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La via per la serenità esiste, nonostante tutto: il nuovo romanzo di Lorenza Gentile, "Le cose che ci salvano"

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Le cose che ci salvano
di Lorenza Gentile
Milano, Feltrinelli, 2023

pp. 320
€ 19,00 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)

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Gea è previdente. Molto previdente. Cresciuta abituandosi all'idea che una catastrofe sarebbe potuta accadere da un momento all'altro e sviluppando abilità che fossero in grado di farla sopravvivere agli eventi più estremi, Gea oggi è in grado di risolvere molteplici inconvenienti. Tale allenamento, di natura e rigore a dir poco militare, era imposto a lei e a suo fratello dal padre, giovane uomo che a circa ventcinque anni aveva deciso, assieme all'allora fidanzata, di lasciare la vita in società, da lui chiamata la «Terribile illusione», ovvero una realtà «del consumo dove non si pensava più, non si sapeva fare più niente» (p. 102) e rifugiarsi in una Rocca (così il nome con cui Gea ricorda la loro abitazione) sperduta in mezzo agli Appennini: docce gelate, corse a perdifiato, prove di sopravvivenza, esperienza nella conservazione dei cibi tramite essiccamento, disidratazione e altri metodi per far durare le provviste più a lungo.

Per suo volere, due volte all'anno restavamo un giorno intero senza bere e in primavera sopportavamo una settimana di semidigiuno. Dovevamo essere pronti, qualsiasi cosa ci capitasse. (pp. 74-75)

Gea non ha mai vissuto un'infanzia come tutte le altre bambine e ora che è diventata grande, a ventisette anni, a seguito di un evento traumatico che ha spostato tutte le sue certezze sulla vita che conducevano in famiglia, si è spostata in città, nella casa di quella nonna che ha incontrato solo una volta e che ora, purtroppo, non può più aiutarla perché se ne è andata per sempre. Così Gea, rimasta sola al mondo, si è ricostruita una vita a lei conforme, ritagliata sulle sue abitudini e necessità, con piccole stranezze che la rendono particolare - diciamo così - agli occhi degli altri. Infatti, residui della vecchia vita le sono rimasti impigliati, com'è immaginabile, perché difficile è scrollarsi di dosso certi meccanismi ormai rodati. A riprova di ciò, il fatto, ad esempio, che giri sempre con un martelletto frangivetro attaccato alla cintura. Se lo chiede anche lei che impressione può dare, ora che vive in un condominio con altre famiglie, le quali leggono i suoi avvertimenti nell'ascensore o all'ingresso:

In caso d’incendio, il punto di ritrovo è al centro del cortile. L’ho sottolineato con il pennarello rosso su tutte le informative plastificate appese nel condominio. Dopo un po’ che ti trovi davanti qualcosa il tuo occhio smette di vederla, è scientificamente provato, così ogni tanto riscrivo i cartelli cambiando colore. Sapere come comportarsi durante un’emergenza è fondamentale. Bisogna che siano tutti informati. Tutti.

Ho scritto un cartello che ho appeso all’ingresso: "non abbassare mai la guardia, il pericolo è dietro l’angolo. Attenzione ai segnali!" Qualcuno ha cambiato “segnali” in “cinghiali” e qualcun altro, pochi giorni dopo, ha staccato il cartello. In realtà, c’è poco da scherzare: ci sono posti in cui bisogna davvero prestare attenzione ai cinghiali, tipo dove sono cresciuta. (p. 19)

E ancora:

Quando osservo i miei coetanei che fanno l’aperitivo, le coppie che si tengono per mano, i gruppi di ragazze che studiano ai tavolini dei bar, mi chiedo di quali argomenti parlino esattamente e tento di carpire ogni dettaglio, per sapere cosa mi perdo. Il loro tempo sembra sempre una linea che corre verso un obiettivo, il mio invece è una spirale che si avvolge su sé stessa. Si percepisce, vedendomi dall’esterno, che sono diversa da loro? Mi porto dietro qualche tratto distintivo? La schiena un po’ curva, quell’attimo di esitazione prima di parlare o il modo in cui guardo di sbieco, non abituata a mantenere a lungo il contatto visivo? È questo che intende la signora Dalia? (p. 81)

Gea, quindi, è cresciuta in una situazione estrema, al punto che non si capisce come mai non sia mai stata prelevata da una qualche associazione di tutela dei minori: anche affidandosi al patto narrativo, non si riesce bene a comprendere alcuni equilibri che si sono venuti a creare e questo pare, quindi, quasi traballare, ai limiti della credibilità, poiché non si tratta di una storia fantastica, bensì ambientata nel mondo reale e - pare - al giorno d'oggi. Ad esempio, non si capisce perché la nonna della bambina, viva ai tempi, non abbia mai chiesto aiuto per dare a questi piccoli una vita come quella di tutti gli altri bambini. E così gli altri parenti, le istituzioni, i negozianti dell'attività commerciale a cui si rivolgono per recuperare il cibo e le provviste, per dirne qualcuno.

Ma passiamo oltre queste perplessità. Gea, in seguito a questa sorta di apprendistato molto pratico, oggi è una tuttofare che ripara praticamente tutto quello che le capita a tiro. Tuttavia un grande desiderio le nasce nel cuore: salvare "Nuovo mondo", il negozio in cui la nonna, durante l'unica visita della sua vita presso di lei, l'aveva portata e lei si era innamorata di quel posto pieno di oggetti con una storia. 

La morale di questa storia è, credo, piuttosto intuitiva, e sicuramente portatrice di una verità formativa: la capacità di trovare una propria strada e di prendere una direzione propria, autentica, anche se si parte da una condizione nettamente sfavorevole o difficile. Insomma, la possibilità di trovare la propria felicità. Tale lezione si ritrova in diversi altri romanzi, talvolta anche più incisivi e profondi, declinata di volta in volta in diverse sfumature ed espressa, a seconda dello scrittore, con un tono più o meno intenso. Pronunciandosi su questo romanzo, viene piuttosto spontaneo indicare la voce di questo romanzo come delicata e tenue (forse troppo per una storia così forte, che avrebbe potuto comunicare al lettore qualcosa di più intenso riguardo un'esperienza tanto al limite) dalle sfumature blande, godibile da parte di coloro a cui piace un romanzo rassicurante, senza troppi scossoni emotivi.

Valentina Zinnà