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Lo "splendore" di un amore che va oltre

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Splendore
di Margaret Mazzantini
Mondadori, 2013

pp. 309
€ 17 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


Quella sensazione, «come se qualcuno mi camminasse sulla faccia a piedi nudi, schiacciandomi gli occhi, il naso, soffocandomi», la consapevolezza struggente di «essere compromesso da un'altra identità» (p. 123): quando se ne prende consapevolezza? E a quale prezzo la si accetta? 

Il ritorno di Margaret Mazzantini piega verso il grande respiro di Non ti muovere e Venuto al mondo, più che verso i più recenti Nessuno si salva da solo e Mare al mattino: anche in Splendore, abbiamo una lunga storia che si dipana attraverso gli occhi di un protagonista maschile; e ancora, i sentimenti non sono mai scontati, né a tutto tondo. 
Lo "splendore" del titolo non è un incanto celeste e nitido di un amore da romanzo, ma un baluginio lontano che sa di vita reale: ora lo si intravede tra la nebbia, ora fa troppo male per fissarlo direttamente, e tocca osservarlo tra le dita appena socchiuse. Anche la bellezza del sentimento fa paura, specialmente quando urta le convenzioni sociali e prevede una lotta strenua prima contro sé stessi, poi contro l'evidenza, quindi contro il resto del mondo. Il giovane Guido studia fin da bambino il figlio del portiere, Costantino, che potrebbe dirsi il protagonista della prima parte del romanzo: proprio nell'osservazione minuta, da vicino, il lettore assiste al progressivo interessamento di Guido nei confronti dell'altro, dopo una finta indifferenza e costanti prese di distanza.
Prima di parlare di attrazione e omosessualità, i due ragazzi frequenteranno insieme le scuole e solo durante l'ultima gita del liceo si affaccerà l'ipotesi di un'attrazione. Ma poi c'è la vita che sconquassa e distoglie dal pensiero: due famiglie problematiche, le prime ragazze, la sfida per imporsi nella società, la fatica di trovarsi un look che rappresenti o camuffi ciò che si è. E che protegga, certo, da quel che si teme. 

In fondo, anche vivere il sentimento e condividere non offre calma interiore, ma risponde a una dinamica di sacrificio e di immolazione totalizzante: Guido c'è per Costantino, ma l'angoscia di non essere corrisposto fino alla fine è continuamente incendiata dalle vite parallele che i due amici/amanti costruiscono ad arte. Moglie, figli e un ristorante romano per Costantino; moglie, figliastra e una cattedra di storia dell'arte a Londra per Guido. Il crinale tra quel che è e quel che dovrebbe essere è sottilissimo e pericolosamente trasparente per i due protagonisti, specialmente quando il sentimento minaccia di travalicare. 

E così anche il lettore segue con il fiato sospeso una storia densa, non sempre facile da accogliere, perché la Mazzantini non fa niente per addolcire un amore problematico (d'altra parte, come non ricordare l'amore  inizialmente incomprensibile di Italia per il protagonista in Non ti muovere?), che svuota il luogo comune. L'obiettivo, sia chiaro, non è la provocazione, ma una dimostrazione (implicita o razionalmente studiata, chissà) di quanto la vita smentisca di continuo le aspettative iniziali, e di come decostruisca il percorso scelto da noi e dalle nostre famiglie:
Comprammo uno zucchero filato, attendemmo che levitasse caldo e spumoso intorno al suo stecco e strappammo ciuffi dolcissimi che ci fecero ridere e impiastricciare, che subito si scioglievano in bocca deludenti come il nulla... la quintessenza dell'inganno più dolce, non era questo l'amore? Un pugno di zucchero che cambia le sue molecole, si gonfia e ci alletta, poi, al contatto con la cavità calda delle membra, svanisce come l'illusoria sostanza dei sogni. (p. 73)
Sulla scelta dei personaggi, la Mazzantini ancora una volta vince: personaggi complessi, ritraibili da qualsiasi lettore perché hanno muscoli e pensieri descritti fino a (ri)conoscere il carattere, la gestualità e i piccoli vezzi che cambiano o si riconfermano negli anni. Le donne, e in particolare la moglie Izumi e la figliastra Leni di Guido, hanno caratteri originalissimi, da seguire con le loro apparenti idiosincrasie. Insomma, anche le comparse perdono di marginalità perché descritte con accuratezza e caratterizzate fino a straordinari effetti fotografici, che favoriscono una visualizzazione filmica, a tratti scenografica. Se è indubbio che «il buon Dio abita nei dettagli» come sosteneva Flaubert, qualche perplessità sulle tantissime metafore che nella prima parte del romanzo rallentano l'azione a vantaggio di una cascata di sinestesie, ben scritte, finalizzate evidentemente alla resa delle sensazioni dei protagonisti, ma un po' insistite. Con il passare delle pagine, lo stile si distilla fino a scartavetrarsi, perde i vezzi di cui talvolta la Mazzantini è stata accusata, e si spoglia letteralmente per addentrarsi come un punteruolo in temi sempre più attuali e impegnati: l'omofobia, il coming out, la violenza gratuita, il perbenismo e le conseguenti emarginazioni,... Quale salvezza, quando tutto il resto trema? 

Nel corso degli anni, il tema dell'incertezza serpeggia, e il dubbio dell'inutilità fa riflettere sulla compiutezza o meno di due formazioni. Il lettore non ne uscirà sereno, ma sicuramente più consapevole, perché Margaret Mazzantini semina di indizi un percorso complesso e continuamente problematizzato. Speriamo solo che il pubblico e la critica vadano oltre il macrotema dell'omosessualità per discutere di quel che ci sta sotto: due anime che lottano per capire e per capirsi. 

GMGhioni