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#SpecialeSCUOLA - Il Prof scende dalla cattedra: "Ehi, prof!" di Frank McCourt

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Ehi, prof!
di Frank McCourt
Adelphi, Milano, 2008


Titolo orig.Teacher man
Trad. Claudia Valeria Letizia


€ 11

Le vie della pedagogia, a leggere Ehi, Prof! di Frank McCourt, oltre che infinite possono diventare persino bizzarre e poco convenzionali, roba da professor Keating de L'attimo fuggente per intenderci, ma con risvolti decisamente meno drammatici. Non ci si potrebbe aspettare altro, del resto, dall'io narrante che, ripercorrendo à rebours la sua quarantennale storia di insegnante nelle scuole americane, come un novello Candide confessa: "Il primo giorno della mia carriera rischiai di farmi licenziare per aver mangiato il panino di un alunno. Il secondo giorno rischiai di farmi licenziare per aver accennato alla possibilità di andare con una pecora" (p. 25). Dietro questa patina di irriverente ironia si celano però il disagio e le ansie di un uomo che, quasi alla soglia dei trent'anni, sale in cattedra portandosi dietro un'ingente mole di dubbi e di nodi irrisolti (primo fra tutti il controverso rapporto con il suo paese d'origine, l'Irlanda, e con la ferrea morale cattolica con cui è stato educato) e fin troppo poche certezze. Circostanza che certo non aiuta se ogni giorno sei chiamato a fronteggiare classi di trenta teenager alla volta, ovvero, nello specifico, hai a che fare con una 'gioventù bruciata' (siamo alla fine degli anni Cinquanta) e sempre più smaliziata, avida comunque di esperienze formative, nel bene e nel male, forti e irripetibili.
I primi scogli, all'apparenza insormontabili, dunque affiorano subito. Che fare nel caso un alunno lanci un panino a un compagno o una disinibita adolescente faccia domande sulle abitudini sessuali degli irlandesi? Un problema non da niente considerato che 
Alla New York University i docenti di didattica non insegnavano come gestire la classe in caso di panini volanti. Discettavano di teoria e filosofia della didattica, di istanze etiche, della necessità di considerare il ragazzo nella sua interezza, cioè di Gestalt - scusa se è poco - e delle esigenze profonde del ragazzo, ma mai dei momenti critici in aula. (p. 31)
Il prof. McCourt, in mancanza di indicazioni bibliografiche precise, agisce di testa sua. Mangia il panino e risponde che gli irlandesi preferiscono le pecore. Probabilmente un professore più navigato, uno di quei milioni e milioni di docenti iperspecializzati formatisi a forza di cani di Pavlov nonché logorroici discettatori della concezione della storia di Santayana avrebbero fatto diversamente, avrebbero fatto, per dirla con Spike Lee, 'la cosa giusta'. Ma è proprio questo il punto. Dove altri docenti, al posto di McCourt, si sarebbero limitati a svolgere con sicurezza il loro lavoro di insegnanti ed educatori, il giovane alle prime armi invece capisce che, prima di trasmettere nozioni e informazioni, un buon professore, un professore degno di questo titolo deve essere disposto a scendere dalla cattedra e ad imparare da quei recalcitranti adolescenti che quotidianamente si trova davanti. Così, i confini naturali del rapporto docente-discente nelle pagine del libro di McCourt sbiadiscono e anzi acquistano una dimensione osmotica:
Passi con loro un giorno dopo l'altro e non capisci che effetto ha questa convivenza sulla tua testa. Teenager per sempre. Arriverà giugno e ciao ciao, prof, è stato bello conoscerti, a settembre viene da te mia sorella. Ma c'è un altro risvolto, Mac. In classe succede sempre qualcosa. La classe ti mantiene attento, ti tiene la mente fresca. Non invecchierai mai. L'unico pericolo è che potresti avere per sempre la testa di un adolescente. E quello, Mac, è un problema serio. Ti abitui a parlare con i ragazzi mettendoti al loro livello, poi vai a farti una birra al bar e ti scordi come si parla con gli amici. Gli amici ti guardano. Ti guardano come se fossi appena arrivato da un altro pianeta e hanno ragione. Passare giorno dopo giorno in aula, Mac, significa vivere in un altro mondo. (p. 51)
Alla fine, tra un Chaucer e uno Shakespeare presentati da un'angolatura forse poco magistrale ma allettante per la classe, il prof trova modo di infilare qualche storia sulla sua infanzia irlandese e sulla sua vita privata. Dai, prof, raccontaci una storia, chiedono gli alunni e McCourt non si lascia pregare perché in fondo, da docente di letteratura molto più in gamba di quanto egli stesso non si dipinga, sa che la sua storia, con tutti i suoi stenti, le privazioni, i fallimenti e le piccole vittorie, riguarda anche quei ragazzi; è, in parte, la loro stessa storia. In fin dei conti cos'è la letteratura se non un riconoscersi nel comune patrimonio umano? E non risiede proprio in questo il suo incommensurabile valore pedagogico?