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Fra i segreti anfratti degli anni Cinquanta

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Una lettera dal passato
(First train to Babylon)
di Max Simon Ehrlich
Frassinelli, 2012 

1^ edizione: 1955
pp. 307


Fred Elkins lavora da 25 anni sul treno postale della Long Island Railroad, dove smista la corrispondenza e tutto quanto viene chiuso in una busta indirizzata, nella tratta che va dalla Pennsylvania Station, nel cuore di Manhattan, a Babylon, che sta invece nel cuore di Long Island. Tanti i sacchi da consegnare a ogni stazione e se da ciascuno di essi viene prelevato di nascosto qualcosa, chi può accorgersene? Fra le buste intascate, Elkins spera ci siano assegni, vaglia, titoli, cedole, tanto da mettere da parte un gruzzoletto che serva per le cure del figlio malato ai polmoni.

Sull’incipit di questo giallo non dico altro, anche perché è la parte migliore. I primi due capitoli, quelli che si svolgono durante l’antivigilia di natale del 1945. Anche il finale si riprende abbastanza, nel mezzo ci sono pagine a volte ripetitive che ruotano attorno a un salto temporale di 10 anni e alla splendida residenza della perfetta famiglia americana di quel favoloso decennio (che poi, insomma, a leggere certi romanzi tanto favoloso non era e ricordo solo lo strepitoso “Revolutionary road” di Richard Yates): George e Martha Radcliffe sono quarantenni e hanno due figli ventenni, un maschio David che studia a West Point e sta per essere promosso a capitano perché è il migliore in assoluto del suo corso e una femmina  Annette, che sta per sposarsi con il suo boy-friend innamoratissimo perché è la più bella e ambita di New York. Hanno il giardiniere, la cameriera, un mucchio di soldi e si amano tantissimo. No, non è Harmony, ribadisco: è un romanzo tirato, con qualche passo stiracchiato e un ritorno prepotente.


Fondamentalmente la protagonista è Martha, la donna, e già questo non è particolare trascurabile, la figlia di un curato del Vermont cresciuta nel culto dell’onestà, della famiglia e della giustizia. Un giorno, a distanza appunto di 10 anni, ecco la lettera dal passato che dà il titolo all’edizione italiana attuale e che sconvolge l’esistenza. Martha vivrà così in un dilemma: se continuare ad amare il marito o desiderare di conoscere la verità, specie se quest’ultima è un’accusa pesantissima sul consorte (che taccio sennò svelo ogni cosa).
Due aspetti. Il primo è che per una volta tanto il nostro viziaccio di tradurre come meglio crediamo i titoli stranieri dei libri non è operazione campata in aria. A me non dispiaceva se l’editore si limitava a traslitterare l’originale – sarebbe uscito “Il primo treno per Babylon”, che richiamava il convoglio mattutino diretto a Long Island che quotidianamente prendeva Fred Elkins – tuttavia questo va benissimo e ve ne accorgerete.

Il secondo è che, anche nella parte di mezzo a tratti stentata, c’è un qualcosa che convince ed è l’abbandono da parte di Martha del suo mondo idilliaco per venire a contatto con realtà terribili, quelle dei quartieri poveri e degradati di New York dove gli esseri umani sopravvivono con i sussidi statali nella disperazione e nella malattia. Credo che per uno scrittore degli anni Cinquanta del Novecento non fosse agevole andare a scavare nei bassifondi urbani e trasformarli nell’esatta metafora, anzi nello specchio, dei bassifondi dell’animo umano alle prese con lacerazioni di coscienza. Ehrlich indaga il senso di colpa, lo fa partendo da una donna educata da un pastore protestante, impregnato dunque di quel puritanesimo che è il tratto fondante del carattere statunitense, specie della east coast, del New England. La trama non trascura l’approfondimento psicologico dei personaggi, specialmente di Martha. E non è un caso che nell’epilogo, forse banalmente derubricato da alcuni come un happy end tipico di quegli anni, marito e moglie si scambino una parola e se ne assumano il peso: colpevole. Siamo sicuri che dopo “vissero tutti felici e contenti”? Sono elementi di coraggio narrativo.

Diciamo che, superata l’ultima pagina, protagonisti e non protagonisti danno un’immagine di loro molto adatta a una sceneggiatura. Difatti da “First train to Babylon”, venne tratto nel 1961 l’ultimo film in cui abbia recitato Gary Cooper: “Il dubbio”. Nella pellicola di Michael Anderson del romanzo resta l’impalcatura: la lettera che viene dal passato, l’omicidio misterioso, i dubbi della moglie, la scoperta dell’assassino. Scompaiono tante altre cose, tra le quali l’ambientazione che diventa londinese. Uno dei più riusciti gialli degli anni Sessanta impreziosito dalla presenza di due star: una è Gary Cooper, come detto, che morirà quando il film non era ancora del tutto completato, l’altra è Deborah Kerr dal grande fascino drammatico. Una vera goduria per gli amanti del genere.