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La rinuncia come stile di vita: "Il senso dell'inutile" di Reinhold e Diane Messner

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Messner-Il-senso-dell'inutile


Il senso dell'inutile
di Reinhold Messner e Diane Messner
Solferino, novembre 2022

pp. 282
€ 17,50 (cartaceo)
€ 12,99 (ebook)


Non aspettatevi emozionanti racconti di scalate, reportage degli 8mila raggiunti, resoconti appassionati dell'epopea messneriana della montagna. Niente di tutto ciò. Le pagine di questo libro, "Il senso dell'inutile", rappresentano invece il testamento spirituale di un uomo (che a volte di "umano" ha avuto assai poco, avendo toccato limiti che noi umani ....), di un grandissimo alpinista che ha raggiunto l'equilibrio, che ha trovato la pace interiore, il proprio ubi consistam, un uomo che ha saputo contemperare il desiderio di avventura alla sostenibilità e all'amore per il pianeta. Complice anche l'età, certamente e il ripiegamento su pratiche di vita meno estreme. Ed è per questo che il saggio-memoir, edito dalla casa editrice Solferino, è rivolto non solo agli amanti della montagna, ma a tutti coloro che hanno a cuore la salvaguardia del pianeta e cercano modalità di vita in consonanza con la natura e modelli di ispirazione.
Reinhold Messner, il re degli 8mila, il mito vivente dell'alpinismo, il primo uomo in assoluto ad aver scalato tutte le 14 vette più alte della Terra senza ossigeno, l'alpinista che nel suo carnet ha record polverizzati e migliaia di scalate effettuate, ha condensato in quasi 300 pagine la filosofia che guida (e in parte ha sempre guidato) la sua esistenza: la rinuncia come stile di vita. Sembra quasi impossibile sentir parlare Messner di rinuncia... chi ha seguito le sue imprese sa bene che questo era un vocabolo che mal si adattava al suo spirito di avventura e di conquista.
Eppure Reinhold Messner parla di rinuncia. Vediamo in quali termini. E vediamo perché questo stile di vita, questa filosofia ha avuto parte importante nella storia delle conquiste dell'alpinista più famoso del mondo.
Fin dalla propria infanzia, narrata nella prima parte del libro, Messner ha dovuto fare i conti con la rinuncia.
Ciò che avevamo imparato da bambini - risparmiare energia, non buttare via gli avanzi di cibo, riparare tutto ciò che era utilizzabile - ci ha accompagnato, come preciso impegno, per tutta la vita. Abbiamo vissuto in modo sostenibile prima ancora di conoscere il valore della sostenibilità, parola che al tempo nemmeno esisteva (p. 27)
In effetti, chiunque sia nato negli anni Venti, Trenta, Quaranta del secolo scorso (Messner è del 1944) ha vissuto la stessa esperienza: l'inutile, il di più e, spesso, anche il necessario non c'era e se ne doveva fare a meno inventandosi modi di vivere, di sbarcare il lunario, di dar da mangiare ai figli, di superare l'inverno. soprattutto in montagna. Ciò che Messner ha fatto è aver proiettato questo modus vivendi sulla propria attività di scalatore. Le prime ascensioni da bambino e ragazzino che Messner ha compiuto con i fratelli sono state portate a termine con attrezzature molto basilari, una corda e poco più. Anno dopo anno, scalata dopo scalata, ogni volta sempre un po' di più, Messner ha temprato il proprio fisico e il proprio spirito.
In seguito, la privazione è diventata un metodo: non puntare sull'utilizzo sempre più esteso di materiale tecnico, ma piuttosto limitarlo. È stato grazie alla rinuncia che sono riuscito a sviluppare il mio modello vincente (p. 38).
Messner ha fatto delle scalate senza equipaggiamenti speciali, potendo contare solo sulle forze del proprio corpo, un marchio di fabbrica. Ed è proprio in questo contesto che si inscrivono le scalate senza bombole di ossigeno, senza portatori, senza radio, senza corde fisse, senza tende che l'hanno portato sul tetto del mondo. Un avverbio, quel "senza", che è diventato, nel tempo, una direzione.
In questo libro Messner lancia uno sguardo al proprio passato di "conquistatore dell'inutile", dal titolo di un famoso libro di Lionel Terray, "Le conquérant de l'inutile", edito da Gallimard nel 1961, nel quale il famoso alpinista francese, grazie a questo titolo provocatorio, racconta come soltanto un obiettivo o una meta "inutile", fuori dalle logiche del guadagno, possano consentire di mettere a rischio la propria vita. Solo per toccare una cima. Un campo dove dominano soltanto la passione e il desiderio di affrontare e superare i propri limiti. Anche se, ultimamente, l'alpinismo è diventato anche altro e, tra sponsor, finanziatori, agenzie turistiche che promettono a chiunque di poter salire sulle cime più alte del mondo, forse lo spirito primigenio si sta un po' perdendo a favore dell'immagine e dello scopo, ma teniamo conto che Terray scrive negli anni 60 del secolo scorso, quando l'epopea degli scalatori era al culmine (la conquista del K2 da parte degli italiani è del 1954), e ancora non si parlava di turismo degli 8mila metri.
Messner è stato a un passo dalla morte più di una volta, la peggiore quando ha dovuto lasciare sul Nanga Parbat il fratello minore Günther, nel 1970, una spedizione sfortunata dalla quale lui stesso è tornato con segni permanenti (l'amputazione delle dita dei piedi). Ma per quanto dolore questa vicenda abbia potuto arrecargli, lo scalatore altoatesino non si è mai fermato e ha scelto di proseguire con l'alpinismo per creare un senso alla propria vita. Guidato sempre dalla rinuncia, perché "si può soffocare con troppo, mai con troppo poco" (p. 79).
E, una volta finita l'epopea delle grandi scalate, Messner ha applicato lo stesso concetto di rinuncia alla vita quotidiana come valore positivo per sé e come modello da trasferire all'umanità. Ed ecco il racconto, condiviso con la moglie Diane che ha scritto una parte del libro, della vita spartana che entrambi conducono a Castel Juval o il desiderio di riflessione, di vivere più lentamente, di evitare gli sprechi, di pensare e lavorare per l'ambiente, per il pianeta, per il futuro, per le nuove generazioni.
Certo, c'è, tra le righe, un po' di contraddizione con le pagine in cui Messner racconta delle avventure che l'hanno portato a visitare quasi tutti i Paesi del mondo o dei viaggi che tuttora lo conducono, con Diane, da un capo all'altro del pianeta. Per certi versi l'alpinista ne è consapevole: "so che non ho giustificazioni per i lunghi spostamenti - in auto, in nave o in aereo - necessari per le mie avventure...2 (p. 242) Forse, dopo decine di pagine improntate sulla pratica della rinuncia, ci si potrebbe aspettare qualcosa di più di una semplice frase tra le altre. Come, allo stesso modo, mi sarebbe piaciuto leggere una riflessione sulla deriva, che il grande alpinista in realtà ha più volte denunciato in articoli e interviste, presa dalla conquista moderna degli 8mila: le foto con le file interminabili delle spedizioni turistiche guidate sulle cime nepalesi in cui ognuno aspetta il proprio turno per salire manco fossero sulla metro a Milano sono indicative (senza contare la piaga dei rifiuti d'altissima quota che troppo spesso le varie spedizioni si lasciano dietro, un problema che sta diventando sempre più pressante). 
Un aspetto contro il quale si batte proprio la "Messner Mountain Heritage", la start up fondata da Reinhold e Diane la cui mission è trasmettere i valori dell'alpinismo tradizionale, del rispetto per la montagna e della sostenibilità delle attività che la coinvolgono. Messner ha fondato scuole di montagna, ha finanziato ospedali, ha consentito a tanti bambini Pashtun o sherpa di continuare a studiare. Ha fatto e continua a fare del bene per senso di responsabilità e gratitudine per quelle popolazioni che lo hanno sostenuto e gli hanno aperto le porte del proprio Paese.
Nelle ultime pagine Messner si confronta con l'idea dell'aldilà... lui che è stato, tra tutti gli uomini, il più vicino al cielo, lui che in tante situazioni estreme la signora con la falce se la deve essere sentita un po' troppo vicina, si pone domande e spiega di non essere troppo ottimista sul futuro dell'uomo. Che può salvarsi soltanto se si pone in un atteggiamento di rispetto verso la natura.
Il nostro mondo è in continuo cambiamento, proprio come accadeva prima della comparsa dell'uomo sulla Terra. Noi individui possiamo limitarci nei nostri consumi, ma tutto sommato l'umanità rimane più un peso che un correttivo nel caos dei fenomeni naturali; non sono molto ottimista per il futuro. Tuttavia, ogni rinuncia costituisce un contributo alla sopravvivenza del tutto (p. 222)

Sabrina Miglio