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Poesia o non poesia?

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NON SONO POESIE
di Gigliola Franco
Corrado Franco Editore, 2011

pp. 144
€ 12,00

Iniziamo subito dal titolo del libro di questa autrice emergente con poesie scritte nel corso di 15 anni (dai 70 agli 85 anni).
Poesie o non poesie? Difficile stabilirlo. Prendiamo come spunto di partenza la definizione di cosa è la poesia che ne diede Franco Fortini:

 [...] nel linguaggio umano c’è una funzione che tende a mettere in evidenza soprattutto, o almeno in modo particolare, il linguaggio stesso, ad attirare l’attenzione sulla forma della comunicazione. Ebbene questa è la funzione poetica.
Certo bisogna tener presente che quando si parla di poesia questa parola significa due cose: da un lato, appunto, un tipo particolare di discorso parlato o scritto che si distingue da altri modi di comunicazione; dall’altro, invece, un’attribuzione di valore per cui si dice "poesia" per dire qualcosa di bello, di importante, di riuscito, di meritevole di stima o di attenzione.
Nel parlare comune, "poesia" significa due cose: per un verso è un discorso, o ragionamento, o una comunicazione dove prevalgono elementi di ritmo e cadenze, di ripetizioni, di immagini che alterano i significati immediati e che gli conferiscono, oltre ai primi, anche significati interiori. Per un altro verso, quando noi diciamo "questa è poesia" intendiamo in genere qualcosa di elevato e di nobile, di rassicurante o di commovente o di rasserenante, di vivace, pungente ecc. Facciamo un esempio. Se io dico: "Madre dei santi, immagine della città superna, del sangue incorruttibile conservatrice eterna" ecc. - con quello che segue nella Pentecoste del Manzoni - posso dare importanza al ritmo, ai gruppi di sillabe, al sistema di accenti e di rime e naturalmente posso anche sapere, oppure qualcuno ce lo spiega, che in questo caso l’appello è diretto alla chiesa cattolica. Invece se io dico: "Trenta dì conta novembre con april, giugno e settembre, di ventotto ce ne è uno, tutti gli altri ne han trentuno", anche qui trovo ritmo - infatti sono quattro ottonari - e trovo delle rime.
Insomma, se devo chiedermi come classificare l’inizio di una delle più famose composizioni letterarie della lingua italiana, oppure di un soccorso mnemonico come quello che ci vuole informare di quali siano i mesi che hanno trenta o trentuno giorni non c’è dubbio che l’uno e l’altro devono essere considerati in questo senso: poesie o testi poetici. Si potrebbe obiettare che nell’un caso ci sono delle parole desuete, arcaiche, solenni, nell’altro caso no. Ma non è del tutto vero perché, per esempio, nel testo manzoniano ci sono delle parole come "superna" oppure delle inversioni - si dice: "del sangue conservatrice" invece che "conservatrice del sangue"- ma anche nel proverbio rimato troviamo per esempio delle parole in disuso come "dì", oppure delle abbreviazioni o troncature come "april" invece di "aprile".
Ecco, è a questo punto che viene avanti il secondo significato correntemente attribuito alla parola "poesia". Nel primo caso c’è un oggetto sublime; si tratta niente di meno che della discesa dello Spirito Santo e poi soprattutto non ha nessun senso isolare questi primi versi che ho letto da quelli che seguono; mentre nella seconda è una canzoncina puerile con dei fini di sostegno alla memoria. Ora qui dobbiamo decidere: ci occupiamo della poesia come oggetto di bellezza, di commozione o di espressione o ci occupiamo piuttosto della poesia come oggetto verbale, ossia come un tipo particolare di comunicazione, sospendendo per il momento ogni giudizio di valore ?

In altre parole: la Poesia non è soltanto la lirica, ma anche il sentimento che si vuole esprimere. Poesia, infatti, non è soltanto Petrarca ma anche Saba, la poesia sperimentale degli anni '70 ecc.
Dati questi punti di riferimento critici osiamo, dunque, negare l'assunto provocatorio che emerge dal titolo del libro della Franco: questo è un libro di poesie, eccome se lo è!
"Non sono poesie" di Gigliola Franco è, infatti, un libro che ti colpisce fin dentro le viscere, che ti parla al cuore e alla testa, che evita qualunque perbenismo di comodo. Un linguaggio chiaro, schietto, popolare che a volte può addirittura avvicinarsi al turpiloquio ma che, in realtà, è un grido di rabbia nei confronti di un sistema politico malato, di un moralismo incombente e che coinvolge noi tutti e di un sistema sociale oppressivo e inaccettabile.

Un turpiloquo, dunque, che diventa poesia senza bisogno di nessun lirismo o di nessun linguaggio letterario.
Uno dei testi più significativi di questa raccolta è sicuramente "Vecchio di merda". Già il suo titolo ci porta a scandalizzarci vero? Ma leggiamolo insieme:

Si sente un eroe
perché
"l'ho tolta dalla strada" (dice).
Lui ha cinquantasei anni
lei ventuno.
Lui ha la pancia
un principio di prostata
i denti davanti sono finti.
Lei ha tanti capelli castani
riflessati all'hennè
tutti ricci
due coscie lunghe e sode
la vita sottile
la schiena dritta
Ride sempre.
Se l'abbracci sembra di abbracciare un
fuscello.
Lui ha un conto in banca
di quasi cento milioni.
Ora io ho qualcosa da dirti
vecchio
e ti dirò soltanto questo.
Ti sei cacciato una perla
dal forziere del mondo
solo e soltanto
per avere qualche pompino in esclusiva
a me non la meni
vecchio di merda.
Tu l'hai scippata dalla vita
quella ragazza
della vita che avrebbe potuto avere
dell'amore
che avrebbe potuto incontrare
con uno giovane come lei
vecchio di merda.
Ti sei approfittato
del fatto
che la chiamavano puttana
per presentarti come salvatore
vecchio di merda.
Ma chi la chiamava puttana
eri tu
sempre tu
solo tu.
Vecchio di merda
tira giù le mani
da quell'involtino di carne giovane
perché quell'involtino di carne giovane
ha un'anima
e tu non ce l'hai
(l'anima)
sei soltanto
uno sporco vecchio di merda.


Come si vede il testo è crudo, non lascia spazi a sofismi linguistici ma, senza dubbio, esprime un sentimento. Un sentimento di indignazione e anche, paradossalmente, di profonda moralità ed etica. Ed è questo il filo rosso che segna tutta la raccolta "Non sono poesie" (composta da più di 80 testi). Una poesia civile, etica, morale, politica. Sì, politica. Perché la poesia della Franco è sempre politica, anche quando tratta temi sociali o più personali.
Non è, infatti, certamente maggiormente politico il testo che tratta dell'ipocrisia del vessillo tricolore che "come tutte le bandiere del mondo / merdosi stracci colorati / gronda sangue giovane" di quando affronta il tema della solitudine (che è una solitudine soprattutto personale):

Se io dico che siamo soli
su questa terra di merda
scopro l'acqua calda
(l'hanno già detto in molti)
solo che l'hanno detto
con parole fiorite
belle, forbite
come se essere soli
fosse bere un bicchierino d'alchèrmes
seduti sul proprio canapè
guardando
(da soli, al televisore)
il programma che c'è.
Ora io voglio dirvi
che essere soli significa
sentirsi
una cacca di cane
pestata
da un tizio che sacramenta
perché ha sporcate
le scarpe
appena comprate.
Sentirsi
un cartoccio di prugne avariate
gettate
nel cassonetto della spazzatura.
Sentirsi
un grosso catarro scracciato
da un vecchio bavoso
sofferente al costato.
Ti viene il sospetto
che nessuno ti ami
perché sei un reietto
uno sputo del mondo
uno da evitare
fino a che camperà.
Come si vede da questi brevissimi riferimenti i temi affrontati in questo libro sono tanti e i più variegati che in questa recensione è impossibile affrontare. Ma resta la linea comune, lo sdegno, il linguaggio, l'opposizione nei confronti di un mondo in decadenza e senza più alcuna morale. L'autrice è stata affiancata ad autori come Bukowski, Pasolini, De Andre, Gaber, Alda Merini. Paragoni senza dubbio affascinanti. Ma fuorvianti. Già alla lettura dei primi testi  della Franco si nota, infatti, come è una poesia senza dubbio unica, senza alcun modello di riferimento, se non la sua vita e il suo sdegno. E che, come tutte le poesie realmente civili e politiche, potrà piacere o meno, ma certamente non potrà lasciare indifferenti. Perché come bene ha scritto Erri De Luca:

Dentro ci sono gli umori di un'esistenza combattiva. Non sono poesie, piuttosto un diario intimo di sdegni, commozioni, puntigli. 


* Gigliola Carusi, in arte Gigliola Franco, nasce a Roma il 25 Settembre 1924 e trascorre i primi anni della sua vita a Firenze e a Roma, per poi trasferirsi ad Alba nel 1931, e lì resterà fino al 1964. Ad Alba frequenterà e diventerà amica di Beppe Fenoglio durante gli anni della Resistenza e Gigliola, a volte, fa da staffetta partigiana. Si laurea in lettere all'Università di Torino con una tesi in Letteratura Americana e sarà allieva di Pietro Chiodi e di Nicola Abbagnano. Svolgerà l'attività prima di giornalista e poi di insegnante e, in seguito alla separazione dal marito, costituirà una compagnia teatrale e diventerà regista mettendo in scena autori contemporanei e testi scritti da lei. In particolare negli anni '70 scriverà numerosi testi teatrali femministi che mette in scena insieme alla sua compagnia.
Dai 70 agli 85 anni scriverà occasionalmente delle poesie e, dopo che viene ricoverata in ospedale nel 2010 per una grave crisi di salute, il figlio Corrado decide di raccogliere tutte le poesie da lei scritte, invitando tutti gli amici e gli attori che hanno lavorato con lei di leggergliele durante le visite. Dopo un mese di ricovero Gigliola supera la crisi e, così, Corrado a Ottobre 2011 decide di pubblicarle lui stesso costituendo una propria casa editrice, la Corrado Franco Editore.

Rodolfo Monacelli