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La vita di una madre prima di essere madre: "La strada degli ulivi" di Clelia Attanasio per Eretica Edizioni

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La strada degli ulivi
di Clelia Attanasio
Eretica Edizioni, maggio 2023

pp. 90
€ 15,00 (cartaceo)


Non credo di poter dire di aver conosciuto i miei genitori per quelli che furono prima di me, forse nemmeno dopo di me: essere genitore vuol dire conservare un segreto inconfessabile. (p. 73) 
Clelia Attanasio, nome conosciuto nel mondo della litweb per i suoi racconti e per essere direttrice della rivista Quaerere, esordisce con il suo primo romanzo parlandoci di qualcosa che tutti amiamo e odiamo, forse, in egual misura: la famiglia.
La strada degli ulivi parte dalla fine per poi procedere a ritroso, dalla morte di Rachele Mele, mamma di Angela e Ciro - lui sarà il nostro narratore - e moglie del medico Antonio Chirichella. Il romanzo si apre con una telefonata di Ciro a sua sorella per avvertirla dei funerali: subito percepiamo il rapporto conflittuale tra i due, la distanza emotiva e fisica che vivono, ma anche un certo affetto mal espresso, o per dirlo alla Salvioni, malnato.
L'ambientazione scelta è quella del classico paesino dell'entroterra ottuso e soffocante, Camporella in Cilento, da cui Angela ha ben pensato di scappare andando a studiare a Napoli durante gli anni universitari, mentre Ciro ha voluto con tutte le forze restare per non lasciare Rachele. Né lui né Angela chiameranno quasi mai i loro genitori mamma e papà, ma utilizzeranno i nomi di battesimo.
Durante la narrazione, a partire dal lutto per poi proseguire con i funerali e le interazioni di Ciro e Angela, scopriremo di più sulla famiglia Chirichella: un rapporto difficile e litigioso tra Rachele e Angela, ragazzina ribelle che rispondeva alla severità della madre con ripicche e piccole vendette; un legame altrettanto curioso quello tra Rachele e suo marito Antonio, che non parlavano mai guardandosi negli occhi; la devozione assoluta di Ciro per sua madre, una devozione quasi ossessiva, nevrotica.
Passavo notti intere a immaginare il disappunto nello sguardo di mia madre alla vista di Marisa, e trascorrevo il resto del tempo a rimuginare su quali sarebbero state le mie future scelte [...] solo di una cosa ero convinto: non avrei potuto continuare una relazione se Rachele non l'avesse approvata. (p. 41)
Ciro solleva Rachele su un piedistallo, eleggendola a unico faro della propria vita. Per questo motivo, odia qualsiasi cosa e persona che possa anche per un istante sottrargli l'attenzione e l'amore della madre: Angela, che ha ricevuto l'affetto materno senza meritarlo, che man mano che cresceva diventava la sua copia - dirà Ciro «è stato un dolore vedere mia sorella diventare la replica di Rachele [...] ai miei occhi era chiaro cosa stava accadendo: Angela stava risucchiando le energie di nostra madre; era una specie di mostro.» (p. 60) - Antonio che non era degno di una donna così irreprensibile, persino Rachele stessa quando ha provato a fargli capire che doveva vivere la sua vita, andare via da Camporella. Ma perché, si chiede Ciro? Non capisce sua madre che lui non vuole altro che starle vicino?
La vera domanda però che ci pone il testo è un'altra: cos'era Rachele prima di essere madre? La donna prima, la ragazzina con sogni, con passioni, dov'è finita?
Il romanzo, a questo proposito, alterna il racconto di Ciro a uno scambio di lettere tra Rachele e Antonio da giovani: tra le righe ci meravigliamo scoprendo una versione completamente diversa di Rachele da quella che conoscono i figli, una donna passionale, ambiziosa, persino egoista.
C'è da dire che anche il nostro narratore non è una persona completamente monocorde: dirà che il suo difetto più grande è la memoria ma, a mio avviso, ciò che lo rende "umano" è il suo animo tormentato, profondamente pirandelliano. Mi è sembrato un personaggio di altri tempi: 
Se solo qualcuno avesse potuto assistere allo spettacolo interiore della mia sensibilità, quando rientravo in casa e mi mettevo in ascolto di me stesso, forse gli adulti avrebbero intuito lo sconfinato paesaggio che si nascondeva dentro di me. (p. 57)
Pirandelliano e anche edipico, ma non in modo patologico: la mitizzazione e l'idealizzazione della figura della madre sono un riflesso della sicurezza di avere uno sguardo "speciale", della convinzione di essere l'unico eletto a poter comprendere il mistero di Rachele. Solo alla fine Ciro capirà il suo errore e sarà proprio Angela a portarlo su quella strada. 
A dire la verità, non si tratta di una netta dicotomia amore-odio: i sentimenti prevalenti e contrastanti sono più il bisogno e il risentimento. Il bisogno di Ciro di ancorarsi alla sua personalissima immagine di Rachele, quello di Angela di prenderne le distanze, il risentimento di Antonio per le scelte fatte, quello di Rachele stessa, forse, per aver abbandonato ogni aspirazione personale.
La scrittura di Clelia è elegante, scorrevole, direi quasi accademica, sa declinare bene la parte narrata da Ciro e quella dedicata alle lettere, usando due registri diversi. Non so dire quale personaggio, inoltre, sia meglio riuscito: se Ciro, con le sue nevrosi esistenziali e il suo attaccamento alla madre, o Rachele stessa, donna solo apparentemente "esausta", svuotata, ma dall'animo sfaccettato.
E gli ulivi? Ce lo dice il titolo: l'ulivo come cura, come rimedio per il corpo ma anche per lo spirito. Alla fine scopriremo che rappresenta per Ciro e Angela, ancora una volta, terreno di scontro e di mancata riappacificazione.

Consiglio la lettura di questo romanzo a chi già conosce i racconti dell'autrice, a chi è amante di romanzi di matrice filosofica o a chi è interessato a testi sui rapporti figli-madre come, ad esempio, L'amore molesto di Elena Ferrante, Mia madre e altre catastrofi di Francesco Abate, Una donna di Annie Ernaux, Amy e Isabelle, Elizabeth Strout.

Deborah D'Addetta