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Un testo sui generis che riprende un tema classico di Tommaso Pincio: "Pulp Roma" per Il Saggiatore

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Pulp Roma
di Tommaso Pincio
Il Saggiatore, febbraio 2023

pp. 199
€ 16 (cartaceo)
€ 6,99 (ebook)


Tommaso Pincio, scrittore e traduttore romano, è un nome a me noto per aver pubblicato con Giulio Perrone Editore Diario di un'estate marziana nel 2022. L'anello di congiunzione tra quel libro e Pulp Roma è proprio la capitale e la sua esplorazione urbana. Anzi, a dire la verità, questo sembra essere quasi un prolungamento del romanzo precedente, ma in forma di racconto frammentato, qualcuno l'ha definito un pastiche letterario.
E a buona ragione perché ho fatto fatica a decifrarlo: non si tratta di un romanzo né di un saggio. La casa editrice ci dice che è "una prova narrativa mai tentata prima" e anche questo probabilmente è vero, perché non ho memoria al momento di altri testi di questo tipo (ammetto il mio limite personale).
Il libro parte con una premessa che ha la voce dell'autore, una voce che ammonisce e che prepara il terreno, spiegando le ragioni che lo hanno spinto a scriverlo, citando ora Sordi ora Mastroianni - che nemmeno era romano, come ci tiene a specificare - e vivisezionando quel carattere tanto indolente e un po' sbruffone che sembrano detenere i romani. La sua è una dedica, ma non d'amore: si diverte a esasperare le peculiarità di una città come Roma, i suoi pregi e i suoi difetti, la «sua natura decadente e per questo eterna», l'intorpidimento che crea nei pochissimi oriundi rimasti e nei visitatori.
Il testo si apre con un racconto distopico in cui la capitale viene rappresentata come una sorta di Babilonia sotto lo schiaffo dei cinesi: alcool, prostituzione, gioco d'azzardo, debiti, quasi un racconto noir che, devo dire, mi è molto piaciuto. E il piacere qui si ferma, perché di quello che ho letto dopo non ci ho capito moltissimo.
All'improvviso ci ritroviamo nella mente di Freud, a scoprire cosa siano le criptoamnesie, e soprattutto (non nego il fascino) nei retroscena della nascita di Lolita di Nabokov. Successivamente seguiamo le orme di un rampollo che, invece di dilapidare la fortuna di famiglia, decide di arruolarsi come agente ausiliario. Segue ancora una sorta di cronaca di apocalissi cicliche, una breve incursione nel tentativo di suicidio di Kurt Cobain avvenuto nell'Hotel Excelsior di Roma (e qui finalmente ritrovo il filo del discorso) per chiudere con una dedica d'amore al mondo delle graphic novel, tant'è che nelle ultimissime pagine ci sono un paio di tavole, a ribadire la natura ibrida di questo testo.
Il fatto è che quella strada vista dall'alto non era semplicemente via Veneto, ma una strada specchiante, un nastro d'asfalto che rifletteva il mio rapporto conflittuale con la città in cui sono nato. In altre e più esplicite parole, ho visto la mia Roma, a Roma della mia Dolce Vita, della mia età dell'oro. La Roma dove non avevo mai vissuto. Se la mia idea di scrivere un romanzo romano rimase per lungo tempo più di una "fobia romana" alla Freud che un'idea concreta fu proprio per questo: perché Roma era un luogo fisico, presente, ma al tempo stesso anche immaginario e da sempre perduto. (p. 161)
Ora, come dicevo, probabilmente il fatto di non aver colto parallelismi o un fil rouge tra tutti i capitoli è dovuto a un mio limite nella comprensione di testi non di pura narrativa, eppure (come si può vedere dal passaggio qui sopra) la scrittura di Pincio è molto amabile, coinvolgente, e quando parla in termini autobiografici di Roma è capace di lasciarti empatizzare. Voglio vedere questo testo come una specie di esperimento narrativo, sospendendo per questa volta un giudizio neanche tanto richiesto: abbiamo un racconto classico di genere distopico/noir/pulp, delle tavole da fumetto, un piccolo memoir, una critica alla Dolce Vita e allo snaturamento di una città che non riconosce più e infine un esperimento di name dropping che coinvolge Fellini, Freud, Nabokov e altri, chi più chi meno legato a Roma.
Non so bene come esprimermi su un testo così, tranne che approvo il coraggio di provare a fare qualcosa di originale, seppur non l'abbia ben decifrato. Mi viene da dire che sarebbe il caso di leggere qualche altro suo libro prima di questo, così da abituare il pensiero ai temi forti dell'autore - la camminata urbana, la descrizione di una vita nella capitale, lo sfasamento dei tempi odierni - per poi dedicarsi a un libro così particolare.

Deborah D'Addetta