in

La complessità e la gravità del disturbo dissociativo della personalità in “Una stanza piena di gente” di Daniel Keyes

- -



Una stanza piena di gente
di Daniel Keyes
Editrice Nord, 2022

1^ edizione in lingua originale: 1982
Traduzione di Natalia Stabilini e Isabella C. Blum

pp. 541
€ 19 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

Vedi il libro su Amazon

C’è qualcosa che non va in quel ragazzo. Non so di che cosa si tratti, ma hai visto anche tu come ogni volta sembra diverso dall’altra. (p. 42)

A metà degli anni Settanta, alcuni poliziotti fanno irruzione in un appartamento dell’Ohio (USA) per arrestare un giovane, Billy Milligan, accusato di tre stupri in un campus universitario. Fin qui, sebbene l’accusa sia gravissima e vergognosa, sembra una storia già raccontata molte volte. Quello che però gli inquirenti si trovano davanti è qualcosa difficile da comprendere e accettare; ogni volta, infatti, che interrogano Billy, lui sembra sempre una persona diversa: qualcosa non quadra in quel ventenne. Solo l’intervento di avvocati d’ufficio accorti e di psichiatri preparati riuscirà a comprendere la gravità della situazione e, soprattutto, la sua complessità: Billy soffre del disturbo dissociativo dell'identità, tra le patologie mentali più difficili da diagnosticare e da curare.

Nonostante Gary si fosse aspettato di trascorrere i soliti quindici o trenta minuti con il suo cliente, convinto che avrebbe smascherato una truffa bella e buona, quando se ne andò, cinque ore più tardi, era assolutamente certo che Billy Milligan fosse una personalità multipla. (p. 70)

La storia di Billy, raccontata da Daniel Keyes, ci trasporta così nella mente di questo giovane americano e non sarà facile accettare di fare i conti con gli abusi, le sofferenze e i traumi che il protagonista ha vissuto sulla sua pelle fino ad arrivare a dissociarsi da se stesso. Dentro, infatti, la sua persona convivono altre ventiquattro personalità: ognuna con il suo modo, con il suo linguaggio, con le sue capacità, la propria personalità e la propria età. Scopriamo così che tutte e ventiquattro sono persone distinte una dall’altra con compiti precisi, come Regan, il difensore dei bambini, che usa la violenza solo quando è costretto, oppure Allen, acculturato, con QI altissimo, dedito alla pittura, o, ancora Danny, un adolescente impaurito e fragile che cerca sempre l’approvazione degli adulti. Ognuna di loro è la traccia, purtroppo ben visibile, dei traumi di Billy, come se fossero parte di un unico percorso emotivo delle sofferenze di questo giovane ragazzo, delle quali rimane traccia nelle varie personalità. La rabbia, la vendetta, la paura e le lacrime si distinguono in ognuno di loro e ci riconduco così alla vita del protagonista.

«Fondamentalmente c’è un tocco di tutti loro. Sono tutti parti di me, e io devo imparare ad accettarlo. Le loro abilità sono le mie abilità […]». (p. 466)

E l’identità originaria? Il Billy primario? Il vero Billy, quello fuso e non diviso, non si rendeva conto fino al momento dell’arresto di soffrire di questa patologia e aveva frequenti vuoti di memoria: quando una o l’altra personalità prendeva il controllo, le altre, e quindi compreso il Billy originario, non si ricordavano come erano arrivati in quel luogo o cosa avevano fatto.

Crescere per lui fu una battaglia costante: per non dover ammettere che nella maggior parte dei casi non sapeva che cosa gli fosse successo anche solo giorni, ore, persino minuti prima, era costretto a inventare storie, distorcere verità, manipolare le spiegazioni. Tutti notavano i suoi stati di trance. E tutti dicevano che era un bambino strano. (p. 220)

Ed è qui che i giudici e avvocati dell’accusa si scontrano con il primo ma essenziale nodo cruciale: giustificare Billy per la sua malattia o condannarlo per i reati commessi? Si tratta di un problema etico e giudiziario, perché quella di Billy non è una vita come le altre e, sebbene sia stato lui a commettere, almeno fisicamente, le violenze, la sua mente non era lì; era qualcun altro. Proprio in virtù di questi interrogativi, la storia di Billy diventerà ben presto un caso processuale che farà storia nella legge americana, comportando anche un clamore mediatico rilevante.

Il romanzo, diviso in tre parti, segue dunque tutta l’epopea della vita di Billy: dal suo arresto, ai ricordi della sua infanzia, quando finalmente fuso tra le varie personalità affronta i traumi di una vita intera, fino ai giorni di ricovero in istituti psichiatrici fatiscenti e poco inclini a curare la sua patologia.

Una stanza piena di gente è un romanzo crudo, intenso e a tratti ansiogeno: inoltrarsi in questa storia significa fare i conti non solo con una profonda sofferenza di Billy (che già di per sé basterebbe), ma rapportarsi anche con una malattia mentale fra le più complesse. Viene quindi da chiedersi: come sarebbe stato Billy, se non avesse subito tutto questo? Sarebbe stato una persona “sana di mente” o avrebbe sofferto della stessa patologia? È impossibile rispondere a questa domanda; nessuno - neanche gli psichiatri - è stato in grado di dare una risposta sicura. Quel che certo è che la sua vicenda non si dimenticherà facilmente ed è questo il merito di Daniel Keyes, quello di aver reso pubblica la vita di Billy, senza cercare di impietosire o commuovere il lettore. Come del resto anche lui stesso desiderava: «È proprio questo che voglio, adesso. Che il mondo sappia» (p. 458).

Del resto, lo stile giornalistico adottato, asciutto e secco, riporta i fatti senza inutili sentimentalismi che si limiterebbero a peggiorare la lettura. Il disturbo di personalità multipla divide ancora, tant'è che molti lo ritengono puro esibizionismo, ma la storia di Billy Milligan credo che farà riflettere anche i più scettici.

 Giada Marzocchi