in

Nella dimensione del realismo magico: “Le margherite sanno aspettare” di Roberta Schira

- -





Le margherite sanno aspettare 
di Roberta Schira 
Garzanti, giugno 2025

pp. 416 
€ 19,00 (cartaceo) 
€ 9,99 (ebook) 


Con il suo secondo romanzo, Le margherite sanno aspettare, Roberta Schira ci proietta nelle atmosfere tipiche del realismo magico, raccontandoci una storia di donne, di nuovi inizi, di pazienza e gentilezza

Fittissima di elementi simbolici e metaforici, scandita dallo svolgimento di numerosi riti di passaggio e di purificazione, la narrazione si svolge tutta all’interno e nelle immediate vicinanze della grande casa chiamata Mariconda. Ex convento di clausura, poi, secondo una linea ereditaria rigorosamente femminile, proprietà trasmessa alle sole donne della famiglia Vinci, la Mariconda ha una collocazione geografica abbastanza precisa: sorge, infatti, tra la Toscana e la Liguria, in una terra che fu dei Malaspina; si affaccia sul mar Tirreno; ha alle spalle l’Appennino. 

Eppure, chi entra in questa casa sa che si sta introducendo in una dimensione quasi incantata, sospesa tra cielo e terra, e, che, per tutto il tempo che vi si tratterrà, dovrà rinunciare a calcoli o ragionamenti “normali”: 

… anche le persone più logiche e pragmatiche smettevano di dare spiegazioni razionali alle cose che accadevano. (p. 74) 
Così succede anche al lettore, che si accinge a entrare nella storia attraverso un prologo affidato proprio alla voce della dimora ‘parlante’ e che lo catapulta subito in quel clima “di innocuo mistero” (p. 101) che pervade tutto il racconto: 
Mi chiamano casa, ma sono molto di più […]. Sono un luogo, ma anche un respiro. Sono un essere vivo, pulsante, intriso di storie e di memorie […]. Sono un luogo e un tempo, un rifugio per chi cerca e per chi fugge, un abbraccio per chi è pronto a lasciarsi trasformare. (p. 9)

Un luogo fatato, dunque, popolato di “presenze fragili e timide” (p. 118), che ha nella Torre il suo occhio e nel Grande Camino il suo cuore, e che si configura come il regista silenzioso, l’organizzatore paziente del percorso interiore che investe in pieno le cinque protagoniste. 

Queste ultime – coadiuvate dalla saggia Agnese, l’ex governante della Mariconda, una sorta di spirito guida, che resta però sempre all’esterno della casa – sono tutte donne in fuga da situazioni dolorose e traumatiche o alla ricerca di risposte a quesiti che le incalzano da tempo.

Camilla, Bianca, Irene, Giovanna e Gaia sono ospiti impegnative, ciascuna con un importante carico di sofferenza; hanno subito abbandoni, violenze, rifiuti, ma, nel contesto magico della Mariconda, scoprono di essere disponibili al cambiamento, aperte alla trasformazione, pronte a imprimere una svolta alle proprie esistenze future. 

I loro tormenti sono calati nel nostro tempo (si parla di violenza domestica e di disturbi alimentari, ad esempio), ma assumono il valore del dolore, inteso in senso assoluto e universale: prova ne è il fatto che queste donne vengono associate ognuna a una diversa eroina del mito, che ne rispecchia o ne attualizza in qualche modo la storia. Il lavoro, non facile, che compiono su se stesse è finalizzato a una rigenerazione totale, quasi palingenetica, che somiglia a quella ciclica dell’uroboro, simbolo della vita “che si rinnova incessantemente” (p. 356). 

Questo cammino verso la metamorfosi si svolge per tappe attraverso dei riti, come dicevamo, ma anche grazie a veri e propri strumenti magici, il primo e più importante dei quali è un’antica pergamena che Camilla, la padrona di casa, ritrova nell’ampia e silenziosa biblioteca di famiglia. 

È il Canto per i cuori inquieti, un testo tanto antico quanto saggio, composto da diciotto regole di vita, cui, con un grado di consapevolezza sempre maggiore, le protagoniste imparano a ispirarsi nella pratica quotidiana della loro permanenza alla Mariconda. 
Dapprima il Canto agisce su ognuna individualmente, soprattutto consentendo di affrontare e superare paure personali e ostacoli interiori di vario tipo, ma poi favorisce anche il sorgere o il rafforzarsi tra loro della condivisione, della consolazione reciproca, della sorellanza. 

Sì, la Casa metteva alla prova, smuoveva, scomponeva. Ma forse era proprio la sorellanza, quel filo invisibile che legava tutte loro, a rendere possibile la trasformazione. (p. 126)

La permanenza nella Casa sembra potenziare le facoltà sensoriali delle protagoniste. Il frequente richiamo a colori, odori, sapori si coniuga con l’invito, più insistito nel finale, a stabilire una connessione profonda con la Natura, a riscoprirne le proprietà salvifiche e terapeutiche. 

Il messaggio del romanzo passa attraverso l’intensa simbologia dei fiori: da sempre sinonimo di grazia e gentilezza femminile (alla descrizione del movimento culturale del “femminismo gentile” è dedicata l’ultima pagina del romanzo), essi rappresentano anche le ‘arti’ che le cinque protagoniste hanno dovuto esercitare per portare a compimento il loro cammino metamorfico: la resistenza caparbia, come quella della leopardiana ginestra – citata anch’essa nel finale –; e la pazienza tenace, come quella delle margherite nominate nel titolo, che fioriscono sempre, anche d’inverno, in un angolo segreto del giardino della Mariconda. 

Le margherite della Mariconda non erano un mistero da risolvere. Come tutto ciò che viveva in quella Casa, non avevano bisogno di spiegazioni. Esistevano, semplicemente per ricordare che nulla va perduto davvero e che anche ciò che sembra fragile racchiude una forza inarrestabile. Basta solo aspettare. (p. 17)

Elide Stagnetti