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In "Mimica" di Sebastian Fitzek la verità è nascosta nei gesti nascosti che non sappiamo di compiere

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Mimica



Mimica
di Sebastian Fitzek
Fazi, luglio 2025

Traduzione di Elisa Ronchi

pp. 348
€ 19 (cartaceo)
€ 10,99 (ebook)

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Uccidere una persona è facile, dichiarò una volta un serial killer. Difficile è convivere con ciò che si è fatto.

Vediamo se è vero.

Hannah Herbst è un’esperta tedesca di mimica facciale, specializzata nei segnali segreti del corpo umano. Lavora come consulente della polizia, ma un giorno si trova ad affrontare il caso più terribile della sua carriera: una donna ha confessato di aver ucciso la sua famiglia in modo brutale, tutti tranne il figlio più piccolo, Paul, che è sopravvissuto. Dopo la confessione, la madre è riuscita a fuggire dal carcere. Hannah Herbst ha a disposizione soltanto il breve video della confessione in commissariato per incastrare la madre e salvare Paul. C’è solo un problema: l’assassina del video è lei.


Hannah non ricorda nulla. Né la notte del massacro, né l’interrogatorio, né tantomeno la confessione, perché è stata sottoposta ad un intervento e come effetto collaterale subisce la perdita di memoria. Da qui parte una discesa vertiginosa nella paranoia, in un thriller psicologico dove la verità non abita più nel volto, ma nei buchi della memoria.

Dunque. Si sta facendo tardi. E uccidere è faticoso.

Un vigoroso sbadiglio sovrastò il leggero cigolio della porta che lentamente s’apriva sulla cameretta buia.

L’ultimo obiettivo di quella notte.

Sebastian Fitzek, maestro del thriller psicologico, costruisce in questo libro un labirinto mentale dove il lettore è costretto, come la protagonista, a dubitare di tutto: delle immagini, dei ricordi, dei corpi. Sullo sfondo una Berlino notturna e claustrofobica, fatta di specchi, archivi di videosorveglianza e incubi in formato digitale. Nulla è come appare, nemmeno il proprio riflesso.


Con uno stile frammentato, sincopato, quasi ansiogeno nella sua tensione, Fitzek orchestra una storia in cui l’identità si sbriciola come carta velina sotto il peso della manipolazione e del trauma. Hannah, esperta nell’arte di smascherare la menzogna altrui, è improvvisamente costretta a indagare sulla menzogna più grande: se stessa.


Il punto di forza di Mimica è la sua struttura narrativa, che si costruisce come un’inchiesta forense sulla percezione. Il corpo diventa scena del crimine, la memoria un testimone inaffidabile, l’identità un gioco di specchi. Fitzek costruisce una tensione che non ha bisogno di grandi colpi di scena per inquietare: è l’idea stessa che si possa perdere la proprietà del proprio volto – e dunque della propria soggettività – a rendere la lettura perturbante.


L'autore eccelle nel rendere tangibile il senso di smarrimento della protagonista. La narrazione in prima persona – disseminata di blackout temporali, slittamenti semantici, cortocircuiti mnemonici – avvicina il lettore allo sprofondare di Hannah. La mimica, da strumento oggettivo di verità, diventa trappola, paradossalmente proprio perché infallibile. 


In un panorama editoriale in cui il thriller tende spesso a scivolare nella ripetizione degli stessi stilemi (la madre imperfetta, il marito bugiardo, la bambina scomparsa), Fitzek dimostra di saper innovare il genere, usando la psicologia come leva narrativa e il corpo come campo di battaglia.


Mimica è una riflessione disturbante sul potere dell’immagine, sull’ambiguità della percezione, e sul pericolo di vivere in un mondo dove il vero e il falso si giocano sul volto di una persona. La protagonista è fredda, razionale, ma man mano in lei si fa largo una ferita aperta, diventa un volto da ricostruire, a partire dai suoi stessi gesti involontari.


Un romanzo che si legge in apnea, in cui il personaggio femminile si spoglia, pagina dopo pagina, della propria sicurezza fino a diventare, come nei migliori noir, l’oggetto stesso della sua indagine.


Samantha Viva