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Lo schivo Salinger e l'Holden "commerciale"

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Jerome David Salinger
Il giovane Holden

1951

240 pag. ca

Einaudi



Vorrei rendere omaggio, con questa recensione, alla memoria di J.D.Salinger, spentosi il 27 gennaio scorso. "Il giovane Holden" (traduzione di "The catcher in the rye", intraducibile in Italiano in quanto complesso gioco di parole) appare nel 1951 e subito riscuote un grandissimo successo, dovuto principalemente al suo incedere non convenzionale e al suo approccio intimistico e personale alla realtà, capace di ammaliare anche i palati più rigidi e severi con le sue riflessioni di un'attualità disarmante. Tutto questo al punto da farlo diventare un classico del romanzo che rasenta i limiti del commerciale. La troppa popolarità che ne è derivata ha sicuramente inficiato sulle possibili letture del romanzo, riducendole a semplice as it is priva di qualsiasi spunto critico che vada oltre l'innovativa schiettezza formale. Di riflesso Salinger si è letterariamente chiuso in sé stesso, infastidito dalla folla e dalle sue interpretazioni superficiali e fin troppo assenzienti della propria opera. In realtà "Il giovane Holden" è un libro pieno di spunti critici, nascosti forse dallo stile irriverente e cogitativo della narrazione. Non si pone come un'autobiografia fittizia (già all'inizio lo stesso Holden lo specifica), ma piuttosto come una raccolta di avvenimenti e soprattutto pensieri legati fra di loro per lo più con flashback più o meno estesi concentrati in pochi giorni di vagabondaggio a New York. Il ritmo della narrazione viene così scandito dall'uso frequentissimo di colloquialismi, assurti quasi ad espressioni formulari nella dizione omerica, con la differenza che essi avvicinano il lettore al protagonista, persona loquens e persona agens allo stesso tempo con delle piccole sfasature. Non è un romanzo di formazione nel senso stretto del termine, l'io narrante di Holden non ha subito un'evoluzione, una crescita che lo porti a vedere il suo passato con un determinato spirito critico. La sua pare una semplice voglia di raccontare un paio di giorni e senza alcun intento autobiografico. Ed è proprio nello stile innovativo e nel linguaggio irriverente e quotidiano che ha decretato da un lato il successo commerciale dell'opera di Salinger e dall'altro la sua sempre più superficiale lettura, volta a cogliere le interessanti dissonanze con la facciata del mondo di tutti i giorni, ma non le risoluzioni. Da ciò si intenda bene la ritrosia di Salinger, che trova come suo contraltare nel libro l'approdo ad Hollywood di un non meglio identificato scrittore, D.B. . Il vero spunto critico, la vera vis contenutistica di questo volumetto risiede tutta nella sua lotta all'ipocrisia combattuta dallo stesso Holden. "Tanto per cominciare, detesto gli attori. Non sono mai naturali. Credono soltanto di esserlo" dichiara il ragazzino sedicenne in un passo emblematico del libro. E' lui stesso un attore all'interno del romanzo, che calpesta l'ipocrisia del mondo esterno con una propria personalissima ipocrisia, capace di mantenersi, a differenza degli altri, genuina e con risvolti assolutamente naturali. Quando Holden mente o finge è perfettamente consapevole di farlo, in questo consiste la sua genuinità ed il fascino del suo racconto. Al contrario gli altri personaggi secondari che gli gravitano intorno si comportano secondo uno schema fisso, secondo quello che credono sia naturale fare e non secondo ciò che loro vogliano fare, a dispetto della genuinità o meno. Un mondo ricoperto di cartapesta e sintetico, in cui si tende ad essere ipocriti (dal greco hypokrités, attore) per un proprio vantaggio personale, plagiando natura e volontà ai fini del successo personale. Ad esso Holden contrappone il proprio cappello da cacciatore (che rimanda in un certo senso al titolo originale) e il guantone di suo fratello defunto, oggetti rifiutati entrambi dall'esterno che vengono ostentati come simboli di autonomia ed indipendenza. Ma non si cada nel rischio opposto e complementare di considerare troppo moralmente un libro del genere e catalogarlo strettamente sotto l'una o l'altra voce. "Il giovane Holden" rimane un caso letterario a parte, a seconda delle letture che se ne vogliano fare, che si presta sì a far da levatrice a numerosi spunti critici (gli excursus dei pensieri in stream of consciousness ne sono un ottimo esempio) ma non a generalizzazioni di qualsiasi genere; un libro che giace lì in ogni libreria che pretenda formalmente rispetto a prender polvere, in attesa di essere letto e compreso.
Adriano Morea