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Il razzismo, il senso d’identità e la sopravvivenza in “Cani di paglia nell’universo” di Ye Chun

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Cani di paglia nell’universo
di Ye Chun
Neri Pozza, febbraio 2024

Traduzione di Maddalena Togliani

pp. 311
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

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[...] Erano tutti fatti di paglia, tutti cani di paglia, che crepitavano, emettevano gli ultimi latrati agonizzanti. (p. 164)

A distanza di dieci anni, un padre e una figlia intraprendono lo stesso cammino. Lasciano il loro paese natale in cerca di una vita migliore, di una dignità e di un riscatto personale. È così che si potrebbe riassumere l’avvincente romanzo di esordio di Ye Chun, Cani di paglia nell’universo: da una parte, Sixiang, venduta dalla madre e dalla nonna per un sacco di riso; dall’altra, il padre della ragazza, che, partito dieci anni prima, non ha più comunicato sue notizie. Due destini che, sebbene divisi da un lungo arco temporale, sembrano ripercorrere la stessa strada.

Sixiang ha dieci anni e vive con la madre e la nonna in un remoto villaggio - Yunteng - nelle campagne cinesi; la loro vita sembra scorrere senza troppi scossoni, fin quando una carestia e poi un'alluvione mettono definitivamente in ginocchio questo fragile terzetto. Ed è proprio in questo momento che sembra (almeno apparentemente) esserci un colpo di fortuna: sulle sponde del fiume, arriva un’imbarcazione dalla quale scende una «donna ben vestita, ben nutrita, apparsa dal nulla» (p. 15), che propone di comprare la giovane Sixiang per sei monete d’argento e un sacco di riso. Quella della madre e della nonna è una scelta di disperazione, di fame e miseria: non avrebbero potuto fare altrimenti. La bambina dunque parte alla volta dell’America, carica di speranza soprattutto per la missione che le ha affidato la madre: trovare suo padre.
Le aveva detto anche che nella stessa lettera suo padre aveva scelto il nome per lei: Sixiang, che significava «ricorda casa tua», perché non dimenticasse mai da dove veniva. (p. 16)
Sembra che almeno nella vita di Sixiang ci sia uno spiraglio di speranza, ma, inoltrandosi nella lettura, capiremo quanto il suo arrivo e le sue difficoltà siano le stesse che il padre Guifeng ha dovuto subire dieci anni prima: dal lavoro ai rapporti personali, fino al clima sociale, quella di Sixiang sembra la copia tristemente esatta della vita del padre. Guifeng era partito dieci anni prima, con la promessa di dare alla moglie sue notizie e di inviare qualche soldo, ma, dopo qualche ermetica lettera e pochi spiccioli, sembra sparito nel nulla: che fine ha fatto? È ancora in vita? Queste sono solo alcune domande che Sixiang si pone mentre attraversa l’oceano. 
La ricerca del padre diventerà per la bambina, poi giovane donna, un fil rouge degli anni trascorsi in America sarà lo stimolo che la farà andare avanti anche quando sembra che tutto nel nuovo paese la respinga. La figlia sarà motivata dalla ricerca del padre; invece, Guifeng troverà la forza in Feiyan, una donna che lavora in un bordello e che conosce dai tempi dell’infanzia, quando ancora era in Cina. È un amore che rinasce e che trova il suo spazio in un territorio che non ha niente di ospitale per gli immigrati cinesi. Tra Sixiang e Guifeng esiste un microcosmo complesso: due società divise che si scontrano, vivendo l’una accanto all’altra senza mai, però, capirsi veramente. La popolazione dei cinesi e quella dei “bianchi” trasmettono il senso storico di un’America ancora da fare, quando le ferrovie erano ancora in costruzione e quando in ogni città stava nascendo il quartiere di “ Chinatown”.
Voleva trovare la propria verità in un posto improbabile come Montagna d’oro […]. Ma prima doveva imparare che non era nessuno: non era più figlio o fratello di qualcuno, una persona con un’attività di famiglia da ereditare e sulla quale fare affidamento, o con un nome e un volto che lo distinguevano dagli altri. (p. 59)
Cani di paglia nell’universo è un romanzo corale e storico che ci trasporta, senza tanti indugi, in una storia che è ancora negata, dove il senso d’identità e di appartenenza non si annullano mai, nonostante i ripetuti tentativi di “americanizzare” gli immigrati, ed è proprio in virtù di questo che Sixiang, ad esempio, è accolta in una Missione cristiana. 
Quella che scrive Ye Chun è una storia dal sapore dolce amaro, perché se da una parte la ricerca del padre è un tentativo tenero, dall’altra mostra quanto ognuno di loro abbia dovuto fare i conti con una società che non aveva alcuna intenzione di accoglierli. E non è solo una storia d’immigrazione e identità, ma l’autrice attraversa, senza alcuna fatica narrativa, temi universali, come la famiglia, la perdita, la forza e il coraggio

Cani di paglia nell’universo diventa così un romanzo stratificato e complesso che può essere affrontato da molti e diversi punti di vista: per conoscere la storia di Sixiang e Guifeng, per avere un quadro storicamente puntuale dell’immigrazione o, ancora, per conoscere le tradizioni culturali cinesi. Questa interessante diversità è racchiusa già nel titolo, perché Cani di paglia nell’universo è insieme un riferimento alla cultura cinese e una metafora della loro condizione personale e sociale in America.
«I cani di paglia che facevano i nostri antenati per i sacrifici. I cani veri costavano troppo, quindi usavano quelli di paglia. Un cane di paglia era un sacrificio apprezzato, ma dopo veniva bruciato o gettato via. […] Siamo tutti cani di paglia». (p. 30)

Giada Marzocchi