Natura morta con briglia. Il secolo d'oro olandese.
di Zbigniew Herbert
Adelphi editore, ottobre 2025
€ 19,00 (cartaceo)
€ 10,99 (ebook)
Zbigniew Herbert è uno dei poeti più importanti del '900. Le sue poesie hanno la forza dirompente del ghiaccio acuminato che taglia una membrana sottile, quella del nostro cervello; perché la sua prosa non può non incidere i nostri pensieri, evocando immagini che rimarranno per lungo tempo nella nostra immaginazione. Leggere il suo saggio Natura morta con briglia è un'esperienza che va al di là della pura lettura, significa entrare in un mondo descritto con un linguaggio nitido, preciso, lucido e geometrico. Ogni capitolo è un labirinto con un inizio e una fine.
Herbert dimostra in questo saggio una notevole capacità divulgativa. Il suo racconto di un secolo perduto mi ha affascinato anche se non mi interessava conoscere il Secolo d'oro olandese, e questo dimostra ancora di più la sua capacità di affabulatore.
Inoltre, l'autore non è uno storico e non vuole raccontare fatti storici, ma costruisce invece un affresco ricchissimo di dettagli in cui possiamo trovare una cronaca degli eventi che hanno portato alla crisi economica dei tulipani, alla fine tragica di un pittore oscuro come Terrentius, dalla storia di un mercante di tessuti, alla passione degli olandesi per i quadri.
Poco più di un decennio dopo l'affrancamento dal giogo straniero, i piccoli Paesi Bassi, con una popolazione di appena due milioni di abitanti, erano già diventati un impero coloniale, un paese florido e potente, un organismo politico forte abbastanza da tenere testa a grandi Stati come la Francia, Inghilterra e Spagna. Nell'Europa del Seicento, dilaniata dalle guerre di religione, rappresentavano uno straordinario asilo di libertà, tolleranza e prosperità, oggetto di universale ammirazione. (p. 30)
Ma Herbert non si limita a trascinarci nei mirabili paesaggi del pittore Jan Van Goyen, dove il chiarore plumbeo che precede i suoi temporali, si alterna alla pigra luminescenza dorata dei suoi pomeriggi estivi. Ci conduce anche nelle botteghe degli artisti che erano molto richiesti nel Seicento dalle famiglie olandesi. Pare infatti che avere paesaggi della loro terra in casa, fosse quasi una gara di gusto e che determinasse la posizione sociale di un capo famiglia. Entriamo così nelle case di una borghesia calvinista e conservatrice, dove i valori si esprimevano in una vita frugale, sobria e industriosa.
Nel periodo centrale della sua carriera van Goyen realizza una serie di splendide opere monocromatiche con dominanza di bistro, seppia e verde intenso. Gli olandesi non hanno inventato il metodo di dipingere quadri di un solo colore, gli hanno però conferito grazie e naturalezza. Il monocromatismo può essere un efficace compendio della realtà visibile, può coglierne la lucentezza e l'atmosfera: il chiarore plumbeo che precede un temporale; la pesante, pigra luminescenza dorata dei pomeriggi estivi. (p. 26)
Herbert ci accompagna metaforicamente all'interno di una miniera, nella quale, nell'oscurità di un secolo poco conosciuto, troviamo gemme preziose, come la vita di Torrentius, un pittore conosciuto da pochi, di cui conserviamo un unico quadro, ma che in vita è stato una star. Un uomo che è vissuto in un'epoca non facile e il cui comportamento lo ha portato a un processo per eresia.
Ma troviamo anche una narrazione avvincente e precisa di cosa è stata la "tulipanomania", una sorta di follia collettiva che ha portato a una delle crisi economiche più strane e pericolose della storia europea. L'autore mescola narrazione, diario di viaggio e riflessione, senza mai rinunciare al suo sguardo poetico, e mantenendo una sorta di distacco dagli eventi che ci affascina per tutto il libro. E in ogni capitolo sprofondiamo in approfondimenti che ci regalano un taglio inaspettato di una storia apparentemente banale, come la vita degli artisti di ritratti e paesaggi e il loro rapporto con il mercato
Nelle case olandesi del Seicento, comprese quelle della borghesia media e piccola, si potevano trovare, cosa altrove impensabile, cento, duecento quadri, o anche di più. Quando leggiamo che una vedova di Rotterdam, liquidando il patrimonio del marito defunto, vendette, all'ingrosso, per così dire, centottanta dipinti per trecentocinquantadue gulden, ci appare evidente quanto sfavorevole fosse la situazione degli artisti. L'offerta era enorme, sul mercato c'erano troppi quadri a basso prezzo. (p. 41)
Vorrei aggiungere perché mi è piaciuto questo saggio. Ci sono molti libri che mischiano informazioni di carattere storico, sociale, economico, antropologico e artistico, creando affreschi che possono affascinare, incantare e trascinare il lettore in mondi a lui sconosciuti. Ma questo saggio non ha alcuna pretesa, il suo autore è un poeta che non gioca con il linguaggio, che non vuole stupire con contenuti fantasiosi e che non vuole usare una prosa aulica per attirare l'attenzione.
Questo libro nasce da un intrico di soggetti diversi, assomiglia a un labirinto geometricamente perfetto, dove ogni capitolo potrebbe essere un libro a parte, completo. Per questo motivo, e al di là degli argomenti trattati, leggerlo è un'esperienza un pò strana, perché si rimane affascinati e imbrigliati in una storia che, solo in apparenza, è secondaria, poco rilevante e a tratti noiosa. Malgrado questo, il libro avvince e induce a rileggerlo nel timore e nella speranza di aver perso qualche dettaglio che impreziosirà ancora di più la lettura.
Fulvio Caporale
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