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Un classico contemporaneo che fa scuola: “Demon Copperhead” di Barbara Kingsolver

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Demon Copperhead
di Barbara Kingsolver
Neri Pozza, 2023

Traduzione di Laura Prandino

pp. 656
€ 22 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

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L’impresa letteraria che Barbara Kingsolver si è posta nel suo ultimo libro non è facile. Prendere un classico della letteratura britannica vittoriana, David Copperfield di Charles Dickens, e portarlo negli Appalachi degli anni Novanta: un contesto apparentemente marginale, la dimora dei cosiddetti “redneck”, degli “hillbillies”,  i montanari ignoranti denigrati dagli interi Stati Uniti, ma che forniscono un punto d’osservazione privilegiato per analizzare l’America di oggi. Un’impresa difficile, ma riuscitissima – come confermano anche il Premio Pulitzer e il Women’s Prize for Fiction attribuiti al romanzo nel 2023; perché Kingsolver, al di là della precisione con cui riprende i personaggi dell’opera dickensiana, giocando magistralmente sui nomi e sulle personalità, riesce soprattutto a recuperare il cuore pulsante di David Copperfield, cioè la capacità di unire un protagonista indimenticabile, umano e mai idealizzato, a una feroce, puntuale e lucidissima critica sociale. È proprio quest’intreccio di destini individuali e collettivi che anima i grandi classici romanzeschi – e che stabilisce a pieno titolo l’ingresso di Demon Copperhead nella categoria.

Ma di che parla dunque questo romanzo? L’eponimo protagonista, Damon, detto Demon – un soprannome che non può che presagire una vita fuori dal comune – ci narra la sua vita in prima persona; e come il David che lo ha ispirato, inizia anche lui dal proprio parto. Ma bastano poche righe per renderci conto che l’Inghilterra della regina Vittoria è assai lontana. Demon vive in una casa mobile assieme alla giovanissima madre, rimasta sola dopo la morte del padre, e cresce tra i boschi, i campi e i fiumi della Virginia rurale degli anni Ottanta. Un’infanzia apparentemente idilliaca, che però finisce bruscamente con l’arrivo di un patrigno violento e dell’ingresso di Demon nel tutt’altro che affidabile sistema di assistenza sociale minorile statunitense: un sistema che dovrà imparare a navigare, perché è ben presto chiaro che Demon è pressoché solo di fronte a un destino enorme.

Di casa famiglia in casa famiglia, tra i morsi della fame, la pesantezza del lavoro minorile, ma anche momenti che sembrano far trasparire la possibilità di un riscatto tanto fugace quanto amaro, la storia di Demon ci racconta non solo di un Paese completamente incapace di dare supporto ai propri cittadini più deboli, ma inquadra in particolare le prime battute di un fenomeno oggi ancora poco discusso qui in Italia, la cosiddetta epidemia degli oppioidi statunitense. E lo fa non dalla prospettiva dei freddi dati statistici – che sono comunque sconvolgenti, visto che in vent’anni più di un milione di persone sono morte di overdose da oppioidi negli USA – ma attraverso la prospettiva di un bambino fatto crescere troppo in fretta e troppo in fretta costretto a superare da solo ogni tipo di difficoltà. Gli occhi di Demon ci parlano di ragazzini caduti vittima delle droghe senza nemmeno sapere di starne prendendo, di un contesto dove è pressoché impossibile non ritrovarsi a prendere oppoidi, di anziani e di lavoratrici che pensavano di prendere medicine e che invece si stavano avvelenando; ma è anche chiaro, come ci dice June, una delle poche presenze positive che punteggiano la vita di Demon, che questa è una cosa che “gli è stata fatta”. Da forze ben più ampie della verdeggiante Lee County dove Demon nasce e cresce.

È qui che la prospettiva personale di Demon dimostra tutta la sua grandezza, nella sua capacità di allargarsi e di arrivare a riguardare un Paese intero. Temi come le compagnie farmaceutiche, il sistema sanitario, i rapporti razziali, la tutela dei minori sono all’ordine del giorno negli Stati Uniti di oggi, ma mai prima d’ora era arrivato in Italia un romanzo capace di restituire la complessità di questi argomenti nella loro urgenza quotidiana. Con un protagonista che riesce allo stesso tempo ad essere un “Everyman” della letteratura statunitense… Ma che allo stesso tempo è così ironico, così forte, così imperfetto da essere, semplicemente, unico. E indimenticabile.

Marta Olivi