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Scrittori in ascolto: #FFF2015. Véronique Ovaldé e il mondo delle coincidenze

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Roma, 26 ottobre. Il Festival della narrativa francese alza il sipario anche sulla città eterna. Il primo degli undici incontri che coinvolgeranno scrittori, lettori, traduttori e semplici appassionati di cultura francese ha luogo alla Biblioteca Rispoli. A due passi dallo storico Largo di Torre Argentina abitato dai gatti romani e alla tiepida luce del tramonto autunnale, si respira una frizzante aria parigina: lungo la stretta via degli Astalli giovani e meno giovani si incamminano con in mano la loro edizione de La sorella cattiva; ci si siede in mezzo a polverosi volumi passata tra mille mani e nessun luogo potrebbe essere più adatto di questo per parlare del meraviglioso testo di Véronique Ovaldé.
Maria Cristina, la protagonista, riesce a fuggire dall’asfittica realtà provinciale in cui è reclusa sin dalla nascita proprio grazie ai libri: in biblioteca prende in prestito non solo i testi religiosissimi permessi dalla madre ma sotto di loro nasconde letture proibite, consumate nella solitudine e nel segreto della propria stanza. Chiara Valerio, moderatrice della presentazione, coglie poi nel segno, dicendo che dei libri della Ovaldé La sorella cattiva è il più autobiografico. Véronique racconta infatti di aver quasi dimenticato di aver scritto di questi libri proibiti nel suo romanzo ma lei stessa ha vissuto l’esperienza di Maria Cristina in prima persona, prendendo in prestito i libri di Norman Mailer nascosti in mezzo ai titoli autorizzati dal padre, con la complicità della madre che nascondeva i libri dell’Index in luoghi segreti della casa.

Véronique Ovaldé autografa i volumi alla Biblioteca Rispoli

Una fiaba nera sul mondo della famiglia, quella della Ovaldé. Una famiglia asfissiante da cui la protagonista riesce ad allontanarsi grazie alla lettura, mezzo di libertà non solo per Maria Cristina ma per qualunque altro lettore al mondo; alla domanda se ami di più leggere o scrivere, l’autrice risponde che nonostante le due cose si sovrappongano e possiedano molti elementi in comune, riesce ad immaginare una giornata trascorsa lontana dalla penna ma non riuscirebbe mai a figurarsi anche solo un giorno trascorso senza leggere. 

Il rapporto tra Maria Cristina e Meena, la sorella maggiore sua complice nella sopravvivenza familiare, è protagonista delle pagine più belle, dolci e intense di tutto il romanzo; la seconda sceglie di fuggire in una maniera diametralmente opposta rispetto alla sorella, in un modo fisico, dedicandosi alla lotta greco romana. Véronique ammette che prima della scrittura del libro non sapesse nemmeno cosa fosse la lotta greco romana, ma una volta venuta a conoscenza delle sue regole e della sua tecnica, la sceglie immediatamente come metodo di fuga fisico alternativo a quello intellettuale abbracciato dalla protagonista. 

Una famiglia orchesca, dunque, da cui scappare a gambe levate? La prima impressione è propria quella, ivi incluso l’elenco grottesco su “ciò che è volgare” stilato dalla madre (per inciso, Véronique ammette di essere sempre volgare), onnipresenza del rapporto fraterno tra Meena e Maria Cristina. Le sfumature tuttavia si perdono nell’immagine favolistica di un padre che, a discapito delle apparenze, prende in mano le redini della situazione e chiede quasi implorando alla figlia di continuare la fuga dalla provincia che lui non è mai riuscito a portare a termine; un padre analfabeta con cui la protagonista stringe un rapporto quasi da sogno: è di notte che lui le intima di scappare, sussurrandole di essere imprudente e di affrontare il pericolo di petto e a testa alta. “Dire a un figlio di essere imprudente può essere la cosa più difficile del mondo ma se riesce a dirlo, si ha in mano la chiave del successo”; sempre di notte in un sogno il padre le appare un’ultima volta, citando Stevenson e alla domanda se abbia mai ricevuto una visita di Stevenson in sogno, Véronique risponde di avere scelto di citare l’autore inglese per il suo pensiero sulla finzione e la scrittura: 
«E che dice Stevenson?» «Dice che l'inizio di tutte le storie è soddisfare il desiderio ardente di chi legge. Per farlo deve obbedire alle leggi ideali del sogno, alle coincidenze e alla fame di corrispondenze misteriose».
Le sono sempre interessate la costruzione e la finzione, quella possibilità cioè che uno scrittore di tessere le trame di una storia a partire da un piccolo dettaglio o un punto nevralgico, sfuggendo così alla tentazione di ripiegarsi in se stessi e scrivere lunghi monologhi e soliloqui.

Un testo che è, allora, una finestra aperta sul mondo degli scrittori. Scrivere per Véronique rappresenta un’operazione magica e misteriosa, ammantata di quell’innocenza infantile di chi scopre la scrittura grazie alla lettura. Lungo tutta l’intervista si toccano diversi aspetti del mondo degli scrittori: dalla paranoia e di quanto tutti gli scrittori, in fondo, siano paranoici semplicemente per la loro capacità che hanno di trasformare le proprie sensazioni della realtà in verità, appropriandosi delle vite altrui; al significato della coincidenza nella vita degli uomini: Véronique scrive il testo scegliendo di raccontare una storia che segue le traiettorie delle coincidenze; non riesce a trovare un punto di partenza perché ogni nodo è un fulcro centrale. È molto affascinata da tutte quelle storie che riflettono sul destino: cita Philippe Jaenada che con il suo Sulak ha raccontato del continuo interrogarsi sui se e i ma della propria vita.

La sorella cattiva va letto perché è una guida di sopravvivenza per la vita (mai dire “non voglio” ma dichiarare sempre “non posso”; alla base c’è sempre la volontà ma nessuno può prendersela contro l’impossibilità di fare qualcosa). La sorella cattiva va letto perché se l’allegria fosse una categoria critica il testo sarebbe un grande romanzo e se l’allegria non fosse una categoria il testo sarebbe comunque un grande romanzo.


Federica Privitera