Decisi di tornare alla grande casa. Non si torna mai da qualche parte senza un motivo. E per quanto mi fossero segrete, dopo tanti anni avevo le mie ragioni per rivederla nel mese di agosto. C’era il tempo che passava e la certezza, ormai, che niente fosse eterno. (p. 9, incipit)
L’incipit de I giorni del mare di Pierre Adrian, romanzo pubblicato da Atlantide con la traduzione di Maria Sole Iommi, contiene già gli elementi essenziali di questa storia, insieme alla postura autoriale con cui di lì a poco verrà raccontata. Leggo queste pagine dopo aver conosciuto Adrian durante l’ultimo Salone del libro di Torino e aver dialogato con lui a proposito del nuovo libro, Hotel Roma e, soprattutto, dopo essere stata io stessa non lontano dai luoghi dove I giorni del mare è ambientato, la costa bretone. Nella realtà l’ho conosciuta in primavera, in giorni di sole e di vento intervallati da una serata di pioggia a Brest, ma dopotutto certe città, come dice Adrian, si possono «comprendere solo sotto il cielo grigio. E Brest era una di quelle» (p. 77). Tra le pagine dell’autore la costa bretone l’ho dunque ritrovata in agosto, con il flusso di turisti, le maree, le dune di sabbia, gli odori dell’estate. Se la Bretagna – insieme alla Normandia – è stata una delle scoperte più belle tra i viaggi recenti, allo stesso modo Pierre Adrian è tra le voci più interessanti conosciute in questi mesi, di cui Atlantide ha pubblicato oltre ai due titoli già citati anche I bravi ragazzi.
I giorni del mare era già apparso nel catalogo della casa editrice romana nel 2023 e di recente è approdato nella collana Blu Atlantide, a seguito del successo di pubblico e critica. La lingua di Adrian è capace anche stavolta di creare mondi sulla pagina, fondendo passaggi di intenso lirismo a una narrazione pura, essenziale e limpida; l’apparato di immagini e le occorrenze di simboli che si rincorrono sulla pagina non sono mai banali e contribuiscono a dare vita a una storia che pare svicolare dai confini del tempo, profondamente ancorata al luogo da cui scaturisce eppure a suo modo universale per i sentimenti che la attraversano.
Il deflusso dava alla spiaggia un’ampiezza infinita. In lontananza, le barche ancorate si piegavano come pesci asfissiati dagli ami. I pochi villeggianti che passeggiavano approfittando della bassa marea sembravano di pietra, e le lontane grida dei bambini erano subito spazzate via dalla brezza. In questo spettacolo immobile, un uomo avrebbe potuto annegare nell’indifferenza. (p. 15)
Non è necessario riconoscersi dentro le pagine, non è quel tipo di empatia che il buon lettore dovrebbe a mio parere cercare in una storia per dirsi soddisfatto, ma, casomai, riconoscere certi moti dell’animo che sono da sempre dell’uomo; in questo caso, quelli del passaggio dall’infanzia all’età adulta, la fine dell’innocenza, il ritorno, la malinconia, il tempo e i sentimenti e le riflessioni che portano con sé.
La storia de I giorni del mare dunque è tanto particolare quanto universale insieme e nella fusione ideale di vicenda e modo di raccontarla Adrian ha trovato la sua voce peculiare. Nell’incipit, accennavo in apertura, c’è già il cuore di questa storia: un ritorno alla casa di famiglia, il mese di agosto con il suo carico di significati, il tempo che sfugge, la caducità di ogni cosa. È un testo – fatico a chiamarlo romanzo per quella commistione tra arte e vita che è la scrittura di Adrian – denso di malinconia e fin da principio siamo consapevoli che qualcosa sta per finire: l’estate, certo, ma anche la vita come fino a quel momento la si è conosciuta, l’infanzia, l’innocenza. Il centro nevralgico intorno cui tutto ruota è la casa: la vecchia casa di famiglia che ogni estate, ad agosto, riprende vita, le stanze piene, la famiglia che arriva da ogni parte di Francia e per quattro settimane di nuovo insieme, anno dopo anno. Il protagonista e voce narrante vi fa ritorno dopo un’assenza prolungata, alla soglia dei trent’anni, dopo la voglia di esplorare il mondo, allontanarsi dai luoghi conosciuti, dai ritmi famigliari, dagli spazi condivisi.
Facevo fatica a vivere di nuovo in famiglia, sopportare la prossimità degli altri, la mancanza d’intimità, l’intrusione, i pettegolezzi, gli orari fissi, i pasti troppo lunghi. Subivo un paradosso famigliare, in bilico tra la gioia del ritrovarsi e il sollievo della ripartenza vicina. (p. 17)
È un ritorno a casa con tutto ciò che questo comporta, quel miscuglio di sentimenti, le distanze, le nuove abitudini, il tempo e i cambiamenti. Ma è un ritorno necessario e non solo per stringersi intorno all’anziana nonna che pare svanire un po’ di più ogni giorno. Adulto ma con la memoria dell’infanzia ancora abbastanza viva, è l’anello di congiunzione tra quei due mondi, ma per certi versi escluso da entrambi, non del tutto a proprio agio in nessuno dei panni/ruoli che veste. In quell’estate presente si intreccia il ricordo di tutte quelle passate, di lui e i cugini quando erano bambini e poi adolescenti, dei cambiamenti del luogo, il misterioso mondo degli adulti, la memoria di chi non c’è più, le paure superficiali e quelle più profonde, la consuetudine e il desiderio di scoprire qualcosa di nuovo.
Passato e presente si intrecciano in una narrazione dagli echi proustiani che racconta sentimenti complessi sotto il peso di una tragicità imminente eppure alla fine inaspettata. Tornare a casa per il protagonista significa dunque confrontarsi con il tempo, il suo inarrestabile scorrere, mentre passato e presente si intrecciano in quelle settimane di agosto: e lui, come fosse sulla soglia, osserva l’infanzia dei cugini, di cui ancora mantiene viva la memoria, e le dinamiche degli adulti. Altri luoghi e altri viaggi l’hanno tenuto distante ma ora è lì, nella casa, a occupare le antiche stanze. Quella di Adrian dunque è una riflessione profonda sul tempo e prima di tutto sui luoghi cui apparteniamo.
Ma in Bretagna, in quella terra che avevo lasciato vivere senza di me, che non era cambiata, dove i vecchi parenti si facevano seppellire, emergeva ormai un sentimento bello e doloroso di appartenenza. Se il nostro paese è quello dove si hanno più ricordi, allora io ero lì. Allora io ero di quella terra tra dune, campi, e brughiere, di quella quasi isola rannicchiata tra due bracci di mare. (p. 69)
Pagine dense di vita, sentimento, malinconia e grazia, come lo è la scrittura di Adrian, così cristallina e intensa. Un romanzo che risuona dentro il lettore, di altri luoghi, di altre estati.
Debora Lambruschini
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