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Tra ragione e pazzia, riflessione e tormento: "Malinconia barocca" di Aurelio Musi per Neri Pozza Editore

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Malinconia Barocca
di Aurelio Musi
Neri Pozza, aprile 2023

pp. 174
€ 13,50 (cartaceo)
€ 7,99 (e-book)


Il labile confine tra sentimenti ed emozioni, fra "stato d'animo" e "malattia ordinaria", per usare anche le parole di Burton, appartengono anche al nostro vissuto di globalizzazione pandemica. Che non è fuori, ma dentro la modernità: la malinconia come instabile equilibrio fra riso e pianto, gioie e tristezza, forza dell'immaginazione e principio di realtà è alla radice della modernità. E Burton ne costituisce senz'altro uno dei padri fondatori. (p. 80)
Chi mi conosce bene sa che il tema della malinconia ha sempre esercitato una peculiare fascinazione su di me, dunque quando ho letto la sinossi di questo saggio scritto da Aurelio Musi, giornalista, scrittore e storico di cui avevo già letto "Mito e realtà della nazione napoletana", non ho potuto esimermi.
Il testo si concentra su un periodo storico preciso, il Barocco, solitamente visto o come secolo fastoso (soprattutto se pensiamo all'architettura e all'arte) di transizione tra Rinascimento e Illuminismo o come radice da cui il Romanticismo ha preso i suoi assunti fondamentali. Musi ci fornisce una terza visione delle cose: il Barocco come epoca in cui lo stato d'animo imperante era la malinconia. Malinconia vista non più come il risultato di un disordine, ma come vero e proprio sentimento (p. 24) e come instabile equilibrio tra inganno e verità (p. 11)
Partendo da una profonda analisi di "Anatomia della malinconia" di Robert Burton (1621), un testo immenso, e superando grazie a esso la concezione di malinconia come il risultato di uno squilibrio tra i "quattro umori" dell'uomo (sangue, bile gialla, bile nera, e flegma) Musi ci accompagna alla scoperta dell'evoluzione del termine non solo sul piano del singolo studioso che l'ha trattata, ma in relazione alla Nazione, allo Stato, e al modo in cui la società barocca percepiva la malinconia. 
Musi non disdegna di citare, attraverso Burton, pittori, scienziati, artisti, filosofi che hanno rappresentato, attraverso dipinti, scritti, trattati, libri, la loro visione della malinconia, conosciuta maggiormente a quel tempo nella sua declinazione più "clinica" di melancolia (se facciamo riferimento al mondo del cinema, "Melancholia" di Lars Von Trier usa il termine come sinonimo di "depressione"). Burton analizza ogni campo possibile e immaginabile in cui questa possa agire: la politica, la scienza, l'arte, l'amore, la salute. In ognuno, la malinconia si manifesta attraverso tratti comuni, che rendono l'individuo malinconico immediatamente riconoscibile: debole di fisico ma rasente la genialità, con un'oscillazione pericolosa tra abisso/follia e pura sublimazione.
Musi ci ricorda che Burton fornisce, man mano che elenca i campi d'azione, anche la soluzione: come si guarisce dalla malinconia? Il fil rouge in ogni cura sembra essere evitare ogni eccesso e ogni ozio.
Luce e tenebre, fascino seduttivo e diabolico entrano quindi nel circolo vizioso della fisiologia patologica della malinconia, che poi è la modernità stessa. (p. 40)
Nella seconda parte del testo Musi si concentra su un piano più ampio: dal singolo all'Impero. Filippo IV, re di Spagna dal 1621 al 1665, ad esempio, era un uomo profondamente malinconico ed era convinto che la sua "flaqueza" (debolezza) contribuisse a far soffrire anche il suo popolo. Come lui, un altro esponente illustre pare essere ritratto dell'uomo propositivo, tutto sommato buono, ma schiacciato dall'angoscia: Don Chisciotte. Nella terza parte, Musi ci parla del disincanto del personaggio immortale di Miguel de Cervantes, della sua condizione di equilibrio precario tra inganno e verità (come dicevamo prima). 
E poi l'autore ci conduce per mano verso la conoscenza di uomini e donne illustri che hanno eletto la malinconia come unica divinità al cui altare sacrificare ogni cosa: Spinoza, Cartesio, La Rochefoucauld, Elisabetta di Boemia, Artemisia Gentileschi, con un accento specifico su quelle donne del Barocco che si sono fatte monache controvoglia o di proposito per sfuggire alla malinconia, col solo risultato di sprofondarvi ancora di più. 
La malinconia è la condizione media che si insinua nella struttura bipolare del Barocco dominata da una serie infinita di coppie oppositive: certezza e instabilità, ragione e pazzia, riflessione e tormento, dissimulazione e apparenza. E la politica come disciplina è chiamata a governare la condizione bipolare dell'uomo moderno. (p 167) 
Una visione allora che sposta la percezione che abbiamo di un periodo storico solitamente considerato di grande fermento e ricchezza verso una più intima definizione delle cose, delle persone, dello spirito di un tempo. Se da una parte il Barocco è stato specchio di ideologie, correnti artistiche e politiche che risuonano tutt'oggi e di cui ammiriamo i risultati, dall'altra è anche vero che il Romanticismo tanto ha preso in prestito dal diffuso sentimento di malinconia che pareva pervadere ogni ambito. 
Malinconia non più considerata come uno "squilibrio ormonale", ma come tratto distintivo di quelle menti più sensibili, più attente, e per questo più sofferenti. Perché la malinconia è tanto affascinante quanto portatrice di tristezza che, in alcuni casi, sfocia nella genialità o nel suicidio. 
Un testo molto bello, appassionato, frutto di profonde ricerche che consiglio a chi, come me, è fatalmente attratto dai sentimenti sfaccettati, misteriosi, sempre in bilico tra buio e luce. Inoltre lo stile di Musi è godibilissimo, spiega concetti più o meno complicati con una fluidità naturale, e ci fa rendere conto che, in fin dei conti, la malinconia non è morta col Barocco o il Romanticismo, ma sopravvive ancora oggi.

Deborah D'Addetta