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Un germe si aggira per la Mitteleuropa

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Vienna, cattedrale di Santo Stefano
Dici: ma come è possibile che nel cuore della Mitteleuropa, tra città e università tra le più antiche e prestigiose del mondo, Vienna, Bratislava, Cracovia, Praga, la banalità del male abbia potuto così trionfare? A Vienna, cammini e pensi che cent'anni fa passeggiavano nelle stesse strade il professor Freud, Gustav Klimt e Robert Musil. Magari per raggiungere un caffè e farsi servire una sacher. Cento anni fa, quando nascevano i nostri nonni. Il primo interpretava i sogni, una cosa fino a quel momento neanche concepibile, il secondo vestiva donne oniriche, il terzo aveva capito che di Kakania restava solo la vaghezza di un'idea e l'impero multietnico aveva i giorni contati. Si polverizzò infatti nel giro di poco. E, se vogliamo, tutte le successive tragedie sono cominciate da questa implosione: da Hitler, caporale dell'esercito austro-ungarico a Srebrenica.
Auschwitz sarebbe rimasta un tranquillo borgo polacco di nome Oswiecim, o Oswincim in yiddish, se i tedeschi non l'avessero ribattezzata con il nome tristemente passato alla storia. Il sindaco si sforza di ricordarmi che questo Comune ha 8 secoli di vita. Nessuno potrà apprezzarli perché gli ultimi 70 anni lo inchiodano. Vi è stata riconsacrata una sinagoga nel 2000 dopo che il regime comunista aveva trasformato l'immobile in magazzino di tappeti. Pare un miracolo, perché in questi luoghi la morte continua a seguirti. Sempre. Specie se percorri lo stesso tracciato dei condannati alle camere a gas. Appena scesi dai vagoni, il medico delle SS guardava ognuno un centesimo di secondo e alzava il dito pollice: l'80% degli ignari deportati, per lo più donne, bambini e anziani terminava la loro vita un'ora e mezzo, due ore dopo. Soffocati dallo Ziklon B.


Il quartiere ebraico di Cracovia oggi
Auschwitz, o Oswiecim, dista da Cracovia 60 chilometri circa. Una città bellissima dove vivevano 70.000 ebrei prima della seconda guerra mondiale. Oggi sono 100. Forse è un miracolo pure questo. Casimiro il Grande accolse gli israeliti subito dopo la grande peste nera del 1348. Evidentemente non aveva remore a ospitare il popolo che nei casi di calamità, come il morbo che devastò il continente, veniva additato come responsabile: una scelta emblematica. Poi fondò l'università, la prima della Polonia. Merita l'appellativo con il quale è passato ai posteri. Da quel momento, gli ebrei a Cracovia fiorirono e aumentarono, occuparono un intero quartiere, poco distante dal Wawel, la cittadella dove nella cattedrale sono stati incoronati tutti i re polacchi. Il quartiere di chiama Kazimierz, ospita alcune sinagoghe e cimiteri e sta lentamente ritrovando i suoi caratteri originari con scritte in ebraico, una libreria, le stelle di David. Avete presente cosa dice l'ufficiale nazista che dirige il campo di concentramento in Schindler's list quando viene deciso il rastrellamento del ghetto di Cracovia? Racconta la storia degli ebrei di questa città partendo proprio da Casimiro e ricordando che i nazisti erano venuti per far sì che quei 600 anni fossero distrutti. Anzi, come mai esistiti. Passeggiando per la via Szeroka e visitando la Stara Synagoga dico che ci sono andati vicini. Vicinissimi. Ma non ce l'hanno fatta.
Il cittadino più illustre di Cracovia è diventato tuttavia uno di Wadovice, in grado di oscurare Casimiro e i santi Venceslao e Stanislao: Karol Woytila. Arcivescovo e cardinale di questa città che sigilla in modo inequivocabile il filone dominante della storia polacca: l'adesione al cattolicesimo. Anche Copernico era polacco, un nome che è stato aggettivizzato per dare risalto alle rivoluzioni che stravolgono il passato e non lo fanno più tornare. Il grande Copernico, nemico della chiesa romana. Per trovare una statua a lui dedicata sono dovuto scendere 130 metri sottoterra, nelle miniere di sale di Wieliczka. Ecco l'omaggio a chi ha dato la spallata decisiva alla teoria tolemaica e fatto compiere un passo in avanti irreversibile all'umanità: una memoria del sottosuolo. Woytila invece è ovunque in superficie. Una presenza che arriva a infastidire. Entri in un negozio e se il titolare scopre che sei italiano ti allunga subito il santino commemorativo dell'ultima visita di questo papa a Cracovia. Così, senza chiederti, o chiedersi, se sei credente o non credente, ebreo, musulmano o protestante. E lo fa con il sorriso non cogliendo il fastidio.


Budapest, il Bastione dei pescatori
A Budapest non hai sensazione che i neo-nazisti siano al governo in Ungheria. La città è giovane, invasa di turisti, prevalgono i sorrisi. Prendo un taxi e chiedo di portarmi ai bastioni dei pescatori, a Buda. Il tizio comincia a scherzare su Berlusconi sganasciandosi dalle risate e io gli ricordo che il suo primo ministro Orban si è alleato con chi sogna ancora le stelle gialle nei vestiti degli ebrei ungheresi e di ridurre i rom a cittadini di serie C. Se va bene. Orban boss – risponde. Penso che boss si dovrebbe usare quando si descrive una cricca mafiosa, una famiglia dei corleonesi, non un capo del governo. Ma non stento a credere che a un populista di destra che non si è fatto scrupoli ad allearsi con i neo-nazisti non dispiaccia essere chiamato così, come uno che del potere ha una concezione, appunto, accentratrice, nepotistica e padrinesca. Così è arrivato a cambiare la costituzione con norme che rasentano l'autoritarismo, l'intolleranza, perfino concetti razziali. E l'Europa lo accoglie ovviamente nei suoi consessi e sventola il cartellino giallo ad altri paesi per uno 0,01 in più di deficit.
La Budapest che vedo non pare in balia di squadracce o teste rasate quanto piuttosto di ragazzi dalle convinzioni politiche contrarie. Poi c'è la borghesia che frequenta i 200 teatri cittadini. Duecento. E allora dove gli hanno presi tutti quei voti i neo-nazisti ungheresi per arrivare a essere il terzo partito? Altre formazioni d'identica ispirazione stanno aggredendo come virus e come virus si espandono, corrodono, aggrediscono le opinioni pubbliche di altre nazioni. Sembra incredibile ma specialmente la Mitteleuropa dove è sorta Auschwitz, a 68 anni dall'apertura dei cancelli del campo, non ha maturato tutti gli anticorpi per debellare il germe che si annida.

a cura di Marco Caneschi 


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