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Viaggio ipnotico nella terra devastata dal Male: "Furia" di Clyo Mendoza

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Furia
di Clyo Mendoza
Alessandro Polidoro Editore, ottobre 2023

pp. 312
€ 18 (cartaceo)

Ci sono libri dalla prosa ottima. Ci sono libri che affrontano il Male e ci mostrano ciò che non vorremmo vedere. Ci sono anche libri sulle sempre verdi famiglie disfunzionali, su genitori ingiusti e figli fragili, su cosa voglia dire crescere nella paura. Furia – esordio di Clyo Mendoza, pubblicato da Polidoro nella collana i selvaggi dedicata alla letteratura ispano-americana – è tutti questi libri. Soprattutto, è un libro giusto. E una volta iniziato non lo si può mettere giù. 

Rintracciarne la trama sarebbe complesso, e d’altro canto inutile: il lettore deve accettare di seguire i personaggi nel loro percorso in cerca della verità, deve fidarsi di chi scrive, non avere paura dei passaggi in cui sente che qualcosa gli viene ancora nascosto. L’autrice tiene magistralmente le fila di un colossale intreccio di vite e di piani temporali, di personaggi, madri e padri e fratelli e animali che si cercano e forse farebbero meglio a non trovarsi mai. La storia parte dall’amore tra i due soldati disertori Lázaro e Juan, e dal segreto che a loro insaputa li lega: poi, nel tentativo di esaurire il perché della loro vicenda, prende strade larghe e segue la vita di altri personaggi: le amiche Sara e Cástula, Vicente e la moneta d’oro, María e Salvador e il desiderio disperato che li lega. 

Che alla fine il cerchio si chiuda, che ci sia una spiegazione ai molti misteri non è così importante: il bello è perdersi nel cammino di questi personaggi smarriti, che sembrano muoversi alla cieca in un deserto di sabbia, morte, magia e allucinazioni
Furia non ha coordinate spazio-temporali: lo sfondo è sempre un paese caldo e arrabbiato, dove deserto e villaggi si alternano infinitamente, dove i coyote ululano la notte e spaventano i bambini, mentre il tempo della storia sembra mitologico, un periodo indefinito in cui credenze popolari spingono alle peggiori atrocità, come abbandonare una ragazza incinta nella natura notturna. Si potrebbe definirlo un paesaggio dell’anima
Cosa facevano i suoi occhi fissi nel vuoto? Forse vedevano, vedevano e basta. Ma cos’è che si vede quando non esiste la memoria? Ho sempre pensato che quella scena parlasse di qualcosa che abbiamo dentro, che perfino da morti possiamo continuare a vedere. (p. 136) 
Sì, paesaggio dell’anima, perché i personaggi di questa storia hanno anime contorte e instabili, sono abitati da più entità, più personalità, sono spesso deliranti – di febbre o di follia – e arrivano a sbraitare e mordere come cani. Nel leggere la vicenda di questi personaggi legati da una storia di sangue e morte si sfiorano tematiche oscene, come l’incesto tra fratelli, tra padre e figlia, oppure la violenza punitiva e contagiosa nei confronti di chi non si riesce a comprendere. 

Sebbene gli episodi siano sgradevoli, la lettura non lo è mai: la scrittura di questa giovane autrice è calda e corposa, senza essere poetica: bellissimo il modo in cui per descrivere stati interiori utilizzi immagini concrete, creando così un’analogia tra gli elementi naturali furiosi e l’instabilità emotivo-identitaria dei personaggi: «La testa si era trasformata in un’enorme stanza piena di niente» (p. 206), oppure «Domani sarà un altro giorno, ora la notte ghiaccia l’acqua nelle bacinelle e le bestie dormono una sull’altra, i branchi di volpi sbranano le galline smarrite e i serpenti dormono a occhi aperti» (p. 201). 

Ma la colonna portante di questo libro, il motore dietro alle ricerche che ciascuno intraprende, è l’amore: sbagliato, contorto, carnale, ma anche affettuoso, compassionevole, l’amore è declinato in mille modi ed esplorato tra persone che secondo le comunità cui appartengono non lo dovrebbero provare. In questo senso, l’amore o il desiderio omosessuale è ampliamente esplorato e problematizzato su più livelli: cosa fare, quando l’orrore che si vede negli occhi degli altri verso chi si è lo si comincia a sperimentare anche all’interno, nel privato? 

Furia è un libro inquietante e vertiginoso, che porta il lettore in un viaggio ipnotico attraverso una terra sull’orlo del disfacimento: il degrado è tanto paesaggistico quanto umano, la guerra devasta i villaggi e la malvagità distrugge le persone. 
Mendoza, giovane autrice e poeta messicana, ha già vinto diversi premi per questo libro, e a ragione. Da noi, questo libro ha un grande valore: ci insegna a leggere la letteratura sud-americana non sempre etichettandola come realismo magico, ma apprezzando l’incrocio fra tradizione mitico-popolare e tematiche contemporanee che la caratterizza nel presente. E poi, la copertina è stupenda.

Michela La Grotteria