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L'ossessione e la narrazione: «Incompletezza» di Deborah Gambetta

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Incompletezza. Una storia di Kurt Gödel
di Deborah Gambetta
Ponte alle Grazie, marzo 2024
 
pp. 624
€ 20 (cartaceo)
€ 12,99 (ebook)
 
Scrivere è attività solitaria. E anche dimostrare teoremi lo è, deve esserlo. E scrivere è solo l’atto finale, l’atto compiuto, perché si scrive anche quando non si scrive, quando si è a cena o in fila alle poste, quando si guarda un film o si cammina per strada in mezzo alla gente. Il pensiero resta là. Anche per i matematici dev’essere così. Anche per Kurt doveva esserlo. (p. 171)

Non è la prima volta che un romanzo che non è propriamente un romanzo viene proposto al Premio Strega e arriva poi alla dozzina. Solo per fare un esempio, è accaduto lo scorso anno con Il fuoco invisibile di Daniele Rielli, un libro che era sì romanzo ma anche – e soprattutto – saggio, articolo di cronaca e memoir. La potenza di un libro del genere, che mette insieme diversi generi, è l’avere uno sguardo trasversale e obliquo, affrontare la realtà da diversi punti di vista. Succede anche con Incompletezza, libro che, a leggere fra le pagine, dev’essere costato tantissimo a Deborah Gambetta in termini di tempo ed energie mentali e fisiche (a volte negli articoli leggiamo “l’ultima fatica di”: questo testo, a seguire le tracce lasciate dall’autrice, dev’essere uno di quei casi in cui tali parole riflettono un reale stato di cose), e non soltanto per la mole, pur ponderosa.

Incompletezza è un libro che parla di due vicende a loro modo intime: la relazione travagliata dell’autrice con un uomo, una relazione sbagliata sotto ogni punto di vista, basata sulla distruzione dell’altro e di sé, durata oltre sette anni fra code e strascichi, e in grado di lasciare un vuoto totale intorno come le macerie lasciate dai bombardamenti; e la vita privata e professionale del matematico Kurt Gödel, che compone i circa due terzi del romanzo. Se la relazione sentimentale dell’autrice – con un uomo che viene definito sempre tramite termini generici: un uomo che viveva a Roma, un partner ecc., parole che riflettono una freddezza, un tentativo di distacco da quella che comunque dev’essere stata una grande storia d’amore – è ciò da cui prende avvio la narrazione, nonché il punto di arrivo di tutto il libro, è Gödel il protagonista indiscusso. 

L’avvicinarsi di Gambetta a Gödel avviene in maniera quasi casuale ma il motivo per cui alla fine tutta la sua vita sembra concentrarsi su quella del matematico austriaco ha un che di intrigante. A un certo punto diventa un’ossessione, al punto che Gambetta non nasconde i parallelismi fra l’interesse per la relazione sentimentale e quello per Gödel. In effetti questo ruotare intorno ai due temi – nel libro e nella vita reale – come un satellite intorno a un pianeta è proprio ciò che consente di legarli in maniera salda in un unico testo. Il rischio a cui va incontro questo libro è infatti la mancata connessione fra i due temi. Il rischio, cioè, di porsi domande come: cosa c’entra la vita di Kurt Gödel con quella di Deborah Gambetta? Perché dovrebbe interessarci leggere cosa è accaduto a un matematico austriaco se iniziando Incompletezza l’autrice ci parla di una relazione tossica? O magari il contrario: cosa ci interessa della relazione tossica se abbiamo scelto di leggere un romanzo sulla vita di Gödel?

Sono passi come quello scelto all’inizio di questo articolo ad allontanare il dubbio. Il colpo di genio di Incompletezza non è narrare le vicende – pur interessanti – di come Gödel abbia dimostrato i suoi teoremi di incompletezza, o come la filosofia, la logica, la matematica e lo sviluppo tecnologico si siano legati a doppio filo durante tutto il Novecento, bensì comprendere come alla base delle dimostrazioni matematiche vi sia lo stesso meccanismo su cui insistono i grandi romanzi: l’ossessione per un determinato argomento da un lato e il desiderio di raccontare una storia dall’altro
Senza il pensiero ossessivo, infatti, sembra impensabile sobbarcarsi la fatica di concentrarsi su un unico argomenti per anni, o a volte – come nel caso di Gödel – per una vita intera. Gambetta lo racconta bene: come nella storia d’amore con l’uomo che abita a Roma, allo stesso modo nel suo tornare e ritornare a Gödel c’è un elemento ricorrente ed è proprio il non riuscire a togliersi dalla mente un pensiero dominante. Quel pensiero è lì, inamovibile, talmente ingombrante da impedire il normale fluire del tempo. Anche per Gödel, afferma Gambetta, dev’essere andata così: il seme del dubbio, giunto a un certo momento della vita, una volta piantato è rimasto lì. Coltivato, curato, coccolato, ha attecchito e generato frutti. È diventato una pianta, poi un albero maestoso, visibile a tutti. Senza il pensiero ossessivo, dice Gambetta, non esistono storie. Ma senza il desiderio di raccontarle, quelle stesse storie, quel pensiero – quell’albero maestoso – resterebbe confinato all’interno della mente dell’autore, o tuttalpiù si ritroverebbe nelle pagine di un diario personale, o raccontato agli amici, ai parenti, al partner. È il bisogno di sviluppare una narrazione che porta alla nascita di un romanzo, ma anche alla nascita di un teorema. Gödel fa questo: sente che il proprio pensiero è qualcosa da condividere e per far sì che tutti comprendano il perché di quel pensiero – così dice Gambetta – ci costruisce intorno una storia, una narrazione. Fa storytelling, come un romanziere.

Molti sono i passaggi altamente tecnici di questo libro. Gambetta non risparmia niente al lettore, ed è questo che rende Incompletezza un libro ostico per chi non abbia una preparazione accademica sull’argomento. Alcuni passi si possono saltare: sia quelli esplicitamente indicati dall’autrice – un’accortezza non scontata verso quello stesso lettore – sia altri altrettanto complicati e che non aggiungono molto alla vicenda letteraria e umana che si sta affrontando. Ma se è vero che la narrazione è comprensibile anche senza quei passi, è anche vero che provare a comprenderli – affrontarli – consente di entrare un poco di più nella vita di Gödel e nel suo tentativo di narrare una vicenda. Le dimostrazioni dei teoremi di incompletezza, così come diversi passaggi dedicati ad altri aspetti di una disciplina che nulla sembrano avere a che fare con la matematica – a un certo punto i numeri scompaiono, sostituiti da simboli alieni e imperscrutabili –, sono proprio ciò la grande narrazione del pensiero ossessivo di Kurt Gödel, ossia ciò su cui ha speso una vita intera. Sono il suo grande romanzo. Almeno per questo, una volta che si è deciso di affrontare questo libro, varrebbe la pena provare a comprendere il tutto.

Incompletezza è un romanzo difficile, si è detto. Gambetta lo afferma più volte: non riuscire a comprendere tutto è normale, lei stessa ha impiegato anni (almeno dieci) soltanto per entrare in sintonia con il linguaggio. Uscirne tramortiti è legittimo. È anche però un’esperienza profonda, che lascia la sensazione di aver affrontato un viaggio lungo e tortuoso che ha portato sul limitare di uno strapiombo, oltre il quale sia visibile solo il fondo nero del nulla. Lascia un senso indefinito di piccolezza e immensità al contempo. È una sensazione terrificante e meravigliosa al contempo.

David Valentini