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Pillole d'autore: Carlo Dossi e Le note azzurre

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Alberto Carlo Pisani-Dossi (in arte Carlo Dossi, 1849-1910), pavese d'origine, divide la sua gioventù tra studi giuridici e letterari. Dopo la formazione, è fondamentale il suo trasferimento a Roma, che considera una seconda patria, dove si inserisce nell'ambiente politico, contribuendo a una riforma del Ministero degli Esteri. Sostenitore di Crispi, alla caduta di questo nel 1891 si ritira a Mairano di Casteggio (Pavia), dove sposa Carlotta Borsani, da cui ha tre figli. Destinato a Bogotà in una sorta di esilio, riesce a ottenere di restare in Italia e alla fine del '93 gli viene restituito il posto di capo di Gabinetto al Ministero degli Esteri. Sempre per lavoro, viene trasferito tra il '95 e il '96 ad Atene, dove può assecondare la sua passione archeologica. Rientrato in Italia, trascorre gli ultimi anni della sua vita nei pressi di Como.

Le sue Note azzurre prendono avvio negli anni '70 e per oltre quarant'anni raccolgono pensieri, riflessioni, schede di lettura, lacerti di vita privata, aforismi piccanti e vividi, con quella ricerca di distacco ironico che sfocia talvolta in deformazione e caricatura. Tutto questo in una Lombardia in cui, per dirla con Dante Isella, curatore dell'opera, "le suggestioni del pastiche portiano, ricuperate sul filo di un'educazione illuministica e volteriana, si offrivano ancora pressoché intatte". Dossi riprende e riconferma l'attenzione all'osservazione minuta e al dettaglio, tipica della tradizione lombarda, ma la intreccia all'esercizio di autori e di dizionari, a tessere di un dialetto privato che si afferma quale "riconquista di un tempo perduto" (Isella).
Questo "diario interiore" e "taccuino di lettura" si sviluppa in 16 quaderni di grandi dimensioni, dalla copertina azzurra (da qui il titolo? Isella ipotizza che nel cromatismo vi sia anche un rinvio alla serenità), che attestano dopo una serie di note sparse le variazioni grafiche, calligrafiche, contenutistiche e stilistiche di questi quarant'anni di scrittura.

La scelta di questa puntata di "Pillole d'autore" è ricaduta su Dossi per la sua estrema vivacità intellettuale, più che apprezzabile tuttoggi; si sono preferite note di carattere aforistico e metaletterario, tralasciando le godibili ma più impegnative riflessioni linguistiche, cui si rimanda all'opera per eventuali approfondimenti.

(Edizione di riferimento: Carlo Dossi, Le note azzurre, a cura di Dante Isella, Adelphi, Milano 1988; con testo, prefazione, note e indici analitici a cura di Dante Isella)




1. Vi ha risposte che sono insieme una domanda - ottime a protrarre un discorso. E io invece, nelle mie risposte, pongo sempre punti; mai virgole né punti e virgola -.

17. O gente che scrivete per non essere capita, non sarebbe assai meglio taceste!

153. La cattedra ci apprende a disputare, non a vivere.

474. Con l'amor non si scherza. Molti che cominciano fingendo amore, ci restano poi colti davvero.

501. Vi ha gente che è sempre del parere dell'ultimo libro che legge.

1348. Un vanissimo letterato, passeggiando per la città, si vede addosso gli occhi di tutti, e lusingato, già gusta il reddito della celebrità. Ma, a casa tornato, e volto un ammiratore sguardo allo specchio, si accorge che lo guardavano tutti... per la sbottonata brachetta.

1675. Qual è la miglior lingua? - Leggo Shakespeare, e dico, è l'inglese - leggo Virgilio e dico "è il latino" - leggo Dante e dico è l'Italiano - leggo Richter, e dico, è il tedesco - leggo Porta, e dico è il milanese.-

1680. I bibliofili possessori di biblioteche di cui non volgono una pagina, si possono paragonare agli "eunuchi in un harem". 

2182. Si ama uno scrittore che parli ne’ suoi libri di sè, quando egli si limita a studiare il suo interno, perché allora studia insieme anche il nostro. Odioso invece è colui che non si occupa se non dell’esterno - il che non è noi.

2206. I dizionari vanno continuamente corretti come le carte geografiche. 

2328. Agli esami, i professori cercano più di far sapere allo scolare che loro sanno, che non di conoscere se lo scolare sappia.

2370. A scrivere io soffro. Ogni linea è per me un dolore. A chi è condannato a molto pensare, Dio avrebbe dovuto concedere, per lo meno, un paio di cervelli indipendenti fra loro, come concesse un pajo di braccia, affinchè l'uno potesse lavorare durante il riposo dell'altro. [...] La più parte degli scrittori hanno le parole e non i pensieri: io con i pensieri non ho la parola. 

2500. Era la prima farmacia della città: avea di che ucciderla tutta... 

2749. - E' un amore indegno di te - mi diceva Perelli a proposito di Ester - Sarà benissimo, rispondevo - Sarà fuoco di gelso, anziché di legna di rovere; ma ciò non diminuisce il bruciore - La mia vita è tutta pazzie. "Ma muta" mi si suggerisce - "Se muto" - rispondo - "sembrerò pazzo". E così, per non lo parere, seguito ad esserlo. - Il mio discorso è tutto cancellature. 
3354. Al fuoco della verità le obbiezioni non sono che mantici.

3608. Lo stile del giornalismo odierno è “forbice e colla”

3619. Scrivo troppo male per scrivere a te - dicevami la mia A. Ed io: t’amo troppo, per ricordarmi, leggendo le lettere tue, che c’è una sintassi e una ortografia.

3624. I voli dei moderni poeti sono voli di pollo e non di aquila.

3768. Il punto d’esclamazione è quel puntelletto senza il quale uno squilibrato periodo cadrebbe.

3978. L’intreccio in un libro genioso deve servire ad adescare dolcemente il lettore fino alla fine, non già a trarvelo tumultuariamente a corsa: - dee lasciargli cioè l’agio di osservare il paesaggio per cui passa... L’intreccio ha da essere una carrozza, non un vagone. - Nei libri invece cattivi è indispensabile che l’intreccio usurpi tutta l’attenzione del lettore e lo tragga a rotta di collo. Guai se il lettore ha tempo di meditar ciò che legge - Quanto allo stile non dev’essere d’impaccio al cammino del lettore, ma non deve neanche essere una sdrucciolina che lo conduca in un atimo e senza scosse alla fine - In un libro l’intreccio è il veicolo, lo stile è la via.

4525. Dicono alcuni che l’amore è il coito. Sarebbe come dire che il mangiare è il cacare. Certo che il cibo finisce, in parte, nel cesso - ma non si mangia pel cesso come non si fa all’amore pel coito, sebbene ci si finisca.

4818. E’ una repubblica, la letteraria, in cui ciascuno vuol essere re assoluto.

5317. Il galateo l’ho letto, ma non vi appresi che quando s’incontra un somaro in istrada, bisogna salutarlo - Ad un nuovo coinquilino che cerca d’entrare in subita relazione con noi “non mancherò di avere rapporti con Lei in caso d’incendio”.

5418. L’arte non imita, interpreta.


Selezione e nota introduttiva a cura di Gloria M. Ghioni