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"Fai bei sogni": ovvero il trauma e il sogno

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Fai bei sogni
di Massimo Gramellini

Longanesi, 2012

pp. 209



Fino a che punto un'opera letteraria è influenzata direttamente dalle vicende biografiche dell'autore che le ha dato vita? L'opera non gode piuttosto di uno statuto a parte, non gode forse di vita propria e abbandona presto il grembo dello scrittore per volare tra le altre opere e le rappresentazioni dei lettori? Per il libro di Gramellini è opportuno mettere tali quesiti tra parentesi. Fai bei sogni, libro per certi versi spregiudicato, vuole vestirsi da viaggio autobiografico dell'autore ma nasconde tra le sue righe molto di più: la connessione universale tra trauma e sogno.
Il ricordo della prematura scomparsa della madre, una vera ossessione per l'autore, è il nodo centrale del libro, che da questo punto parte per ripercorrere le sue vicende di eterno ma in qualche modo volontario outsider, uomo mancato per via di un'infanzia colpita da un evento luttuoso. L’autore si appresta a raccontarci una storia cruda, difficile da digerire, sicuramente ancora più difficile da raccontare.
Fai bei sogni è il titolo del libro probabilmente perché è in questa frase che viene racchiuso tutto il nucleo emotivo dei ricordi di Gramellini; questa frase, pronunciata dalla madre, connette il dolore al ricordo. Ci rendiamo conto così di come il vero protagonista dell’opera sia la vita dell'autore vista attraverso la prospettiva del trauma, ripercorsa al contrario, riavvolgendo il nastro delle parole ascoltate e delle immagini vissute, attraverso quei sogni che non sono stati mai sereni, una volta segnati dal dolore di una perdita così importante, quella della propria madre... Ma potremmo chiederci, in fondo, se la condizione dell’autore, in altre forme e modi, non sia un’atmosfera potenzialmente nota ad ogni essere umano.  

Trauma, τραῦμα, in greco significa "ferita"; in tedesco, invece, Traum è "sogno": sogno e ferita sono parole unite da relazioni antiche. Parole unite da un rapporto sempre presente nella ragione e nell’istinto.
Questo rapporto tra le ferite del nostro spirito, le immagini oniriche e il modo in cui queste influenzano la nostra vita è lo spunto che Gramellini può offrirci con la rilettura della sua vita attuata con la scrittura di "Fai bei sogni". Riscoprire i percorsi della propria anima attraverso le parole è mestiere che unisce scrittori e lettori, tenere questo libro nella cassetta degli attrezzi potrebbe rivelarsi scelta azzeccata.
La vita di Gramellini risulta interessante per una sorta di “pienezza della sconfitta”, di “culto della débacle”. L’autore riesce a catturare la nostra attenzione attraverso tutte le sfumature che può assumere una “perdita”, quella di una madre, di un amore, persino di uno storico risultato sportivo fallito (ancora una volta) dal Torino, squadra dal cuore infinito e di immensa storia, eroicamente nefasta. Ogni sogno è perdita, ogni volta che ci svegliamo perdiamo una parte del nostro io; perdere la madre per l’autore è stato perdere ogni possibilità di “fare bei sogni”; ha significato perdere una caratteristica essenziale del proprio inconscio, una dimensione essenziale della propria esistenza. L’autore sa che in qualche modo il suo dolore gli ha precluso la dimensione fantastica del sogno (anche quello ad occhi aperti).
Solo sogni infranti, solo traumi, solo il gusto cinico e indifferente di chi vive per soffrire. La fine del libro riappacificherà l’autore del libro con la “realtà” ma al contrario di quanto si potrebbe pensare ciò accade solo in virtù di un drammatico scontro con la verità sulla morte della madre. Conoscere la verità diventa riconciliazione con la realtà, come spesso accade a chi soffre. In maniera interessante quella che chiamiamo “realtà” accorre in aiuto della dimensione onirica, consentendogli di manifestarsi di nuovo, con forza e vigore inaspettati.
Quando il Gramellini “Uomo” viene a conoscenza della verità il trauma da rimosso diventa esplicito, diventa “lente d’ingrandimento sul sé”, l’uomo e lo scrittore si riappropriano di un ricordo e comprendono la propria dimensione. L’uomo di Gramellini, lui stesso per come si racconta a noi, ora sa di avercela fatta, di essere riuscito a scoprire se stesso attraverso un doloroso viaggio, ma se ne rende conto solo adesso. Fino a che il dolore rimane dentro di noi è cieco e lo rimane se non viene mediato dalla creazione, dalla scrittura. Alla fine del racconto scopriamo che la storia dell’autore non gli appartiene più totalmente ed è diventata anche nostra.

Guglielmo Sano