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CriticaLibera: Irlanda

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Sarà stato che vi atterrai in una «notte buia e tempestosa» come ebbe a dire Edward Bulwer-Lytton, che era però un barone inglese, ovvero uno di quegli uomini contro i quali il sogno d’indipendenza dell’Eire si scagliò vanamente per anni. Ma davvero era tardi e a Dublino il vento aveva l’aria della bestemmia di un dio furioso. L’Irlanda mi apparve subito come una terra dove tutto poteva soccorrermi, ma non il Novecento. Pensare, questi fieri repubblicani hanno avuto un grande Novecento! Joyce, certo, ma anche Beckett, William Butler Yeats, George Bernard Shaw. Gli ultimi tre sono premi Nobel.
No, se intemperie e oscurità dovevano essere, verso quelle mi sarei diretto, magari anelando arcane suggestioni di luce. In campagne disseminate di rovine di abbazie e di castelli, croci celtiche e campanili smilzi come minareti. In secoli dove si studiava forte in Irlanda. Fin dal buio alto-medioevo. Quando dall’isola arrivarono due menti straordinarie: Pelagio e Scoto Eriugena, filosofi cristiani che nulla avevano a che fare con il pessimismo antropologico del cristianesimo.



Fra quelle mura, in quelle biblioteche dove si conservarono, e si salvarono, saperi antichi, anche pagani, gli anatemi già allora imperanti dell’ortodossia giungevano mitigati. La lontananza a volte è utile. Così Pelagio poté polemizzare, e reggere il confronto alla grande, con Agostino. Poi il secondo è diventato padre della chiesa ed è sempre molto in voga, il monaco britannico è finito all’indice. Ma, come dice Hans Jonas: «ci sono sempre stati dei pelagiani nella chiesa cristiana». In Irlanda di sicuro: visto che 400 anni dopo l’atmosfera di quei monasteri e di quelle abbazie partorì la mente di un tal Iohannes che si firmava di genia Eriu, ovvero irlandese. E la bandiera del libero arbitrio tornò a sventolare prima di essere ammainata per secoli, almeno fino a Erasmo.


Poi all’Irlanda toccò una sorte terribile: quella di essere vittima delle scorrerie. E di quelle biblioteche restò poco. Perché dove arrivarono gli uomini del nord fu davvero fuoco e sangue. I monaci fiutarono il pericolo proveniente dal mare e cominciarono a rintanarsi nell’entroterra. E dove può esserci un entroterra più entroterra in Irlanda? Nel cuore dell’isola, nel centro geografico. Il sito scelto per erigere Clonmacnoise. Lungo un fiume, lo Shannon. Risorsa idrica importante, necessaria, per la vita di un complesso religioso florido e potente, ma letale quando divenne il tappeto steso per l’avanzata dei vichinghi che cominciarono a risalirlo. Fino a incrociare le mura difensive della cattedrale e degli edifici cenobitici. E fu un massacro. E un incendio. E si persero libri.
Clonmacnoise è tra Dublino e Galway e Galway non è distante dalle Cliffs of Moher, le scogliere più sontuose. Mai ho colto il significato e la sottile delicatezza di certi passaggi di Baricco come qui. 
Un certo Baricco. Il primo, quello di “Oceano Mare” e non poteva essere altrimenti. Perché davanti a queste centinaia di metri di roccia levigata dalla spuma di onde nervosissime c’è davvero l’Atlantico e basta. Oltre a fazzoletti di terra che si chiamano isole Aran. Il viaggio in traghetto dura poco ma affrontarlo in inverno è da “capitani coraggiosi”. Alle Aran, si mandavano nell’alto-medioevo i futuri monaci a fare esercizio di ascesi sotto la sferza delle correnti. Dopo di che potevano rientrare. Ai più dotati, anche nello studio, si spalancavano le porte perfino del continente.
Ma a sfidare l’orizzonte, dalle Cliffs of Moher si vede l’America. E la casa di Quinnipak del signor Rail, che sogna sempre la locomotiva. E sua moglie Jun. Si vedono i “Castelli di rabbia” e si riflette su un fatto: nonostante vichinghi e drammi umani, carestie tramandate nelle veglie e domeniche di sangue cantate dagli U2, «la penna è più potente della spada». E mi scusino gli irlandesi se per la fine come per l’incipit mi arruffiani con il suddito fedele di sua maestà, al secolo Edward Bulwer-Lytton.