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La diaristica secondo Lejeune

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On diary
di Philippe Lejeune
a cura di Jeremy Popkin e Julie Rak
Biographical Research Center by the University of Hawai's Press, 2009

Traduzione di Katherine Durnin
pp. 351
€ 35.00

Per la prima volta, sono stati raccolti tutti i contributi di Philippe Lejeune in merito al diario, genere poco considerato per molti anni e talvolta snobisticamente ricondotto alla para-letteratura. A cimentarsi con il lavoro di recupero e di traduzione in lingua inglese, è la scuola di studi autobiografici della Universtà delle Hawai, dove sono in corso molteplici studi sul genere.
Il professore francese è famoso tra gli accademici per il suo imprescindibile (per quanto discusso) Le pacte autobiographique, che a metà degli anni settanta attivò un produttivo dibattito sull'autobiografia. A lungo, i suoi studi hanno riguardato memorialistica, autobiografia, auto-fiction, senza interessarsi al diario. Questo, per confessione dello stesso Lejeune, a causa di una curiosa ribellione al diario personale, che aveva tenuto durante l'adolescenza e da cui aveva scelto di prendere le distanze da adulto. Con questa schietta commistione di fatti anedottici e personali e di rigore scientifico, Lejeune apre tutto un nuovo capitolo dei suoi studi, e dal 1986 torna a considerare con crescente interesse proprio il diario.

Dopo una vivace Introduzione, il primo blocco di capitoli interessa le origini del diario, espressione delle necessità del commercio e dell'amministrazione, a partire dai "livres de raison" del XIV secolo. Tuttavia, le origini vere e proprie e lo sviluppo del genere come lo intendiamo oggi, ovvero come "journal intime" sono piuttosto complesse e variano da Paese a Paese. Per questo, l'analisi di Lejeune resta francocentrica per sua stessa dichiarazione, e si concentra alle pratiche tra il XVI e il XVIII secolo.
E' particolarmente interessante, anche se non approda a verità certe, il saggi in cui Lejeune si interroga sulla nascita dell'apertura "Caro diario" e sulla pratica di avere un referente fittizio (O my paper!). Il saggio seguente (Writing while walking), dedicato a Marc-Antoine Jullien, è un interessante focus su un diarista ante litteram, che fa del diario una pratica per controllare il tempo. Nel successivo si occupa di Pierre-Hyacinthe Azaïs, sconosciuto diarista che tenne 365 diari in parallelo, uno per ogni giorno dell'anno dal 1811 al 1844.
Il primo blocco di studi si chiude gettando nuovo interesse sul cosiddetto "journal de jeune fille", ovvero sulla diaristica femminile ottocentesca in Francia, molto diffusa ma non indagata prima, e Lejeune intreccia lo studio autobiografico ai gender studies con non poca passione.

La seconda parte della raccolta è la più rilevante per chi cerca la teoria del diario. In The diary on trial, si inizia con una definizione del diario e con una serie di attributi che si sono tradizionalmente accostati al genere: non salutare, ipocrita, codardo, senza parole, artifcioso, sterile, che avvizzisce, tipicamente femminile (tutti i termini sono ripresi da citazioni di noti diaristi). Lejeune passa quindi a smontare i vari pregiudizi e i misunderstanding, toccando anche i contributi critici di grandi nomi, tra cui Maurice Blanchot.
Composing a diary, uno dei saggi più utili, percorre e argomenta i reali connotati del diario, fino alla sua possibile trasformazione in narrativa, attraverso opere di riscrittura o di montaggio. Fondamentali sono anche i successivi capitoli sulla continuità e discontinuità del diario, che attribuisce all'opera un ritmo specifico, e sulle modalità di chiusura del diario, se per sospensione, per morte, per deliberata presa di distanza, ecc.
Per una serie di argomentazioni serrate, in un contributo del 2005 Lejeune conia la definizione di diario come antifiction, in chiara opposizione all'autofiction, e si applica a tutti i testi che rifiutano l'invenzione narrativa.

E' quindi la volta degli studi su specifici testi, tra cui un'interessante ricostruzione filologica sulle diverse redazioni del Diario di Anna Frank. Con l'avanzare della tecnologia e dei mezzi di comunicazione, Lejeune si è interessanto anche dei diari virtuali e delle differenze tecniche e strutturali, ma anche stilistiche, che comporta tenere un diario sul computer.

Singolari sono i saggi (non pochi) che Lejeune struttura come diario, a loro volta, risalenti a particolari convegni a cui lo studioso ha preso parte, o ad altre occasioni di riflessione. Anche in questo, si consenta una parentesi, si riconosce il diversissimo approccio alla saggistica degli studiosi stranieri: quale critico o professore italiano darebbe "in pasto" al lettore i suoi appunti presi durante un convegno?
Peccato che in questa raccolta, riunendo materiali diversi risalenti a differenti occasioni (convegni, saggi, articoli,...), si trovino inevitabilmente ripetizioni o riproposizioni di temi, con parziali accavallamenti. Dopo i saggi risalenti agli anni Cinquanta o Settanta del Novecento, ad oggi questo resta in ogni caso il più valido e agile studio sul genere, disinibito, a tratti quasi apologetico, ma sempre di grande acutezza.

Gloria M. Ghioni

Vuoi saperne di più sul lavoro di Philippe Lejeune? Da qualche anno è online www.autopacte.org, dove, tra le altre risorse, si trovano la bibliografia completa delle opere di Philippe Lejeune, ma anche i contributi più recenti sull'autobiografia, costantemente aggiornati.