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Il Salotto: intervista a Luca Ariano

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Contratto a termine
di Luca Ariano

Edizioni Farepoesia, 2010




In molti testi di Contratto a termine ci sono allusioni a soggetti storici, dal Basso Evo (Eserciti s'affrontano ai limes sguarniti) alla Grande Guerra (Dell'Emilio - professore precario), dalle guerra puniche (I cavalieri di Annibale) alle campagne napoleoniche (Eureka; Il Grigio, vinta la sua battaglia a scacchi), dalla Resistenza (Sulla via Emilia) al maresciallo Tito (In quella casa Teresa ha trascorso). Nella sua prefazione Francesco Marotta parla dello "scontro" tra "memoria" e "presente". Quali sono per te i ricordi, personali e collettivi, che hanno valore e cosa invece del presente opera, tornando alle parole di Marotta, come un "rullo omologante"?
Premetto che a me la storia è sempre piaciuta molto e nutro sempre un grande interesse per le vicende storiche del passato. Quando scrivo una poesia mi viene spontaneo, naturale fare dei balzi temporali tra il presente e il passato. I miei personaggi sono legati al presente, alla contemporaneità, ma soffrono l’oblio del passato, della memoria. Io credo, parafrasando Primo Levi, che senza memoria storica siamo condannati a rivivere le stesse tragedie del passato. Quello che sta succedendo oggi, con la crisi, credo sia esempio lampante. Una società che dimentica il passato, le proprie tradizioni, da dove viene, è inevitabilmente condannata a perdersi, ad estinguersi. La mia non è una posizione da conservatore, anzi, penso che preservare il proprio territorio, la propria comunità, la terra, i luoghi storici ed artistici, in questa epoca “rullo”, sia una visione progressista.

Sul blog La poesia e lo spirito Alessandro Ghignoli ha detto: 
Poesia e vita in Luca Ariano sono davvero la stessa cosa. (cit.)
È così? Daresti una definizione di poesia civile (o, se preferisci, sociale)? E qual è, secondo te, il dovere di un poeta?
Io scrivo sempre quello che sento, che vedo, che mi lascia qualcosa dentro che non necessariamente è il “bello”, anzi spesso è indignazione, “rabbia”, “schifo”, ma anche pietà ed umanità verso determinate persone. Io ho sempre cercato di vivere la poesia onestamente, senza ansie di “successo” o di arrivare chissà dove, forse Ghignoli intendeva questo. Io penso che la poesia sia civile o sociale, dipende dai punti di vista, quando si occupa, etimologicamente parlando, del civis, che è l’uomo al centro della comunità. Oggi, personalmente, non riesco a concepire una poesia che non sia civile o “politica” (sempre nel significato etimologico di polis) che cerchi di smuovere o denunciare qualcosa. Questo non vuol dire che io non apprezzi la poesia lirica, intimista tanto che, talvolta, capita anche a me di scrivere versi così, solo che, per mia inclinazione, preferisco il primo genere. 

La geografia dei tuoi testi va dalla Lomellina ai portici di Bologna; spesso nel paesaggio si delineano scenari industriali e post-industriali. Perché questi luoghi? 
Prima di tutto perché sono i luoghi in cui sono vissuto, vivo e che continuo a frequentare e poi perché credo che mai, nella storia dell’uomo, come oggi sia evidente di come dalla Rivoluzione industriale, ad oggi, il paesaggio sia cambiato in peggio, spesso in maniera irreversibile e di come influenzi le vite delle persone. Io penso che un “brutto” paesaggio o luogo, renda “brutte” o meglio abbruttisca le persone. Per questo ritengo che anche tramite la poesia, sia un dovere del poeta, dello scrittore, degli intellettuali, battersi per un paesaggio migliore per dare un futuro diverso ai nostri figli.

In un'autopresentazione hai usato per Contratto a termine l'espressione "romanzo di formazione". I tanti protagonisti delle tue poesie sono stati definiti da Fabiano Alborghetti degli "anti-eroi". Che cosa c'è di te in loro e quanto questo libro può essere considerato autobiografico?
Non voglio ora scomodare un grandissimo scrittore come Flaubert, ma potrei benissimo dire che l’Emilio, l’Enrico, Fiulin e altri sono io. Battute a parte spesso i personaggi che creo sono ispirati alla realtà, ma poi creo delle vite parallele, delle storie che mi piace intrecciare con il passato e il presente. Sicuramente in ogni personaggio c’è un po’ di me, ma forse preferisco, nelle poesie, fare il narratore onnisciente che osserva la realtà. Romanzo in formazione in quanto non so ancora che percorso prenderanno le esistenze di questi personaggi: può darsi che mi seguano per tutta la vita, come può darsi che un giorno faccia terminare le loro esistenze e scriva nuove storie.


In passato sei stato il curatore di alcune antologie; penso a Pro/Testo, edita da Fara (2009) e a Vicino alle nubi sulla montagna crollata, edita da Campanotto (2008). Quali sono i criteri che ti guidano nella scelta di un poeta da antologizzare? Che cosa cerchi nelle poesie altrui e in che modo questa attività influenza la tua scrittura?

R: Quando mi sono trovato a scrivere di poeti, a recensire o a scegliere poeti ho sempre cercato di “spogliarmi” del ruolo di poeta. Ho, naturalmente, delle preferenze, e ci sono poeti che sento più affini stilisticamente e come poetica, però ho sempre cercato di guardare alla nuda e cruda poesia e di rilevare il valore oltre lo stile della poesia. In queste antologie ci sono poeti diversissimi tra loro, ma che secondo me hanno una loro personalità, un valore ed uno stile ben definiti e maturi. In sintesi che avessero qualcosa da comunicare.

Il tuo libro pullula di eserghi: Hesse, Ferdinando Tartaglia, Guglielmo Petroni, Claudio Lolli, H.G. Wells, De André, Sbarbaro, Nietzsche, Dante e perfino uno slogan dell'Autonomia operaia: qual è la loro funzione?
Ho sempre amato citare autori, poeti, scrittori, ed anche slogan, perché, per me siamo sempre nani sulle spalle dei giganti ed è giusto che non vengano dimenticati i maestri o i grandi autori del passato. Nel caso di quello slogan era funzionale ad una sezione, al pensiero di alcuni personaggi che non per forza deve essere quello del poeta che scrive. Nella raccolta precedente (Bitume d’intorno) ve ne erano molti di più, nella prossima un po’ di meno: dipende sempre da cosa voglio dire in una poesia. Spesso una poesia mi nasce da una frase, un verso o una canzone e da lì creo una storia.

L'ultima poesia del tuo libro è un omaggio a Giorgio Piovano - un omaggio diretto: hai deciso di inserire in coda una sua poesia tratta da Poema di noi. In Trent'anni dopo, invece, celebri Pasolini. Qual è il tuo rapporto con i maestri?
Per me Piovano è stato un grande esempio di uomo coerente, un ottimo poeta, un fine intellettuale e politico, uno di quelli che oggi, non solo alla politica, farebbe molto comodo. Avrebbe dovuto scrivere una nota a Contratto a termine, ma poi è scomparso mentre ci stava lavorando. Mi ha sempre dato ottimi consigli non solo di poesia, ma soprattutto di vita. Pasolini per me rimane uno dei maggiori poeti, intellettuali, registi, critici e, perché no, sociologi del Secondo Novecento. Come per Piovano sono convinto che uno come lui oggi farebbe comodo o forse sarebbe zittito come in effetti è accaduto.
Viviamo in una stagione dove i maestri non esistono più. Ho avuto la fortuna di avere un maestro come Gian Ruggero Manzoni (nonostante diversi stili, percorsi, ecc.), ma anche ottimi compagni di strada con cui ho condiviso e continuo a condividere percorsi poetici e di vita.


Ci leggi una tua poesia?
                                                                              



«Dov’el, va el me Carlin, quell noster Milanin di noster temp,

inscì bell e quiètt, coi contrad strett in bissoeura, dent e foeura,
sul gust d’ona ragnera?» 
Emilio De Marchi


Primo e la sua cena di classe,

oltre un decennio dopo
come se gli anni di scuola

fossero ancora lì:
cresciuto nel ventennio breve,
non verrà nessuno al tavolo

e forse penserà di cuma l’era bela Milàn.
Feste in piazza – dopo tanti silenzi –
come fosse Piazzale Loreto e tutti antifascisti.

L’Andrea li guarderà dal suo Bar Sport
– forse da vedere al cinema – 

con brioches surgelate, caffè slavati

e trilli di forni a microonde:

«Ma dove eravamo nel nuovo secolo?»

«Io ero altrove…»

Fiulin senza Teresa in una foschia
che toglie il respiro e bagna sguardi

tra le case dei borghi
che anche domani vedrai offuscate.

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Intervista a cura di Alfonso M. Petrosino