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La visione impalpabile di Roberto Lamantea

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Nel vetro del cielo. Per flauto, clarinetto, sax, violino, violoncello, percussioni e contralto
di Roberto Lamantea
Amos Edizioni, Mestre 2006

con sei disegni d'autore
con posfazione di Paolo Leoncini
pp. 87
€ 10.00

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Verde notte
di Roberto Lamantea
Amos Edizioni, Mestre 2010

pp. 85
€ 5.00


Contemplare la natura - i ritmi, i colori, i rumori soffusi, le luci e le ombre - è una pratica rara nel Duemila. Si richiedono grande concentrazione e insolita introspezione, per lasciare che paesaggi e suoni si fondano e si confondano dentro di noi, che rimbalzino contro le nostre pareti, suscitando a nuova vita i sensi, spesso ottusi dal traffico e dal grigiume cittadino.

L'operazione di Roberto Lamantea è, dunque, un'insolita ripresa di quella "foresta di simboli" che tanto piaceva ai Simbolisti francesi, anche se in chiave personale. Non mancano riferimenti al naturalismo inglese alla Wordsworth e alla Coleridge, ma solo per contenuti, e non per forma. Infatti, il confine tra poesia e prosa diventa labile in Verde notte, che fin dal titolo propone una delle figure retoriche su cui nasce la raccolta: la sinestesia, che accosta sensazioni derivanti da sensi diversi (in questo caso, la sensazione coloristica è apertamente visiva, mentre la notte racchiude nel suo essere varie modalità di percezione, che coinvolgono anche gli altri sensi). Vista e udito, soprattutto, ispirano a Lamantea prose liriche impalpabili, prive di realismo, acroniche e senza una spazialità ben definita. Il celebre binomio leopardiano di "vago e indefinito" trova qui un suo riproporsi, a tratti ipertrofico, tra le pagine, che qualche volta rischiano di diventare un funambolismo di bravura e di variazioni sul tema. Ciò non toglie che a volte Lamantea sia in grado di creare quadretti iconici di grande bellezza, che si imprimono non nel cervello, ma sulla retina e nelle orecchie; qualche volta, anche sulla pelle. Eccone una prova, in cui si notino l'attenzione al suono, la sintassi semplice, il lessico qua e là ricercato, ma soprattutto la passione per le realtà piccole, di cui spesso abbiamo dimenticato le proprietà:
L'amore ha un colore di libellule che sfiorano stupite il sonno; un nastro di cera sul limite di un'alba; il ronzio di un maggiolino sul mogano.
Bianchi brividi scorrono lungo le pareti, la pioggia tocca dolcemente le grandi foglie della magnolia, riga i vetri.
Amo un ricordo che non è carne ma vapore, un profumo lontano dove oscilla un pendolo tra attesa e memoria; il suono cavo di una conchiglia, le alghe nere su un ciottolo, il trinio di un picchio sulla corteccia di una robinia.
Mormorii dell'amore vuoto, una fotografia di betulle.

Il suono del fuoco brucia la carta di una sigaretta; la luce appannata di una lampada musica sui fogli di carta bianca. (pp. 21-22)
Anche se in misura e forme diverse, la stessa priorità all'aspetto fonico e alla descrizione del mondo è presente nell'opera precedente, Nel vetro del cielo, come leggiamo nel sottotitolo "Per flauto, clarinetto, sax, violino, violoncello, percussioni e contralto". Una raccolta di poesie che si immaginano orchestrate, per quanto nell'opera Lamantea non lasci delucidazioni in merito. Come è sottolineato invece nella posfazione di Paolo Leoncini, in questa raccolta le liriche vanno a riscoprire il valore primigenio della parola, una sorta di "cosmogonia verbale". Anche le poesie più legate a temi concreti si reggono su un'innocenza di intenti insolita, e i simboli risultano decifrabili solo per i lettori più avvezzi all'intepretazione:
ti spoglierai delle vene, e della pelle,
e d'ogni altro diadema.

il sangue dei ciclamini stilla
tra le fessure d'arenaria,
la conchiglia nevosa del mondo,
la bacca

(7/21-9-1984, ore 11 in parco)
Già in questa raccolta si trovano pochissimi riferimenti alla realtà: i luoghi, le date e gli orari in calce ai testi circoscrivono ma non intrappolano affatto l'impalpabilità e la potenza indefinita delle liriche, composte tra il 1984 e il 2004. L'ampio arco temporale è segnato da varie sperimentazioni, che sdoganano la tradizione in eleganti  sperimentazioni di versi a gradino, sfilacciature più o meno libere, metrica libera e schemi rimici inesistenti, nonostante si rilevi la presenza di alcune rime e di molte assonanze.
Il risultato è una raccolta composita ma che fin dagli anni '80 testimonia, forse ancora imberbe e meno sofisticato, il nucleo della scrittura di Roberto Lamantea.

Gloria M. Ghioni