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#CriticaNera. La svolta di Crapanzano: "Arrigoni e il caso di piazzale Loreto"

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Arrigoni e il caso di piazzale Loreto. Milano, 1952
di Dario Crapanzano
Fratelli Frilli Editore, 2013


Dallo scorso autunno è tornato in libreria con un nuovo caso il commissario Arrigoni. Il personaggio, nato dalla penna del meneghino Dario Crapanzano, è ormai giunto al quarto romanzo, dal titolo Arrigoni e il caso di piazzale Loreto.
Rispetto alle precedenti, la nuova avventura del commissario milanese presenta almeno due novità. La prima riguarda lo spazio narrativo, importante, che viene concesso a quello che in tempi non sospetti avevo definito come il personaggio dal potenziale maggiore tra quelli creati da Crapanzano: l'ispettore Giovine. La seconda concerne un elegante stratagemma letterario, d'antan verrebbe da dire, che l'autore recupera dai grandi classici della letteratrura e che dà la svolta al caso. Ma andiamo con ordine.

La mattina del 7 dicembre 1952, Sant'Ambrogio, viene ritrovato in via Porpora, nella sua auto, il cadavere di Gilda Dell'Acqua, avvenente co-proprietaria di un tabacchi di piazzale Loreto. Sul suo corpo non ci sono tracce di collutazione, né violenza e sarà solo l'autopsia a rilevare della cocaina sulla lingua e un foro nel collo che fa pensare a un'iniezione letale. Questi gli elementi del caso che fin dal suo principio presenta numerose difficoltà per il commissario Arrigoni, che decide di indagare col suo metodo ormai collaudato: una serie di interrogatori a cerchi concentrici, a partire dalle persone più vicine alla vittima e allargandosi fino ai più distanti. È ormai una costante nelle inchieste di Crapanzano il prevalere della dialettica (la parola) sulla pistola (l'azione).
Arrigoni inizia con la sorella gemella di Gilda, gli zii e gli avventori del bar tabacchi. Le donne e gli uomini interrogati dal commissario costituiscono uno dei panorami più variegati e curiosi della società milanese dell'epoca. Come ben sa chi conosce Milano, piazzale Loreto è un luogo allo stesso tempo borghese (vi si affaccia il quartiere di Porta Venezia e quello di Città Studi) e popolare (lì iniziano via Padova e viale Monza). Non stupisce quindi che Arrigoni si ritrovi ad interrogare operai, studenti, spacciatori e nobili in evidente decadenza morale. Da questo punto di vista, Crapanzano riesce ancora una volta (come in Labella del Chiaravalle o Il delitto di via Brera) a dare senso al ruolo del noir come genere letterario in grado di raccontare la società che ci circonda: la Milano di oggi è infatti il prodotto della Milano degli anni '50 e di quelle dei decenni successivi. Inoltre, il dettaglio della cocaina apre a nuovi spazi investigativi se si pensa che la narcotici, in quegli anni, era una sezione della polizia in fase di costruzione.
Fin dai primi interrogatori, Arrigoni si rende conto che il suo metodo questa volta gira a vuoto e, verso la fine del romanzo, quando i tanti vizi e le poche virtù della vittima e dei suoi amici e parenti sono ormai alla luce del sole, è pronto a gettare la spugna. È in questo momento che interviene Giovine, ad illustrare un dubbio che lo tartassa sin dal primo giorno d'indagine. L'ispettore ha fatto crescere questa perplessità nel silenzio e Crapanzano ha avuto l'abilità di tenerla nascosta fino a poche pagine dalla fine, lasciando al lettore il piacere di condividere con Arrigoni lo stupore per l'intuizione del giovane poliziotto.
E qui veniamo alle due novità contenute in questo romanzo. Giovine non solo risolve il caso, ma lo fa grazie a un colpo di genio derivante dal suo “fiuto investigativo”. Non è tanto la logica ad averlo portato sulla giusta strada, quanto un'incoerenza notata di sfuggita e che chiunque altro non avrebbe considerato. La soluzione del caso, poi, è frutto di uno stratagemma letterario degno di Pirandello (Il fu Mattia Pascal) e di più non voglio rivelare: a buon intenditore poche parole.

Arrigoni e il caso di piazzale Loreto è per il lettore di Crapanzano un romanzo spiazzante. Sono tanti gli elementi che segnano una rottura con i precedenti: la quasi totale assenza di Mastrantonio, anche se sapientemente l'autore lo fa rientrare nel caso all'ultima curva; il poco spazio destinato alla storia e al ricordo della Milano che fu, salvo il doveroso omaggio a Sant'Ambrogio. E una certa conformità tra forma e contenuto che dimostra tutti i progressi di Crapanzano come romanziere: c'è un momento negli interrogatori in cui il lettore percepisce una certa pesantezza, un disagio, e che ha un riflesso preciso nello stato d'animo del commissario, sempre più convinto di girare a vuoto.
Infine, in una Milano morsa dal freddo, affascinante come sempre lo è la Milano di Arrigoni, è nata una coppia letteraria (Arrigoni-Giovine) di cui sentiremo ancora parlare. Una di quelle che, se ben gestite, possono lasciare un'impronta nella storia del poliziesco italiano.