a farsi credere posseduti da sempre dal demone rock, da un destino scintillante e sofferto a cui si cede, inevitabilmente. In qualche modo la musica è, sì, una compagna che detta legge e a cui volentieri il giovane della Virginia si sottomette, ma al contempo non si impone con il marchio della necessità: «Non pensai mai seriamente di fare della musica la mia vita» (p. 64). Si racconta, insomma, la vita di un ragazzo che non intravede alcun futuro preciso e gioca alla giostra della vita senza amputare possibilità di divenire:
«Bob Dylan ha detto che da giovane, in cuor suo sapeva quale sarebbe stato il suo destino. Anche a me sarebbe piaciuto saperlo, ma non è andata così. Proprio per niente. Sapevo soltanto che ero disperato, disperato di brutto, e completamente privo di direzioni: una combinazione tremenda» (p. 71). 

Mark Everett è una rockstar atipica, fa un patto con Dio invece che col diavolo ed è figlio del celebre fisico Hugh Everett III, noto alla comunità scientifica per aver formulato la Teoria dei molti mondi. Si barcamena tra mille lavori e si scontra costantemente con la morte delle persone a lui care. Con la musica lacera il luttuoso drappo nero che lo circonda. Perde il padre a diciannove anni e nello stesso periodo viene aggredito dal ragazzo di sua sorella Elizabeth, affètta da disordini psichici che la porteranno al suicidio (Mr. E ribattezza quell'estate “Estate dell'Amore”, dando prova di un'ironia nera che spesso ricorrerà anche nei testi delle sue canzoni*). Tre anni dopo essersi trasferito in California incontra una vecchietta del Missouri che ha le visioni e che giura di aver visto il fantasma di Liz: morirà poco più avanti. Un tumore «grande come un pompelmo» strapperà alla vita anche la «donna che sussurrava ai gatti», un'amica e vicina di casa amante dei felini. La mamma di E andrà incontro alla stessa fine che giungerà dopo un declino lento e straziante, un climax di dolore che non viene risparmiato al lettore, impotente di fronte al passo della morte che avanza implacabile. Una cugina assistente di volo, infine, trova la morte durante il tragico volo dell'aereo che si schianterà contro il Pentagono l'11 settembre 2001.
Numerose poi le anarchiche e divertenti carambole sentimentali, tutte in nome di un'attrazione per le donne che Woody Allen definì “donne kamikaze”. Kamikaze sono tutte quelle che, per autodistruggersi, si schiantano con il loro aereo contro di te. Così muoiono, ma tu muori insieme a loro. Everett consuma amplessi con chi avverte la fantasmatica presenza dell'ex, frequenta la figlia di un urologo suicida (che lascia non appena emerge la sua natura razzista) e una surreale ragazza russa conosciuta in un centro new age tedesco. In questo oscillare tra la grevità della tragedia e l'irrefrenabile carosello delle storie d'amore si consuma in buona parte la narrazione.
La forza del Signor E è quella di riuscire, nonostante l'oceano di lacrime in cui a lungo ha nuotato, a cogliere un equilibrio prezioso e farne il centro intorno a cui far gravitare la propria esistenza.
Un libro da leggere e divorare, dunque. Vi brucia al suo interno l'urgenza di comunicare agli altri per salvare se stessi. Ed è la stessa sincerità che scorre lungo i solchi dei dischi migliori degli Eels.
 «Poi, una notte, mentre ero disteso sul letto nella mia vecchia camera, nel seminterrato di mia madre, ebbi un'epifania. Pensando a tutti quegli eventi tragici, immaginai il cielo azzurro e, all'improvviso, provai una grande ispirazione» (p. 120). 


M. Giorgerini


* Con queste parole Everett presentò l'album “Electro-Shock Blues”, acclamato dalla critica come il capolavoro degli Eels: "Suicidio, morte, depressione, tutta questa roba… Coraggio, sono queste le cose che fanno vendere i dischi! I ragazzi amano il cancro. Venderà un sacco. La gente ama sentire la parola cancro alla radio".